Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Procedimento per decreto penale e opposizione preventiva del querelante. Linee-guida per un modello partecipativo di giustizia penale monitoria (di Stefano Ruggeri)


Con la recente sentenza n. 23 del 2015 la Corte costituzionale dichiara incostituzionale l’opposizione preventiva al rito monitorio, promossa dal querelante nei procedimenti per reati perseguibili a querela. La decisione consente una messa a fuoco dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, una giurisprudenza che abbandona oggi la tradizionale ricostruzione del rito, concepito quale procedimento a contraddittorio eventuale e differito, alla ricerca di una nuova legittimazione della tutela monitoria. Questo scritto si allontana dall’argomentazione della Corte che, esaltando l’accelerazione procedimentale prodotta dal procedimento per decreto, lascia intravedere i chiari segni di un modello lontano dall’equilibrio tra valori confliggenti verso cui da anni si muove specie la giurisprudenza europea. Nell’evidenziare la necessità di una ricostruzione del rito in esame orientata ai diritti della persona, la presente analisi mira inoltre a mettere a punto alcune linee-guida per la definizione di un modello partecipativo di giustizia penale monitoria.

Penal order and preventative opposition of the complainant Guide-lines for a participatory model of penal order proceedings

In its recent judgment No. 23 of 2015, the Italian Constitutional Court has declared the regulation on penal order procedures unconstitutional, in that it enabled the complainant to a preventative opposition to a penal order in case of criminal proceedings for offences that can only be prosecuted after a lawsuit by the victim. This ruling reveals a significant development in the constitutional case-law, which has shifted from the traditional understanding of penal order procedures, characterised by a subsequent involvement of the defence, towards a new constitutional justification. The present discussion departs from the reasoning of the Constitutional Court which, while exasperating the need for a speedy criminal justice, highlights a view of criminal proceedings that steps away from the balances among conflicting interests towards which especially the European Court has moved for several years. This paper stresses the need for a human rights-oriented reflection, while elaborating some guide-lines for the establishment of a truly participatory model of penal order procedures.

PREMESSA Con la sentenza n. 23 del 2015 la Corte costituzionale ha deciso sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 c.p.p., sollevata dal Tribunale ordinario di Avezzano con riguardo all’opposizione preventiva al rito monitorio, promossa dal querelante nei procedimenti per reati perseguibili a querela. La questione sorse in séguito all’iniziativa del pubblico ministero che, nel formulare richiesta di decreto penale nonostante l’opposizione del querelante, investì l’autorità giurisdizionale della legittimità della disciplina codicistica rispetto a due parametri costituzionali. In primo luogo, rispetto al principio di ragionevolezza, nella misura in cui l’opposizione preventiva del querelante, così come strutturata dalla l. n. 479 del 1999, non soddisferebbe alcun interesse giuridicamente apprezzabile. In secondo luogo, rispetto al principio di ragionevole durata del processo, sacrificato a giudizio dell’organo requirente dalla necessità per il pubblico ministero di optare per il rito ordinario in conseguenza dell’iniziativa della persona offesa. Nell’investire il giudice delle leggi, il Tribunale di Avezzano aggiunse a tali censure una terza, concernente il principio di obbligatorietà dell’azione penale, che non tollererebbe alcuna interferenza sulle modalità di adizione della giurisdizione da parte del pubblico ministero. La Corte costituzionale accoglie tuttavia la questione rispetto alle più ristrette censure proposte dal pubblico ministero, argomentando sulla violazione sia del canone della ragionevolezza per carenza di scopo legittimo della soluzione legislativa sia del principio di durata ragionevole del procedimento. La decisione si lascia apprezzare, più che per le conclusioni cui perviene, perché consente una messa a fuoco dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul procedimento monitorio, una giurisprudenza che sin dai suoi esordi [1] ha segnato la ricostruzione dominante di questo rito, determinandone la sopravvivenza nonostante radicali censure mosse dalla dottrina [2] e accompagnandone il passaggio all’attuale codificazione [3]. Nell’abbandonare significativamente la tradizionale ricostruzione del rito, il giudice delle leggi sembra tuttavia orientarsi verso una fragile legittimazione del procedimento monitorio, un procedimento la cui compatibilità coi canoni del fair trial deve essere oggi definita alla luce sia della Costituzione che della Convenzione europea. Il presente scritto si allontana dall’argo­men­tazione della Corte che, esaltando l’accelerazione procedimentale prodotta dal procedimento per decreto, lascia intravedere i chiari segni di un modello lontano dall’equilibrio tra valori confliggenti verso cui da anni si muove specie la giurisprudenza europea. [continua..]

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