Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'inammissibilità “de plano” del ricorso per cassazione privo di uno specifico mandato ad impugnare: una lettura estensiva non priva di insidie (di Francesca Tribisonna, Dottoressa di ricerca in Diritto processuale penale – Università di Roma “La Sapienza” – Avvocato – Università degli Studi di Cagliari)


Dopo aver ripercorso alcune delle ragioni poste a fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale ormai maggioritario che prevede l’estensione dello specifico mandato ad impugnare per il difensore dell’imputato assente anche in sede di ricorso per cassazione, il contributo si sofferma sull’elemento di novità sottoposto all’attenzione del Collegio, ossia la possibilità di pronunciare l’inammissibilità de plano nel caso in cui il ricorso sia privo di tale mandato. La soluzione positiva prescelta denota, ancora una volta, la volontà di prediligere le finalità deflative a scapito dei diritti della difesa.

The inadmissibility “de plano” of the appeal to the Court of Cassation without a specific mandate to appeal: a problematic extensive reading

After having retraced some of the reasons underlying the now majority jurisprudence which provides for the extension of the specific mandate to appeal for the lawyer of the absent defendant also in the appeal to the Court of Cassation, the article focuses on the new matter brought to the attention of the Court, i.e. the possibility of ruling de plano in the event that the appeal lacks that mandate. The positive solution chosen denotes, once again, the willingness to favor deflationary purposes to the detriment of the rights of the defense.

Anche il ricorso per cassazione va corredato dello specifico mandato ad impugnare e, in difetto, la sua inammissibilità può essere dichiarata senza formalità di procedura MASSIMA: Nel caso di ricorso per cassazione proposto, in violazione dell’art. 581, comma 1-quater, c.p.p., dal difensore del­l’imputato assente privo di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza, è possibile dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione con procedimento “de plano” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25 settembre 2023 la Corte di appello di Milano confermava la decisione, emessa il 20 luglio 2022, con la quale il Tribunale di Milano aveva condannato Omissis alla pena ritenuta di giustizia per il reato previsto dagli artt. 633 e 639-bis cod. pen. 2. Ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto da un difensore non munito dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputata dopo la pronuncia della sentenza di appello. 2. L’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, prevede che «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’ele­zione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio». In ragione della disposizione transitoria di cui all’art. 89, comma 3, del citato decreto, la nuova norma è applicabile alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del decreto stesso (30 dicembre 2022), essendo irrilevante che la dichiarazione di assenza sia avvenuta prima o dopo l’entrata in vigore della riforma. Nel caso in esame l’imputata fu dichiarata assente nel primo grado di giudizio, il suo difensore impugnò la sentenza del Tribunale nella vigenza della precedente normativa e il giudizio di appello si svolse senza trattazione orale. Si deve ritenere, pertanto, che anche nel giudizio di secondo grado, celebratosi con trattazione cartolare, l’imputata fu giudicata in assenza, considerato che, secondo quanto disposto dal comma 1 dello stesso art. 89, «quando, nei processi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, [continua..]

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SOMMARIO:

1. La problematica sottoposta all’attenzione della Corte - 2. L’estensione dello specifico mandato al ricorso per cassazione - 3. In nome dell’efficienza. Tanto è cambiato... nulla è cambiato - 4. Ruolo del difensore: una rappresentanza “monca” - 5. Esiste un diritto al processo in Cassazione? - 6. L’inammissibilità come panacea di tutti i mali e la sua declaratoria “de plano” - 7. Considerazioni finali alla luce del c.d. disegno di legge Nordio - NOTE


1. La problematica sottoposta all’attenzione della Corte

Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità sono stati investiti del ricorso di un’imputata avverso la sentenza con la quale la Corte di merito ha confermato la condanna emessa in primo grado alla pena ritenuta di giustizia per il reato di invasione di terreni o edifici. Senza entrare nel merito delle doglianze formulate dalla ricorrente, la Corte di cassazione, in via preliminare ed assorbente, dichiara inammissibile il ricorso, in quanto presentato dal difensore dell’imputata giudicata in assenza [1] privo dello specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, oggi richiesto ai sensi dell’art. 581-quater c.p.p., come introdotto dalla c.d. Riforma Cartabia [2]. Poiché la sentenza oggetto di ricorso rientra nel periodo di applicazione temporale della norma, così come delineato ai sensi dell’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150/2022 [3], la Corte, anche sulla scorta di una serie di precedenti conformi, conclude per l’applicazione della succitata previsione al giudizio di cassazione. Tuttavia, l’elemento di novità su cui si interroga il Collegio riguarda la possibilità di dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione con procedimento de plano (“senza formalità di procedura”). A tale quaestio iuris si ritiene di poter dare una risposta affermativa nonostante il contrastante tenore letterale dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., suffragando la propria decisione con la valorizzazione della tipologia di vizio che si verifica in caso di presentazione del ricorso in assenza dello specifico mandato. Integrandosi, infatti, un vero e proprio difetto di legittimazione, l’esclusione dalla procedibilità semplificata per le ipotesi di cui all’art. 581 c.p.p. non dovrebbe contemplare anche l’eventualità di cui si discute, che sarebbe ancora menzionata nella citata previsione per un mero difetto di coordinamento tra norme.


