Le prime decisioni di merito sull’OEI denotano un evidente disallineamento rispetto alla ratio ed al tenore letterale della disciplina dettata in materia tanto dal d.lgs. n. 108/2017 che dalla direttiva 2014/41/UE. In particolare, è quanto si verifica con riferimento al giudizio di riconoscimento dell’ordine effettuato dal pubblico ministero, di cui vengono svilite portata e funzione, ammettendosene l’effettuazione “in via di mero fatto”.
La Corte di legittimità reagisce con forza a tali disorientamenti interpretativi, richiamando la corretta configurazione degli istituti coinvolti e l’esatto ambito applicativo degli stessi.
First trial decisions about OEI denote a clear misalignment with reference to the purpose and the rules established by d.lgs. n. 108/2017 and directive 2014/41/UE. Specifically, it is what happens with regard to recognition procedure by public prosecutor, whose scope and function are devalueted, allowing a recognition of the order “by fact”.
The Cassation strongly reacts to these misinterpretations, clarifyng the right configuration and the exact scope of the institutions involved.
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Premessa - Il caso - Gli antecedenti - Il riconoscimento dell’OEI - L’opposizione innanzi al G.i.p. - Conclusioni - NOTE
Sin dai primi interventi in tema di ordine europeo di indagine (OEI) la Corte di legittimità è stata chiamata ad esercitare in modo significativo il suo ruolo di custode dell’ortodossia interpretativa del dato normativo, chiarendo la portata ed il corretto ambito di applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108 [1], che, in attuazione della direttiva 2014/41/UE [2], ha introdotto il menzionato istituto nel nostro ordinamento. Le prime decisioni di merito relative al nuovo strumento di cooperazione giudiziaria si sono connotate, infatti, per un non irrilevante disallineamento rispetto alla ratio ed all’inequivoco tenore letterale sia della normativa interna che di quella europea, segnando di fatto una non corretta applicazione delle stesse. Terreno ricorrente di tale tendenza si è da subito rivelato quello relativo alla procedura di “riconoscimento” dell’eurordine, snodo, invero, di fondamentale importanza nell’ambito dell’economia della nuova regolamentazione, poste le rilevanti implicazioni che ne conseguono. La pronuncia in commento ne è un esempio paradigmatico.
Nell’ambito di un procedimento relativo a reati in materia di evasione fiscale, la Procura della Repubblica di Bielefeld (Germania) emetteva un OEI per il compimento di attività istruttorie nel nostro Paese (segnatamente, perquisizione e sequestro di oggetti e documentazione). A fronte di tale istanza di assistenza, l’autorità giudiziaria italiana provvedeva senza aver previamente effettuato il necessario vaglio di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 108/2017: nessun provvedimento formale di riconoscimento dell’ordine era infatti rintracciabile in atti, con la ovvia conseguenza che nessuna comunicazione dello stesso era stata mai inviata alla difesa. Si rinveniva, invece, unicamente la conferma – indirizzata all’autorità emittente attraverso l’apposito modulo standard [3]– dell’avvenuta ricezione dell’ordine, in linea con quanto statuito dall’art. 6 del citato decreto. In sostanza, si era quindi verificato una sorta di “riconoscimento di fatto” dell’OEI, prescindendosi dall’adozione di un decreto ad hoc, adeguatamente motivato e debitamente notificato al difensore della persona indagata, come statuito dall’art. 4, comma 4 cit. Peraltro, pur dando atto di tali circostanze, riconoscendo – diversamente da quanto sostenuto dall’organo requirente – che nemmeno nel corpo del decreto di perquisizione e sequestro era possibile rinvenire la motivazione del menzionato giudizio di riconoscimento, anche il Giudice per le indagini preliminari provvedeva ad una svalutazione dell’importanza dell’adempimento de quo. Investito dell’opposizione ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 108/2017 avverso detto provvedimento, tale organo affermava infatti che la carenza in questione – definita mera “evenienza formale” – non poteva integrare un’ipotesi di nullità, posta l’assenza al riguardo, nel corpus normativo di disciplina dell’OEI, di una comminatoria di invalidità di ordine speciale. Di contrario avviso la difesa, che adiva la Corte di cassazione deducendo, con riferimento alle descritte modalità di riconoscimento per facta concludentia dell’ordine, violazioni di legge e mancanza di motivazione ex artt. 4 d.lgs. n. 108/2017, 178, comma 1, lett. c), c.p.p. e 125, comma 3, c.p.p. Si [continua ..]
