Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Legge n. 137 del 2023 e investigazioni (digitali) sotto copertura: la cedevolezza del “modello sostanzialista”, l'assenza di uno statuto processuale, la necessità di una rivoluzione copernicana nell'approccio alla materia (di Stefano Ciampi, Professore associato di Procedura penale – Università degli Studi di Trieste)


Nel corso degli ultimi sette lustri, le investigazioni undercover hanno vissuto un’inarrestabile dinamica espansiva, pregna di significati simbolici, finendo con l’innervare ampie parti del nostro sistema, fino ad assurgere, in certi contesti, a canone operativo ordinario. La loro tradizionale configurazione quale strumento eccezionale è ormai inattuale. In particolare, a fronte delle modifiche apportate dalla l. 9 ottobre 2023, n. 137, allo statuto generale delle operazioni sotto copertura, si assiste a un vigoroso potenziamento dell’istituto, in ragione dell’esplicita valorizzazione di un’ampia gamma d’investigazioni digitali, le cui capacità pervasive non hanno eguali. Con drammatica evidenza si pone, dunque, oggi, il tema dell’assenza di una compiuta disciplina processuale delle operazioni undercover, le quali, sin dai loro esordi normativi, risalenti al 1990, si presentano in scena con le vesti del diritto penale sostanziale, funzionali a schermare gli agenti sotto copertura dai possibili risvolti penalistici del loro operato. Una scelta, questa, compatibile con l’assetto dei primordi, quando l’istituto si allocava, effettivamente, in pertugi e anfratti della materia penalistica, ma insostenibile in epoca coeva, ove l’eccezione è diventata regola e, in particolare per effetto della l. n. 137/2023, fa leva su operazioni digitali le cui enormi potenzialità investigative si traducono in altrettanto rilevanti minacce nei confronti dei diritti fondamentali della persona e dei principi-cardine del giusto processo.

Law no. 137/2023: the New Digital Undercover Investigations between Criminal Law and Criminal Procedure

Over the past decades, undercover investigations have experienced an unstoppable expansive dynamic. Their traditional configuration as a singular and exceptional instrument is now out of date. In particular, as a result of the amendments introduced by Law no. 137/2023 to Article 9 of Law no. 146/2006, a drastic strengthening of the subject has taken place, due to the explicit enhancement of a wide range of digital investigations, whose enquiring capabilities are unequalled. As a consequence, the issue related to the lack of a complete procedural regulation on undercover operations arises dramatically.

SOMMARIO:

1. Dal d.p.r. n. 309/1990 alla l. n. 137/2023: coordinate planimetriche di un’incessante dinamica espansiva - 2. Legge n. 137/2023, potenziamento delle investigazioni digitali sotto copertura e valorizzazione del ruolo del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo: quadro di sintesi - 3. Le “nuove” investigazioni digitali sotto copertura - 4. «On the Internet, nobody knows you’re a dog»: investigazioni digitali sotto copertura e provocazione - 5. Riserve di legge e di giurisdizione per le operazioni sotto copertura? - 6. Nemo tenetur se detegere, previa acquisizione di una notitia criminis e rispetto della presunzione d’innocenza - 7. Agente undercover, iscrizioni nel registro delle notizie di reato e ripercussioni sul raggio operativo della testimonianza anonima - 8. Riflessioni conclusive - NOTE