2. L’estensione dello specifico mandato al ricorso per cassazione

Con la prima parte della pronuncia di cui si discute si pone l’ennesimo tassello a sostegno di una giurisprudenza definita “costante e consolidata”, che ritiene estensibili al ricorso per cassazione le formalità contenute al novellato comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Esse si pongono in stretta correlazione con la nuova disciplina del processo in assenza, tesa a ridurre il rischio di celebrare processi a carico di imputati involontariamente inconsapevoli, assicurando, d’altro canto, il diretto coinvolgimento dell’im­putato, ora chiamato a rilasciare al difensore uno specifico mandato per impugnare, che rappresenta un ulteriore indice di conoscenza certa della pendenza del processo [4]. Osserva sul punto l’ordinanza in commento come tale previsione debba ritenersi senz’altro applicabile al giudizio in cassazione non solo in ragione della collocazione sistematica della norma “Forme dell’impugnazione” nell’ambito del libro IX dedicato in generale alle stesse, ma anche in considerazione della ratio sottesa alla Riforma che è quella di sanzionare le impugnazioni, anche per il giudizio di cassazione, avendo comunque attenzione alla salvaguardia dei diritti delle parti e delle garanzie del giusto processo [5]. Ebbene, a fronte di una tale argomentazione, si deve osservare come, in realtà, il tema della collocazione sistematica non appaia dirimente, atteso che proprio in seno alla disposizione di cui all’art. 581 c.p.p. sono anche inserite norme specifiche per il solo appello, quale quella di cui al comma 1-bis. Così come, seppur sia vero che dal riferimento, di cui al comma 1, lett. c) dello stesso articolo, alle “richieste, anche istruttorie” non si sia tratta l’inapplicabilità nel resto della norma al ricorso per cassazione quantunque nel giudizio di legittimità non possano articolarsi richieste istruttorie [6], da ciò non può dedursi che la previsione si estenda a tutte le impugnazioni. In maniera del tutto significativa, si è parlato dell’art. 581 c.p.p. come di una “disposizione generale a cerchi concentrici”, che in alcune parti si riferisce a tutte le impugnazioni ordinarie e in altre unicamente all’appello della sentenza di primo grado [7], trovandosene riscontro, per esempio, in materia cautelare, dove la norma si applica ma [continua ..]


3. In nome dell’efficienza. Tanto è cambiato... nulla è cambiato

L’interpretazione della legge è certamente un’attività particolarmente complessa, che, tuttavia, non può prescindere dall’ancoraggio al principio di legalità, fondamento e limite della materia penale [34]. Prendendo questo come assunto di partenza e richiamando gli ultimi approdi raggiunti in sede di legittimità, si deve ricordare come la Riforma Cartabia non possa essere letta e compresa se non collocandola sistematicamente nell’ambito di quel disegno voluto dal legislatore europeo, cui l’Italia ha aderito, impegnandosi a velocizzare i tempi processuali e a garantire l’efficienza del processo [35] a seguito delle raccomandazioni del PNRR. La fase delle impugnazioni è, in tal senso, a torto o a ragione, considerata una delle più critiche, di talché si imponeva la necessità, non solo di intervenire sulla ragionevole durata dei giudizi di impugnazione una volta instaurati, ma anche di limitarne la possibilità di avvio in ingresso. Se, nella prima direzione, chiaro è stato il solco già tracciato con la l. 27 settembre 2021, n. 134 [36] mediante l’introduzione dell’istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ex art. 344-bis c.p.p.; nella seconda direzione, non possono che segnalarsi e le limitazioni all’impugnabilità [37] e i nuovi requisiti richiesti ai sensi dell’art. 581 c.p.p. Tra questi ultimi – stando all’oggetto del presente contributo – vengono, appunto, in rilievo le modifiche dei commi 1-ter e 1-quater c.p.p. Con la prima novella si delega sostanzialmente il legale dell’onere di individuare l’imputato – e non le altre parti private [38] – al fine di assicurare la conoscenza del processo e, dunque, la sua corretta citazione a giudizio. La seconda modifica impone, invece, al difensore dell’imputato assente di depositare un mandato ad hoc ricevuto dopo la pronuncia della sentenza da impugnare e che contenga al suo interno la dichiarazione o elezione di domicilio sempre ai fini della citazione a giudizio. Nel cercare un senso più aulico ai precipitati normativi di cui si tratta, si rischia di rimanere delusi. Nemmeno soccorre la chiarezza normativa; cosa che avrebbe avuto, quantomeno, il pregio [continua ..]


