Ritocchi alla disciplina, piuttosto che una riforma; frammentari, poco innovativi, (salvo il veto al pubblico ministero di proporre appello incidentale), non privi di una dose d’ambiguità e, talvolta, persino inutili, gli interventi normativi in due tappe rivelano al fondo l’incompiuta ambizione di rimodulare i tempi del processo.
Criticisms on The System of Appeals in light of the Latest Reform The recent amendments provided by L. 103/17 and D.lgs. 11/18 were confined to unsystematic interventions, most of the time practically irrelevant, whose ultimate and real goal, seen clearly, was the adjustment of the duration of the trial.
PREMESSA
La scienza della legislazione – per usare qui “impropriamente” le parole di Gaetano Filangieri – ha subito una radicale metamorfosi; iniziato in sordina e poi divenuto plateale, il cambiamento poggia sull’idea di ritenere obsoleta la revisione strutturale di un codice o di una sua parte. Il legislatore, nonostante sia affetto da compulsione riformatrice, procede oramai con strategie micro-selettive su singoli settori della disciplina, talvolta stratificando interventi nella stessa materia capaci di generare imbarazzanti incertezze o, nella migliore delle ipotesi, crisi mnemoniche all’interprete; prenderne atto richiede di consegnare alla storia modelli e sistemi entro i quali collocare un’intera impalcatura normativa, anche quando si tratta di articolati che mettono in gioco la libertà personale.
Ai tempi della postmodernità, la dissoluzione di idee ben radicate e di schemi etici duraturi si riflette anche sulla natura e sulla tecnica della legislazione; campeggiano contingenza delle soluzioni e frammentarietà degli interventi, profili che, oramai, rappresentano costanti linee-guida.
Le conseguenze sono perlomeno due. Innanzitutto, ingiallisce l’esegesi sistematica, illo tempore sperimentata sugli impianti normativi saldi e “circolari” (i codici), con netto recupero di interesse verso l’indagine sintattico-grammaticale delle singole disposizioni, così, interpretate come monadi; la qual cosa, sul versante del significato da attribuire alla legge, presenta il rischio di clamorosi disorientamenti, stante anche l’imperfetta fattura linguistica di cui è spesso composta la disciplina. In secondo luogo, le riforme, anche se incidono su aree normative ben delimitabili, osservano un metodo atomistico, dove prevale la logica estemporanea dei “rattoppi funzionalistici”, di difficile cucitura nel tessuto pre-esistente.
Per non dire, sul piano più generale, delle esigenze di bassa cucina alle quali è piegata l’opera legislativa, dove conta poco la riflessione sui contenuti della disciplina e vale molto la ricaduta in termini di popolarità dei sostenitori, impegnati nella diffusione di etichette elogiative già sul prodotto in corso d’opera.
Non sfuggono a tale prospettiva le scelte concernenti le impugnazioni penali [1], dove gli scopi di riordino ed efficienza enunciati nei proclami ufficiali appaiono conseguiti in maniera sfumata, non senza una globale incuria verso il diritto di difesa e qualche tentativo di perseguire striscianti finalità di verticismo giudiziario.
Del resto, la trascuratezza dell’intervento riformatore, al di là della componente linguistica delle norme, emerge a prima lettura: si pensi, solo per fare un esempio, come alla contrazione dei poteri di impugnativa del pubblico ministero, in nome di una maggiore [continua..]