1. Dal d.p.r. n. 309/1990 alla l. n. 137/2023: coordinate planimetriche di un’incessante dinamica espansiva

Trentaquattro anni fa, il fictus emptor compiva il proprio esordio sulla scena normativa nazionale: l’ambito era quello della legislazione speciale in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope e la sua fisionomia tratteggiava l’identikit della più nota fra le operazioni sotto copertura della polizia giudiziaria. L’imprinting era di matrice sostanziale [1], dato che il legislatore aveva semplicemente cura di stabilire a quali condizioni l’acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope fosse “non punibile”, al netto di quel «fermo il disposto dell’articolo 51 del codice penale», evocativo di altre, più ampie tutele, di cui potenzialmente avvalersi grazie alla disciplina generale dell’«esercizio di un diritto o [dell’]adem­pimento di un dovere». La norma da ultimo citata, peraltro, è strutturalmente complessa, poiché affianca a una causa di giustificazione, alias scriminante, funzionale a elidere l’antigiuridicità di un fatto in ipotesi tipico e colpevole (art. 51, comma 1, c.p.), fattispecie di esclusione della punibilità dovute a deficit di colpevolezza, vuoi per elisione del dolo (errore sul fatto determinato da errore su legge extrapenale, ex art. 51, comma 3, c.p.), vuoi per c.d. inesigibilità (scusante ex art. 51, comma 4, c.p.). La notazione non è superflua, poiché quel richiamo a una norma del codice penale veniva (comprensibilmente) assunto a termine di riferimento per inquadrare, dal punto di vista dogmatico, la non punibilità sancita dalla lex specialis, sicché l’eterogeneità strutturale e funzionale della prima intricava i ragionamenti relativi alla seconda, creando nodi che, ancor’oggi, non possono dirsi definitivamente sciolti. A tali incertezze si affiancavano altre, di matrice processuale, poiché il dianzi menzionato approccio alla materia, prettamente sostanzialista, trascurava in toto sia le questioni relative all’interconnessione fra indagini preliminari e operazioni undercover, sia quelle concernenti an et quomodo della fruibilità in sede processuale dei risultati delle seconde [2]. A puro titolo d’esempio, qualche interrogativo che, d’allora in poi, ha impegnato i cultori della [continua ..]


2. Legge n. 137/2023, potenziamento delle investigazioni digitali sotto copertura e valorizzazione del ruolo del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo: quadro di sintesi

Assente nel testo originario del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, l’ultimo tassello normativo [12] delle operazioni undercover viene scolpito, in sede di conversione, dalla l. n. 137/2023, la quale apporta rilevanti modifiche allo statuto generale recato dall’art. 9 l. n. 146/2006. Segnatamente, il legislatore del 2023 enfatizza il ruolo delle investigazioni digitali sotto copertura, con specifico riferimento ai reati di matrice terroristica [13] o eversiva e a quelli, ex se “informatici”, qualora vengano «commessi ai danni delle infrastrutture critiche informatizzate individuate dalla normativa nazionale e internazionale». Il primo versante si caratterizza per l’integrazione di quanto già previsto dall’art. 9, comma 1, lett. b), l. n. 146/2006, il quale, sin dall’entrata in vigore della stessa [14], rispetto ai «delitti commessi con finalità di terrorismo» (la menzione della finalità eversiva è postuma e si deve all’art. 8, comma 1, l. 13 agosto 2010, n. 136), ammette «gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell’Arma dei carabinieri specializzati nell’attività di contrasto al terrorismo e all’eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo» a compiere «le attività di cui alla lettera a)», purché queste s’innestino «nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, [vengano poste in essere] al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti» in discorso. Non sarà superfluo ricordare che la citata «lettera a)» rappresenta il ricettacolo normativo nel quale, premesso un elenco di reati che è andato progressivamente ampliandosi, lo statuto delle operazioni sotto copertura ne compendia le ipotesi “tradizionali”, escludendo che gli ufficiali di polizia giudiziaria siano punibili qualora, anche per interposta persona: – «[diano] rifugio o comunque prest[i]no assistenza agli associati», – «acquist[i]no, ricev[a]no, sostituisc[a]no od occult[i]no denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, [continua ..]