4. Ruolo del difensore: una rappresentanza “monca”

Le ultime considerazioni svolte impongono una riflessione sul ruolo del difensore e sull’estensione delle relative prerogative. Al fine di comprendere se lo specifico mandato ad impugnare di cui si discute possa a ragione ritenersi un’incombenza ultronea, tale da limitare l’esercizio delle facoltà insite nella nomina difensiva e da mortificare il ruolo indisponibile della difesa tecnica e la natura pubblicistica della funzione difensiva [60], occorre primariamente interrogarsi sulla natura dello specifico mandato di cui al comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Così, andando a riesumare ancora una volta le osservazioni che dottrina e giurisprudenza ebbero modo di sviluppare con riferimento all’analisi delle caratteristiche dello “specifico mandato” menzionato dall’art. 571, comma 3, c.p.p. ante legge Carotti, doveva escludersi che esso implicasse obbligatorietà di una procura speciale, da rilasciarsi con atto pubblico o scrittura privata autenticata e contenente, tra le altre indicazioni, la determinazione dell’oggetto per cui era conferita e dei fatti ai quali si riferiva, così come statuito al primo comma dell’art. 122 c.p.p. Esso, al contrario, rinviava alle forme previste per la nomina e, dunque, alle più semplici modalità di cui all’art. 96, comma 2, c.p.p., essendo sufficiente che lo stesso fosse conferito con dichiarazione contestuale o susseguente alla designazione del legale resa all’autorità procedente. In particolare, rispetto all’impugnazione nell’interesse dell’imputato, si osservava in dottrina che il difensore vi fosse «legittimato in virtù non di un potere di rappresentanza attribuito pro casu, con negozio ad hoc, ma della stessa qualifica rivestita; nella particolare ipotesi di sentenza contumaciale [...], quindi, si tratta[va] solo di rimuovere, mediante una sorta di “autorizzazione”, un ostacolo all’esercizio d’un diritto di cui il medesimo [era] già titolare» [61]. Allo stesso modo, però, dalla considerazione invalsa in giurisprudenza secondo cui vi fosse la necessità per il difensore di esplicitare la contemplatio domini, operando costui in condizioni di “non autonoma legittimazione” [62], si potrebbe trarre che ci si trovasse dinanzi ad una “legittimazione [continua ..]


5. Esiste un diritto al processo in Cassazione?

Stando così le cose, ci si deve domandare se esista o meno un diritto “al” processo, alla giurisdizione, all’accesso al giudice – prima ancora che al giudice delle impugnazioni e della cassazione, nello specifico – che deve essere tenuto distinto dai diritti esercitabili “nel” corso del processo stesso. Ebbene, a fronte di un tale quesito non si deve indugiare nel rispondere che un tale diritto – che è posizione soggettiva e garanzia al tempo stesso – pur non disciplinato expressis verbis, sia certamente insito nel sistema, rappresentando logico presupposto per l’esercizio dei diritti in seno alla giurisdizione: solo garantendo ex ante l’accesso alla giurisdizione, si potrà poi pretendere ex post il rispetto delle garanzie del giusto processo [79]. Così, l’art. 6 Cedu, nel prevedere il “diritto ad un processo equo”, ricorda al par. 1 che «ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge» e l’art. 14 par. 5 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici [80] – replicato dall’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [81] – dispone che “Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge”. Peraltro, l’accesso al giudice, seppure non sia considerato assoluto secondo gli insegnamenti della Corte di Strasburgo, può subire limitazioni solo a condizione che esse non ne intacchino la sostanza e perseguano uno scopo legittimo [82]. In questa direzione è perfino la Corte costituzionale a ricordare che di fronte alla garanzia assicurata al cittadino dall’art. 111 Cost. – che l’autorizza a invocare il riesame di legittimità di qualsiasi sentenza [83] – «nessuna norma che, in contrario, restringa tale diritto, escludendolo in casi determinati, anche se a tutela di altre esigenze, può ritenersi conforme al dettato costituzionale [84]». Addirittura, con riferimento ai valori in gioco invocati dalle modifiche in [continua ..]


