Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

04/02/2020 - Corte e.d.u., 4 febbraio 2020, Kruglov e a. c. Russia

argomento: corti europee - mezzi di prova e di ricerca della prova

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Adiscono la Corte europea venticinque cittadini russi che, in qualità di  avvocati e consulenti legali, denunciano la violazione del diritto sancito nell’art. 8 Cedu, a causa delle perquisizioni illegittimamente disposte dalla autorità giudiziaria, all’interno dei rispettivi studi professionali e abitazioni. La trattazione del ricorso,  indipendentemente dalle peculiarità del caso concreto, offre ai Giudici l’occasione per ripercorrere, ribadendoli, i criteri - guida della materia, così come definiti nella pregressa elaborazione giurisprudenziale. L’atteggiamento persecutorio e molesto nei confronti di chi esercita la professione legale, costituisce un attacco al cuore stesso dell’intero sistema di valori consacrati nella Convenzione: questo l’incipit dei Giudici di Strasburgo, il cui spirito permea di sé l’intero articolato argomentativo, a cominciare, dalla estensione della tutela di cui all’art. 8 Cedu a tutte quelle misure che, a prescindere dal nomen iuris loro attribuito nei singoli ordinamenti nazionali (ispezioni - esami sulla scena del crimine), si risolvano in un intervento investigativo sovrapponibile per modalità esecutive e relativi effetti pratici, alla perquisizione. Riconducibili anch’esse, nella sostanza, al concetto di “interferenza”, soggiacciono ai rigorosi limiti  che ne condizionano la legittimità. Segue l’ideale catalogo del “dover essere” della perquisizione da eseguire presso lo studio legale o la privata abitazione del difensore; lo compongono: necessità di una preliminare operazione di bilanciamento tra  tutela della riservatezza del rapporto fiduciario e  prosecuzione delle indagini; esistenza di garanzie efficaci contro possibili abusi ed arbitri, quali la gravità del reato per cui la perquisizione stessa è disposta, benché autorizzata in via preventiva o sottoposta a successiva convalida in sede giurisdizionale; presenza di un ragionevole sospetto circa la presenza di materiale rilevante per l’indagine all’interno del luogo da perquisire; previsione di modalità esecutive idonee a garantire la riservatezza dei documenti coperti da segreto professionale; assistenza, durante la perquisizione, di personale terzo competente a decidere sulla rilevanza di un documento ai fini della indagine,  laddove per impedirne il sequestro il professionista abbia opposto il segreto; formulazione del  mandato in termini circoscritti così da contenere la discrezionalità degli investigatori; necessaria proporzionalità tra vulnus alla riservatezza della relazione fiduciaria, da un lato, e   scopo legittimamente perseguito, dall’altro. Proprio la rilevata assenza di tale ultimo requisito nella concreta vicenda esaminata, determina i Giudici a dichiarare la violazione del diritto dei ricorrenti riconosciuto dall’art. 8 Cedu.