3. Le “nuove” investigazioni digitali sotto copertura

Dunque, le innovazioni più significative della novella del 2023 in materia di operazioni sotto copertura concernono la dimensione digitale delle stesse. Viene, anzitutto, in gioco la possibilità, per gli ufficiali undercover, d’introdursi «all’interno di un sistema informatico o telematico», ove presupposto implicito è che l’introduzione avvenga clandestinamente, abusivamente, cioè violando limiti o protezioni concepiti per consentire solo accessi selezionati, in forza di uno ius admittendi aut prohibendi. La previsione si rispecchia nell’art. 615-ter, comma 1, c.p., che incrimina e punisce con la reclusione fino a tre anni «chiunque abusivamente si introduc[a] in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mant[enga] contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo». Né passa inosservata l’aggravante speciale di cui comma 2, integrata, inter cetera, «se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio». Si coglie, così, in modo piuttosto limpido, l’intento del legislatore: scriminare o, comunque, escludere la punibilità dell’agente undercover che commetta fatti tipici ai sensi della menzionata norma incriminatrice o di altre che possano assumersi violate a fronte, ora di un accesso abusivo a un «sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza», ora della permanenza all’interno dello stesso contro la volontà del titolare dello ius excludendi. Per converso, esula dal perimetro in discorso l’attività di mero monitoraggio della rete, che la polizia giudiziaria può compiere senza incontrare particolari ostacoli, ove si risolva «nella osservazione di contenuti visibili alla generalità dei naviganti», ancorché sfoci in «attività di raccolta e analisi di informazioni provenienti da fonti ‘aperte’» [29]. La prospettiva cambia, tuttavia, ove gli operatori si avvalgano «di programmi informatici di raccolta, elaborazione e raffronto automatizzato di dati, in grado di tracciare, attraverso una sorveglianza continua, il profilo comportamentale del [continua ..]


4. «On the Internet, nobody knows you’re a dog»: investigazioni digitali sotto copertura e provocazione

In generale, le operazioni sotto copertura pongono almeno tre ordini di macro-questioni teoriche: in primis, vengono in gioco gli interrogativi sull’ascrivibilità all’agente undercover della responsabilità penale per le condotte poste in essere e, specularmente, sulle strategie di disinnesco delle stesse (il che val quanto dire, definizione delle attività autorizzate e loro qualificazione giuridica); in secundis, si staglia il problema della punibilità del soggetto provocato o che, comunque, abbia interagito con l’infiltrato, subendone un rilevante condizionamento; infine, s’impone l’analisi delle condizioni funzionali alla metabolizzazione, in seno al procedimento penale, degli elementi lato sensu probatori acquisiti nel corso delle operazioni in parola. Ciascuno di questi versanti è stato scandagliato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, a cui va riconosciuto il merito di avere affrontato un coacervo di problemi, prospettandone articolate – sebbene non sempre collimanti – soluzioni. Al contempo, colpisce la latitanza del legislatore, che, nonostante le innumerevoli tornate di riforma che hanno investito la materia, persiste, pervicacemente, in un atteggiamento abulico. La novella del 2023, in particolare, potenziando le indagini digitali sotto copertura, sembra avere gettato le basi per un’esasperazione dei problemi, posto che la tipologia d’investigazione in discorso alimenta, più di quella tradizionale, i dubbi che assillano gli interpreti. Si pensi, anzitutto, alla polemica nei confronti dell’agente provocatore, riassumibile, oggi, nell’as­sunto secondo cui, in un ordinamento autenticamente democratico, non si può ammettere che lo Stato si cimenti, prima, nella provocazione dei reati tramite propri emissari [51] e, poi, nella repressione dei medesimi illeciti, commessi dai soggetti provocati. Del fenomeno la Corte di Strasburgo ha offerto un’interessante “declinazione processuale”, ravvisando una violazione dei canoni convenzionali del due process of law e, dunque, dell’art. 6 C.e.d.u. nell’ipotesi in cui un cittadino venga condannato per un reato alla cui commissione sia stato determinato da un surrettizio apporto istigatore di un agente sotto copertura [52]. Sempre alla Corte e.d.u. si deve [continua ..]