6. L’inammissibilità come panacea di tutti i mali e la sua declaratoria “de plano”

Il nostro sistema processual-penalistico garantisce il “diritto di accesso alle impugnazioni”, sia di merito che, soprattutto, di legittimità, e, tuttavia, un accesso svincolato alle stesse si è rivelato nel tempo incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo. Come è stato osservato, l’ordine diffuso è quello di stringere i corridoi di passaggio da un grado all’altro e lo strumento che è parso, a tal fine, più idoneo, è quello dell’inammissibilità – definita “panacea ideale per avere numeri più gestibili” [96], ma anche “sanzione onnivora” capace di fagocitare il mezzo di controllo [97] – che consente di calmierare il numero dei ricorsi che giungono ad impegnare effettivamente il magistrato. L’inammissibilità va intesa nel senso di inettitudine dell’atto a produrre un effetto giuridico suo proprio [98] e la sua declaratoria è una causa di invalidità degli atti che riguarda l’inosservanza di norme che condizionano l’idoneità di un atto ad introdurre fasi eventuali del processo principale o procedimenti incidentali [99]. Considerati gli esiti che ne scaturiscono, può essere considerata la più grave delle sanzioni processuali, atteso che il mancato avvio del segmento processuale cui la parte tendeva determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata [100]. Se così è, ben si comprende perché l’eccessivo ricorso alla sua declaratoria sia oggetto di severe critiche [101]. Tuttavia, la mancanza dei requisiti dell’atto richiesti a pena di inammissibilità non determina ex se la sua irricevibilità, producendo quale effetto il dovere del giudice di applicare il relativo trattamento [102]. Questi, infatti, ha sempre l’obbligo di adottare una pronuncia nella quale è tenuto ad esplicitare le ragioni per cui non può e non deve emettere il provvedimento che risolve il merito [103]. Nello specifico, la causa di inammissibilità può essere dichiarata all’esito di differenti procedure, più o meno garantite, che si attivano al ricorrere di determinati presupposti. Nel caso di specie, come rilevato dal Collegio, la questione nuova che lo stesso era chiamato a decidere «riguarda[va] la [continua ..]


7. Considerazioni finali alla luce del c.d. disegno di legge Nordio

Come detto, il d.d.l. Nordio è ormai giunto al suo esame alla Camera a seguito di un lungo iter [119]; qualora dovesse essere approvato con le modifiche introdotte ad opera del Senato in sede di emendamenti, con un colpo di spugna si vedrà in toto eliminata la previsione di cui al comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p., mentre quella di cui al comma 1-quater rimarrà operativa per il solo difensore d’ufficio dell’im­putato assente. Se, a prima vista, la novella è stata salutata con favore – rappresentando indiscutibilmente un “primo passo” a fronte dell’ambita eliminazione integrale dei due commi di cui si discute [120] – ad uno sguardo più attento l’unico aspetto davvero positivo sembra essere la riduzione della platea di destinatari della sciagurata previsione di cui si discute. Molteplici restano, infatti, le problematicità ancora osservabili. La modifica, intervenuta solo da ultimo senza essere stata preceduta da idonea riflessione di sistema, manca innanzitutto di coordinarsi con l’impianto complessivo come ridisegnato ad opera della Riforma Cartabia, che tali commi aveva introdotto. Cosa che emerge in maniera fin troppo evidente laddove sol si pensi al fatto che, pur venendo meno la necessità dell’elezione di domicilio ai fini della citazione a giudizio, permane nell’ordito codicistico la previsione di cui all’art. 157-ter, comma 3, c.p.p., secondo cui proprio in caso di impugnazione proposta dall’imputato non detenuto o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti deve essere eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater. Va da sé che superandosi la necessità della stessa – quantomeno per l’imputato presente e per quello assente però assistito da un difensore di fiducia – la citata statuizione diverrà inapplicabile, determinando, nei fatti, la reviviscenza delle previsioni generali di cui agli artt. 157, comma 8-ter e 161, commi 01 e 1, c.p.p. [121]. Inoltre – e paradossalmente – pur nell’ottimismo di chi vede il bicchiere mezzo pieno per il parziale successo che ci si aspetta di ottenere in sede di Riforma della giustizia, non ci si può sottrarre da una [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024