Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Risposte giuridiche integrate in materia penal-tributaria e compatibilità dell'art. 649 c.p.p. al divieto di "double jeopardy" europeo (di Marco Lo Giudice)


Nel quadro dell’ampio dibattito sulla compatibilità dei sistemi sanzionatori “dualistici” (amministrativo e penale), la questione della conformità del “doppio binario” penale-tributario, rispetto alle coordinate fornite dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, trova nella sentenza in analisi un importante snodo.

Recependo il diritto vivente europeo stabilizzatosi sull’esegesi dell’art. 4 prot. add. 7 alla Cedu, e prendendo atto della mutata fisionomia del divieto di bis in idem, la Corte costituzionale ha restituito gli atti al giudice a quo affinché rivaluti la rilevanza della questione alla luce della criteriologia dettata dalla sentenza A. e B. c. Norvegia.

Se infatti, da mero meccanismo preclusivo di litispendenza de facto, il divieto di bis in idem europeo è divenuto una garanzia condizionata, finalizzata a evitare al cittadino un “eccessivo fardello” dovuto alla spirale di reiterate iniziative “penali”, spetta al giudice rimettente verificare, ai fini della rilevanza della questione, se sussiste o meno un legame temporale e materiale (“close connection in substance and in time”) tra i due procedimenti ed eventualmente rilevare la preclusione processuale, se del caso, anche sollecitando un intervento costituzionale ove le regole rituali risultino non idonee a eliminare un pregiudizio per l’accusato.

In tale contesto spetterà al giudice “comune” (e forse anche al legislatore) orientarsi tra i criteri – alquanto nebulosi – della connessione procedimentale temporale e sostanziale, declinazioni specifiche del principio fondamentale che, invero, richiederebbero ulteriori evoluzioni chiarificatrici da parte della Corte europea.

Integrated legal response in criminal and tax matters and compatibility of the art. 649 c.p.p. to the european "double jeopardy" prohibition

In the context of the broad debate on the compatibility of the "dualistic" administrative-penal punishing systems, the question of the conformity of the "double binary" criminal-tax, with respect to the coordinates provided by the jurisprudence of the European Court of Human Rights, found, in the sentence that is commented, an important junction.

By adhering the European “law in action” which has stabilized on the exegesis of art. 4 prot. add. 7 to the Cedu, and taking note of the changed appearance of the prohibition of bis in idem, the Constitutional Court returned the documents to the national court to revalue the relevance of the question in light of the criteria established by the sentence A and B. c. Norway.

If in fact, from a mere preclusive mechanism (litispendenza de facto) the prohibition of bis in idem European has become a conditional guarantee aimed at avoiding an “excessive burden” to the citizen, it is up to the referring court to verify, for the relevance of the question, whether (or not) if there is “sufficiently close connection in substance and in time” between the two procedures and, if necessary, to detect the procedural foreclosure also by requesting a constitutional intervention where the ritual rules are not suitable for eliminating a prejudice for the accused.

In this context it is the duty of the judge (and also of the rule-maker) to navigate between the criteria – rather nebulous – of the temporal and substantial procedural connection, criteria that, indeed, would require further clarification from the European Court.

 
IL GIUDIZIO A QUO La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Monza [1] originava da un giudizio instaurato nei riguardi del titolare di una ditta individuale, imputato del delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Come è noto, la citata fattispecie incriminatrice punisce «chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte». Innanzi al giudice a quo, l’imputato era accusato di aver omesso la presentazione della dichiarazione relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’imposta sul valore aggiunto per somme superiori alle soglie di punibilità. Tuttavia, la medesima condotta posta in essere dall’imputato era già stata oggetto, nel quadro di un sistema a doppio binario gradualistico [2], di una sanzione irrogata a seguito di un accertamento amministrativo. Infatti, sul fronte tributario, e anteriormente all’esercizio dell’azione penale, l’imputato, ai sensi degli artt. 1, comma 1, e 5, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (i.e. la riforma delle sanzioni tributarie “non penali”), era stato sanzionato, in misura pari al 120 per cento di entrambe le imposte evase (IRPEF e IVA). Sanzione che, ai sensi del citato art. 5, comma 1, è qualificata testualmente come “amministrativa”. In virtù della maggior speditezza dell’accertamento tributario (che sul piano prasseologico è la regola) rispetto al giudizio penale, la conseguente risposta sanzionatoria “amministrativa” aveva assunto, nel frattempo, il carattere della definitività, anche se l’esecuzione, così come previsto dall’art. 21 d.lgs. n. 74 del 2000, era rimasta sospesa in ragione dell’esistenza di una notizia di reato avente a oggetto la medesima condotta. Sulla base di tali elementi fattuali il giudice a quo avrebbe dovuto giudicare l’imputato, nell’esercizio del proprio sindacato giurisdizionale penale, per la medesima condotta omissiva già oggetto di sanzione, dovendo al più accertare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato: il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Ad avviso del remittente, però, la catalogazione della sanzione già irrogata all’imputato come “amministrativa” doveva necessariamente essere obliterata alla luce dei c.d. “Engel criteria” cioè quei parametri enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai fini dell’individuazione della natura della sanzione scrutinata. Non era in dubbio che la riforma delle sanzioni “non penali”, introdotta oltre venti anni addietro, aveva dato vita al classico [continua..]

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Fascicolo 4 - 2018