5. Riserve di legge e di giurisdizione per le operazioni sotto copertura?

Rappresenta un’affermazione generalmente condivisa quella secondo cui le investigazioni sotto copertura rappresentano «uno strumento singolare ed eccezionale […], da impiegare con cautela e solo in casi legislativamente predeterminati» [60], in ossequio a una riserva di legge che si ritiene imposta dalle norme sovraordinate che tutelano diritti e interessi suscettibili di lesione o compressione per effetto delle operazioni in discorso. Riserva di legge il cui rispetto sostanziale, non meramente formale, pretende l’edificazione di un apparato di regole chiaro, preciso, univoco, inteso a definire i casi e i modi in cui l’operazione sotto copertura può essere disposta e attuata [61], col riflesso, prettamente processuale, di sanzionare la fuoriuscita dal perimetro legislativo con l’inutilizzabilità dei relativi risultati. I comportamenti in cui si sostanziano le operazioni de qua, infatti, sarebbero vietati alla polizia giudiziaria, poiché integranti fatti illeciti, se non fosse per la lex specialis che, espressamente, li autorizza; sicché, ove vengano posti in essere praeter o contra legem, s’incorrerà nella violazione di divieti probatori impliciti o indiretti, rilevanti ex art. 191 c.p.p. [62]. Date queste premesse, non passerà inosservata la differente metodologia selettiva adottata dalle lett. b) e b-ter) dell’art. 9, comma 1, l. n. 146/2006 rispetto all’altra coppia – lett. a) e b-bis) – che compone il medesimo comma: se quest’ultima s’impernia su elenchi di singole fattispecie incriminatrici o su “famiglie” di reati, le prime (che sono poi quelle direttamente interessate dalla riforma del 2023) adottano l’una un criterio teleologico («delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione»), l’altra un criterio incentrato sul target dell’attività illecita («reati informatici commessi ai danni delle infrastrutture critiche informatizzate individuate dalla normativa nazionale e internazionale»). È una tecnica, quella delle lett. b) e b-ter), che abbandona la catalogazione casistica e nominativa, per prediligere la valorizzazione di caratteristiche rinvenibili in un novero a priori indeterminabile di reati [63]: sebbene, dal punto di vista formale, [continua ..]


6. Nemo tenetur se detegere, previa acquisizione di una notitia criminis e rispetto della presunzione d’innocenza

Quelle che intercorrono fra operazioni sotto copertura e nemo tenetur se detegere sono relazioni pericolose. La dottrina v’insiste da tempo [74], perché «dalle barriere poste a garanzia del nemo tenetur se detegere (artt. 62 e 63 c.p.p.) è ricavabile l’impossibilità di trarre elementi di responsabilità da apporti de relato e tracce informatiche con cui s’introducano nel procedimento enunciati dichiarativi – provocati o spontanei – resi dall’indagato (o indagabile) al cyber-agente, rappresentativi di eventi già accaduti o descrittivi di precedenti condotte; ciò anche qualora sia stato proprio il narrato a far sorgere indizi a carico prima inesistenti» [75]. Sebbene si stia discutendo di una delle prime massime del garantismo penale, non ve n’è traccia nella lex specialis. Un vuoto (l’ennesimo) che si coniuga, del resto, con l’ambiguità che, da sempre, contraddistingue i rapporti di consequenzialità tra acquisizione di una notitia criminis e indagini sotto copertura [76], ambiguità dovuta al fatto che le seconde si prestano benissimo a perlustrare il mondo reale e virtuale alla ricerca di notizie di reato non ancora emerse o ai fini del contrasto d’illeciti in fieri, collocandosi, così, in un segmento pre-procedimentale, teleologicamente orientato alla prevenzione, non alla repressione dei reati. Se, tuttavia, si ascrive il giusto peso alle locuzioni «al solo fine di acquisire elementi di prova» e «ufficiali di polizia giudiziaria», che, com’è noto, accomunano tutte le fattispecie legislative che trattano di investigazioni sotto copertura – lettere a), b), b-bis) e b-ter) dell’art. 9, comma 1, l. n. 146/2006; art. 14 l. n. 269 del 1998 –, si addiviene alla conclusione secondo cui «le azioni undercover si possano svolgere esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già instaurato e, comunque, successivamente all’acquisizione della notizia di reato» [77], pur nella consapevolezza che l’appeal delle operazioni in discorso potrebbe favorire un’impropria, quanto strumentale, dilatazione del concetto di notitia criminis, onde creare – artatamente – le [continua ..]