Non si tratta, invero, del primo arresto giurisprudenziale volto a svilire la portata e la funzione del meccanismo di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine penale. Con una pronuncia di poco anteriore [4], i giudici di legittimità sono dovuti intervenire a censurare la ritardata comunicazione alla difesa del provvedimento – in quel caso sì esistente – adottato ai sensi dell’art. 4 cit. Più precisamente, nell’ipotesi in questione – relativa sempre ad un OEI di matrice tedesca volto al compimento in Italia di perquisizioni e sequestri – il pubblico ministero competente, dopo aver adottato il decreto di riconoscimento dell’ordine, aveva direttamente provveduto al compimento delle attività sollecitate, adempiendo ai correlati oneri informativi a favore della difesa a più di un mese di distanza dall’effettuazione delle stesse, in spregio a quanto previsto dalla normativa in materia. Ai sensi dell’art. 4, comma 4 d.lgs. n. 108/2017, infatti, allorché – come nel caso degli atti istruttori sollecitati – la disciplina interna preveda il diritto del difensore di assistere al loro compimento senza previo avviso, il provvedimento di riconoscimento dell’ordine deve essere comunicato «al momento in cui l’atto è compiuto», o quantomeno, «immediatamente dopo» [5]. È questo un adempimento di grande rilievo, specificamente volto a tutelare la parte interessata, decorrendo dallo stesso il termine di cinque giorni per presentare un’opposizione al G.i.p. con cui contestare la possibilità di dar corso alle attività sollecitate, facendo valere l’eventuale sussistenza di ragioni ostative al riconoscimento o all’esecuzione delle stesse, ovvero l’assenza di proporzionalità, o ancora la loro contrarietà ai principi fondamentali del Paese ricevente, bloccando così l’esecuzione dell’ordine ovvero la trasmissione dei risultati di quanto già compiuto (art. 13 cit.) [6]. La comunicazione tardiva del decreto di riconoscimento dell’OEI adottato dall’organo requirente, al contrario, risolvendosi in un ostacolo alla possibilità di reazione dell’indagato e del suo difensore avverso lo stesso, come riconosciuto dalla Corte di legittimità, determina una lesione delle prerogative difensive, [continua ..]
I delineati disorientamenti interpretativi registratisi nella giurisprudenza di merito impongono una riflessione sulla procedura di riconoscimento delineata all’art. 4 del d.lgs. n. 108/2017. Come è noto, l’ordine europeo di indagine costituisce un nuovo strumento di assistenza giudiziaria specificamente volto ad ovviare ai deficit di efficienza del sistema rogatoriale, che sostituisce nell’area dello spazio comune europeo. Esso, conformemente all’impostazione tradizionale in materia, si articola in una fase attiva ed in una passiva, a seconda che il nostro Paese sia il propulsore ovvero il recettore dell’istanza di cooperazione con l’estero. Non trattandosi di un meccanismo di mutuo riconoscimento “puro” [8], nella seconda delle eventualità menzionate, lungi dal darsi automaticamente corso alla richiesta ricevuta, occorre invece procedere preliminarmente ad un vaglio della stessa, onde verificarne la possibilità di esecuzione. Entro trenta giorni dalla sua ricezione – ovvero entro il diverso termine, comunque non eccedente i sessanta giorni, indicato dall’autorità emittente – il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui gli atti devono essere compiuti [9] procede ad un controllo preliminare sulla stessa possibilità di ottemperare all’assistenza richiesta, verificando la compatibilità giuridica degli atti sollecitati, che devono presentare determinati requisiti formali e sostanziali. È questo fondamentalmente un giudizio sull’ammissibilità della domanda di cooperazione, funzionale anche al dialogo tra le autorità giudiziarie coinvolte nella procedura di assistenza [10] L’organo requirente deve, infatti, innanzitutto verificare che non ricorra nessuna delle condizioni ostative contemplate agli artt. 2, comma 1, lett. a), 7, 9, commi 1, 2 e 3 e 10 del d.lgs. n. 108 del 2017: ordine emesso da un organo diverso dall’autorità giudiziaria o da questa non convalidato, contenuto incompleto o riportante informazioni erronee o non corrispondenti al tipo di atto richiesto, mancato rispetto del divieto di bis in idem, del principio di doppia incriminazione [11], di condizioni di immunità, del canone di proporzionalità, degli obblighi sanciti dall’art. 6 TUE e dalla Carta dei diritti [continua ..]
