Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L´indefinito ambito applicativo del divieto di custodia carceraria ex art. 275, comma 2-bis, c.p.p., tra momento genetico e fase dinamica della vicenda cautelare (di Alessandra Giangrande, Cultore della materia in diritto processuale penale – Università del Salento)


La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulle ricadute cautelari della sopravvenuta condanna a pena infratriennale, acuendo il contrasto esistente in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine all’interpretazione dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. Molti gli argomenti che confortano la lettura proposta nella sentenza in commento, secondo cui il divieto cautelare si estende anche alla fase dinamica del vincolo coercitivo.

The indefinite extent of application of the prohibition of prison custody pursuant to article 275, paragraph 2-bis, c.p.p., between the genetic moment and the dynamic phase of the precautionary case

The Court of Cassation has returned to rule on the precautionary consequences of the supervening sentence with an infratriennial penalty, sharpening the existing conflict within the jurisprudence of legitimacy regarding the interpretation of article 275, paragraph 2-bis, c.p.p. There are many issues that support the reading proposed in the sentence in question, according to which the precautionary prohibition also extends to the dynamic phase of the coercive constraint.

Cautele personali: la proporzionalità della misura va garantita anche nella fase dinamica In materia di misure cautelari personali, l’impossibilità di applicare la custodia cautelare in carcere laddove sia pronosticabile l’irrogazione di una pena non superiore a tre anni di reclusione, di cui all’art. 275, comma 2-bis, c.p.p., costituisce una regola di valutazione della proporzionalità della custodia in carcere di cui va tenuto conto, ai sensi dell’art. 299, comma 2, c.p.p., anche nella fase dinamica della misura cautelare, in particolare allorché sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite, evenienza che impone la sostituzione della custodia in carcere con altra misura meno afflittiva. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. L’ordinanza impugnata è stata emessa il 10 settembre 2020 dal Tribunale del riesame di L’Aquila ed ha confermato quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti che aveva applicato a N.R. la misura cautelare della custodia in carcere per più episodi di tentato furto aggravato di autovetture. L’ordinanza è stata eseguita a seguito di estradizione. 2. Contro l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’impu­tato, lamentando omessa motivazione circa la possibilità dell’applicazione di una pena superiore ai tre anni di reclusione. Su questo tema aveva insistito il riesame proposto, rappresentando che – data la sanzione riservata al coimputato che registrava un maggior numero di contestazioni, più gravi di quelle del N. – quella prevedibile per il ricorrente sarebbe stata contenuta nel limite di cui all’art. 275, comma 2-bis c.p.p. 3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso perché, data la posizione del ricorrente, non sarebbe pronosticabile l’irrogazione di una pena inferiore ai tre anni di reclusione. 4. Con PEC del 5 gennaio 2021, l’Avv. Cacaci per il ricorrente ha depositato una memoria, a cui ha allegato la sentenza che il Tribunale di Chieti ha pronunziato nei confronti dell’imputato a seguito di rito abbreviato, condannandolo alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 800 di multa; l’intervenuta pronunzia – si legge nella memoria – dimostrerebbe la fondatezza del ricorso ed esalterebbe il vizio del provvedimento impugnato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato e, per l’effetto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto all’applicazione della custodia in carcere, con conseguente scarcerazione del ricorrente se non detenuto in carcere per altra causa e collocazione del medesimo agli arresti domiciliari presso uno dei luoghi di cui all’art. 284 c.p.p. che egli indicherà all’atto [continua..]

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SOMMARIO:

1. La vicenda - 2. La querelle giurisprudenziale e la soluzione del supremo collegio - 3. Gli argomenti a sostegno del decisum - 4. Riflessioni de iure condendo - NOTE


1. La vicenda

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla possibile estensione del perimetro applicativo dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. alla fase dinamica della misura cautelare. L’occasione di una nuovo dictum sulla delicata quaestio iuris è offerta ai giudici di legittimità dal ricorso proposto dal difensore dell’imputato avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame confermava quella del Giudice per le indagini preliminari, che aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere, omettendo di considerare – secondo quanto opinato dalla difesa in sede di riesame ex art. 309 c.p.p. – che, già in fase applicativa della misura, era pronosticabile l’irrogazione di una pena inferiore ai tre anni di reclusione: giudizio prognostico cui, di regola, l’art. 275 comma 2-bis c.p.p. correla il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere. La difesa, nelle more della decisione in commento ed a supporto della doglianza, ha portato all’at­tenzione della Suprema Corte la sopravvenuta sentenza di condanna dell’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione ed euro ottocento di multa, per i fatti oggetto dell’addebito cautelare. Tale esito processuale ha, dunque, imposto alla Corte di valutare non solo la tenuta argomentativa dell’ordinanza del Tribunale del riesame «nella prospettiva del tempo della sua emissione», ma anche le ricadute sulla vicenda cautelare della sopravvenuta sentenza di condanna emessa a carico del ricorrente ad una pena inferiore ai tre anni.