7. Agente undercover, iscrizioni nel registro delle notizie di reato e ripercussioni sul raggio operativo della testimonianza anonima

Se, in una chiave ricostruttiva che va oltre il gracile statuto legislativo della l. n. 146/2006, si condivide quanto dianzi affermato in merito alla necessità che le operazioni sotto copertura presuppongano, sia l’esistenza di una notizia di reato, sia un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che fondi l’ini­ziativa degli organi di vertice delle forze di polizia, i quali, concretamente, disporranno le operazioni in discorso, è difficile sposare la tesi secondo cui, a conclusione delle investigazioni sotto copertura, la posizione dell’agente infiltrato sarebbe destinata a tradursi in un’iscrizione nel registro delle notizie di reato. La tesi in parola [80], indubbiamente molto lineare, percorre il seguente itinerario logico-giuridico: l’a­gente undercover pone in essere fatti tipici, eventualmente nella forma del concorso di persone nel reato; la disciplina delle attività sotto copertura forgia delle scriminanti speciali; le scriminanti, nel nostro sistema processuale, non fulminano sul nascere il concetto stesso di notitia criminis, bensì catalizzano una disciplina che giustifica l’archiviazione dell’addebito o l’assoluzione dall’accusa elevata, per deficit di antigiuridicità; dunque, la posizione dell’agente sotto copertura deve trovare spazio nel registro ex art. 335 c.p.p., fermo restando che, se il soggetto ha operato nei limiti della lex specialis, sarà dovuta l’ar­chiviazione, la quale ultima avrà il pregio d’introdurre un vaglio finale del giudice per le indagini preliminari, sottraendo, così, al binomio pubblico ministero-polizia giudiziaria il dominio “esclusivo” delle operazioni undercover. Formalmente impeccabile, ci sembra, tuttavia, che tale impostazione si presti a un’obiezione, in quanto rischia d’invertire, nello specifico contesto delle investigazioni in esame, quella che dovrebbe essere la regola con le possibili eccezioni. Invero, se – in linea con quanto dianzi affermato – si assume che le operazioni sotto copertura presuppongano una notizia di reato già acquisita e richiedano un’autorizzazione preventiva del pubblico ministero, allora, agli occhi di quest’ultimo, l’operato dell’agente undercover, in condizioni fisiologiche, non [continua ..]


8. Riflessioni conclusive

Se, all’indomani della legislazione antiterrorismo del 2015, si poteva provare la «sensazione» che del processo penale «import[asse] a tutto concedere l’involucro esteriore», in quanto funzionale «a giustificare certi poteri considerati altrimenti inattingibili o ad ammantarli d’indipendenza dall’Esecutivo chiamando in causa la pallida figura del magistrato» [88], oggi, la sensazione è che finanche quello “scrupolo” e quell’evocazione delle liturgie processuali per mere finalità strumentali siano venuti meno. Il legislatore, ormai «privo di remore nell’impiegare le scriminanti per realizzare la propria agenda programmatica» [89], in questa materia alimenta, da anni, un moto profondo che, se non adeguatamente governato, rischia di favorire una torsione del processo penale, «trasfigurandolo da strumento di garanzia a strumento di contrasto della criminalità dagli accesi toni preventivi» [90]. Dalla loro nascita come «strumento singolare ed eccezionale […], da impiegare con cautela» [91], quale «eccezionale deviazione dalle tecniche investigative ordinarie» [92], le investigazioni undercover hanno vissuto un’inarrestabile dinamica espansiva, pregna di significati simbolici, finendo con l’innervare ampie parti del nostro sistema [93], fino ad assurgere, in certi contesti, a ordinario canone operativo. Ciononostante, «manca […] una disciplina dinamica dell’investigazione, tesa a ricondurla nell’alveo delle indagini preliminari, individuandone, oltre ai reati per i quali è ammissibile, presupposti fattuali di azionabilità, modalità di documentazione, limiti operativi per la salvaguardia di beni costituzionali, garanzie difensive, protocolli esecutivi, sanzioni processuali. Il tutto è rimesso […] alla piena discrezionalità, non oggettivizzata, degli inquirenti, senza alcun vaglio giurisdizionale e senza che siano prescritti giudizi prognostici, necessità o indispensabilità dell’atto, proporzionalità rispetto alle prerogative lese» [94]. Tali criticità, predicabili rispetto alle attività undercover “tradizionali”, compendiate sub art. 9, comma 1, lett. a), l. n. 146/2006, vedono il loro tasso di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024