Il suddetto obbligo informativo costituisce un adempimento di fondamentale importanza, strumentale alla tutela dell’indagato: dalla sua effettuazione decorre, infatti, come detto, il termine di cinque giorni concesso a questi ed al suo difensore per presentare opposizione al G.i.p. avverso il decreto di riconoscimento dell’O.E.I. [16] (art. 13 d.lgs. n. 108/2017) [17]. È questa una rilevante novità rispetto alla vecchia disciplina rogatoriale: mentre quest’ultima non contemplava alcun rimedio avverso la decisione (positiva o negativa che fosse) della Corte di appello sull’exequatur [18], la nuova normativa consente l’esperibilità di un’impugnazione ad hoc avverso il decreto adottato ai sensi dell’art. 4 cit., con tutta probabilità in considerazione del fatto che a pronunciare tale provvedimento – ulteriore, rilevante novità del nuovo assetto normativo – è il pubblico ministero, ossia una parte [19], e non un organo giudicante (come avveniva, appunto, in passato con riferimento alle rogatorie), ragion per cui è opportuno consentire un sindacato giurisdizionale sullo stesso. Si tratta, sostanzialmente, di un controllo ex ante, ossia antecedente al compimento degli atti richiesti con l’ordine, o comunque, al trasferimento allo Stato estero dei risultati ottenuti con gli stessi [20]. Esso ha ad oggetto la ricevibilità in sé della domanda di assistenza e la possibilità di darvi corso, dovendo, perciò stesso, essere declinato alla luce delle medesime ragioni concernenti la riconoscibilità dell’ordine, già oggetto del sindacato effettuato dal Procuratore della Repubblica (artt. 2, comma 1, lett. a), 7, 9, commi 1, 2 e 3 e 10, d.lgs. n. 108/2017) [21]. Caratteristiche precipue del rimedio in discorso appaiono la limitata legittimazione all’attivazione (riconosciuta solo all’indagato ed al suo difensore), l’assenza di celebrazione di alcuna udienza (essendo il G.i.p. solo tenuto a sentire – evidentemente in forma cartolare – il procuratore della Repubblica [22]) e l’inoppugnabilità della decisione conclusiva. Tali profili procedimentali subiscono delle variazioni nell’eventualità in cui l’OEI abbia ad oggetto un sequestro probatorio. In tal caso, infatti, [continua ..]
Se ne ricava, dunque, il ruolo essenziale, in chiave di tutela delle prerogative difensive, del riconoscimento, che, da un lato, deve essere espresso ed adeguatamente motivato e, dall’altro, deve essere tempestivamente notificato alla difesa. Da queste due variabili dipende l’effettiva possibilità di reazione dell’indagato alle determinazioni del suo antagonista processuale. Evidente, infatti, che l’omissione di un esplicito giudizio ex art. 4 cit. – ritenuto compiuto in via di mero fatto – ovvero la sua tardiva comunicazione arrecano un inaccettabile vulnus alla posizione della difesa, privandola della possibilità di una pronta ed incisiva reazione a quello che – implicito o espresso – è pur sempre un atto di parte, su cui quanto mai opportuna è l’attivazione di un vaglio giurisdizionale. Per tali ragioni, come riconosciuto del resto anche dalla Suprema corte, la comunicazione del provvedimento di riconoscimento ex art. 4, comma 4, cit., non può ammettere “equipollenti”. Da un lato, non può infatti ritenersi equivalente alla stessa «la eventuale trasposizione dell’o.i.e. emesso dall’autorità estera, sia essa in forma parziale o addirittura integrale, nel “corpo” del decreto di perquisizione e sequestro adottato dall’autorità che provvede all’esecuzione», posto che «si confonderebbero, in tal modo, atti governati da presupposti, funzioni, finalità e rimedi impugnatori del tutto diversi»: «il controllo – non meramente formale, ma sostanziale – che l’autorità di esecuzione deve svolgere sulla legittima circolazione della cd. “eurordinanza”», e dunque, «sulla stessa condizione giustificativa dell’impulso dato alla procedura di cooperazione», verrebbe infatti indebitamente sovrapposto alla «legittima esecuzione degli atti di indagine o di assunzione probatoria che costituiscono, propriamente, l’oggetto della richiesta ivi formulata». [25] Dall’altro, nemmeno può ritenersi equipollente alla comunicazione del riconoscimento la mera conferma all’autorità emittente della ricezione dell’eurordine ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 108/2017. Come affermato dalla pronuncia in commento, [continua ..]