2. La querelle giurisprudenziale e la soluzione del supremo collegio

Il dilagante fenomeno del sovraffollamento carcerario, principale causa del malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano [1], ha mosso il legislatore verso ardimentose iniziative di riforma tese a decomprimere la presenza carceraria. In questa prospettiva, l’art. 8 del d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 117, ha interpolato l’art. 275 c.p.p. introducendo, al comma 2-bis, il generale divieto di applicare la misura della custodia cautelare in carcere «se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni». L’indefinito perimetro spazio-procedimentale del divieto in questione ha generato sbandamenti interpretativi, forieri di un acceso dibattito in seno alla giurisprudenza di legittimità. L’indirizzo ampiamente maggioritario della Suprema Corte, sedimentatosi a partire dall’approva­zione del d.l. n. 92/2014, è tetragono nel limitare l’operatività del divieto alla fase genetica della misura cautelare: dunque, la sentenza di condanna infratriennale sopravvenuta alla prima applicazione della misura non produce effetti caducatori automatici del vincolo carcerario [2]. Sul fronte opposto si schiera un minoritario indirizzo, dell’avviso che la disposizione di cui all’art. 275, comma 2-bis, secondo periodo, c.p.p., operante in sede di prima applicazione della misura, costituisca «una regola di valutazione della proporzionalità della custodia in carcere di cui va tenuto conto (...) anche nella fase dinamica della misura cautelare, in particolare allorché sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite (...)» [3]. L’orientamento espresso dalla Corte nella sentenza in epigrafe è perfettamente allineato a ques­t’ul­timo approccio. In tale controverso scenario giurisprudenziale, occorre innanzi tutto evocare il dato normativo di riferimento. Come è noto, il legislatore, attraverso i canoni di cui all’art. 275 c.p.p., ha voluto guidare il giudice nella scelta della misura cautelare da disporre nel caso concreto, una volta riscontrata l’esistenza dei presupposti applicativi (artt. 273, 274 e 280 c.p.p.) [4]. In particolare, l’organo giudicante deve, innanzi tutto, tener conto della idoneità [continua ..]


3. Gli argomenti a sostegno del decisum

La soluzione della Suprema corte appare condivisibile. Una significativa conferma della correttezza dell’approccio ermeneutico da essa seguito si ricava dalla stessa lettera dell’art. 275 c.p.p. In primo luogo, la rilevanza del divieto in parola tanto in sede genetica quanto in fase dinamica può essere ricavata, con un’operazione di ortopedia esegetica, da una lettura combinata del primo periodo dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. – che pone il divieto di custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari in ipotesi di prognosi favorevole in ordine alla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena – e dell’art. 300, comma 3, c.p.p., secondo il quale «quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna, le misure perdono efficacia se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionalmente sospesa». Ebbene, nonostante l’art. 300 c.p.p. non contempli una disposizione che riconosca effetti caducatori automatici del vincolo carcerario alla pronuncia della sentenza di condanna a pena infratriennale sganciata dalla concessione della sospensione condizionale della pena, non sfugge come l’espressione adoperata nel secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 275 c.p.p. sia sostanzialmente identica a quella impiegata nel primo periodo: dunque, se l’inciso «non può essere applicata la misura della custodia cautelare» di cui al primo periodo del comma 2-bis è suscettibile di trovare applicazione sia nella fase genetica della misura che durante l’esecuzione del vincolo coercitivo, analoga conclusione è prospettabile con specifico riferimento all’espressione «non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere» impiegata nel secondo periodo del comma 2-bis. In definitiva, la misura coercitiva custodiale di massimo rigore non può essere disposta, a fronte di una prognosi di condanna a pena non ultratriennale, e non può essere mantenuta, qualora nel corso della sua esecuzione si materializzi la condizione ostativa della condanna infratriennale [12]. Il secondo e più significativo argomento è desumibile dalla clausola di riserva contenuta nello stesso art. 275, comma 2-bis, c.p.p.: essa, come si è visto, prevede, tra le deroghe al divieto in esame, l’ipotesi di «trasgressione alle [continua ..]


4. Riflessioni de iure condendo

Non passa inosservata la peculiare complessità della situazione in cui l’imputato, già sottoposto a custodia cautelare in carcere, venga condannato ad una pena contenuta nei tre anni di reclusione, senza la concessione della sospensione condizionale: un simile epilogo processuale chiama il giudice a compiere una delicata valutazione, che sfugge ad automatismi presuntivi, circa la misura sostitutiva di quella carceraria idonea a salvaguardare i pericula libertatis. Tuttavia, il legislatore potrebbe rimediare alla lacuna normativa intervenendo sul segmento esecutivo del vincolo cautelare. In quest’ordine di idee, sarebbe plausibile l’inserimento nell’art. 300 c.p.p. di un nuovo comma così formulato: “La custodia cautelare in carcere si converte nella misura degli arresti domiciliari quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché non definitiva, ad una pena detentiva non superiore a tre anni. È fatto obbligo al giudice che procede di verificare l’idoneità di uno dei luoghi di cui all’art. 284 comma 1 c.p.p., all’uopo indicati dall’imputato”. Andrebbe in ogni caso preservato il potere dell’organo giudicante ex art. 299 c.p.p. di disporre la revoca della misura domiciliare o la calibratura delle sue modalità esecutive ovvero di procedere alla sua sostituzione con altra, meno afflittiva, misura coercitiva o interdittiva idonea a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano, secondo il principio del “minor sacrificio necessario”.


NOTE
Fascicolo 5 - 2021