Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Procura europea e misure investigative: la pronuncia della Corte di Giustizia e il suo impatto sul sistema (di Domenico Gaspare Carbonari, Dottorando di ricerca in Pluralismi giuridici. Prospettive antiche e attuali – Università degli Studi di Palermo)


Dopo più di un anno dall’avvio delle attività investigative della Procura europea, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sugli artt. 31, par. 3, e 32 del regolamento (UE) 2017/1939, in tema di indagini transfrontaliere. Con una decisione tanto attesa, i giudici hanno affermato che l’autorità giudiziaria del PED dello Stato assegnatario, in sede di autorizzazione giudiziale, deve limitarsi a una verifica sugli elementi relativi all’esecuzione della misura, e non su quelli relativi alla giustificazione e all’adozione della misura stessa, i quali devono essere sottoposti a un previo controllo giurisdizionale nello Stato del Ped incaricato in situazioni di “grave ingerenza nei diritti della persona”.

The UE Court of Justice on the control of cross border investigative measures by EPPO

More than a year after the start of the investigation activities of the European Public Prosecutor’s Office, the Court of Justice has been called upon to rule on art. 31(3) and 32 of Regulation (EU) 2017/1939 on cross-border investigations. In a long-awaited decision, the judges affirmed that the judicial authority of the European Delegated Prosecutor of the assigned State, at the time of judicial authorization, must limit itself to a verification of the elements relating to the execution of the measure, and not those relating to the justification and adoption of the measure itself, which must be subject to prior judicial review in the State of the handling European Delegated Prosecutor in situations of “serious interference with the rights of the person”

La Corte di Giustizia UE sul controllo sulle misure investigative transfrontaliere di EPPO MASSIMA: Gli artt. 31 e 32 del regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea, devono essere interpretati nel senso che: il controllo effettuato in seno allo Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza, qualora una misura investigativa assegnata richieda un’autorizzazione giudiziaria conformemente al diritto di tale Stato membro, può vertere solo sugli elementi relativi all’esecuzione di tale misura, e non sugli elementi relativi alla giustificazione e all’adozione della misura stessa, i quali devono essere sottoposti ad un previo controllo giurisdizionale effettuato nello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato del caso in situazioni di grave ingerenza nei diritti della persona interessata garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto 26. Un procuratore europeo delegato tedesco ha avviato, per conto della Procura europea, un’in­dagine per frode fiscale su larga scala e appartenenza a un’organizzazione criminale costituita al fine di commettere reati fiscali. 27. Nell’ambito di questa indagine, l’imputazione a carico della B.O.D. e dei suoi dirigenti G.K. e S.L. è di violazione della normativa doganale, avvenuta importando biodiesel di origine americana nel­l’Unione dietro presentazione di false dichiarazioni, causando un danno che si presume ammonti a EUR 1 295 000. 28. Il 9 novembre 2021 un procuratore europeo delegato austriaco incaricato di prestare assistenza, nell’ambito dell’assistenza fornita a tale indagine in forza dell’art. 31 del regolamento 2017/1939, da un lato, ha disposto perquisizioni e sequestri, sia nei locali commerciali della B.O.D. e della sua società madre sia presso i domicili di G.K. e di S.L., tutti situati in Austria e, dall’altro, ha chiesto ai giudici austriaci competenti di autorizzare tali misure. 29. Dopo aver ottenuto le autorizzazioni richieste, tale procuratore europeo delegato austriaco incaricato di prestare assistenza, ha ordinato all’autorità tributaria competente l’esecuzione effettiva di dette misure, che tale autorità ha eseguito. 30. Il 1° dicembre 2021, G.K., la B.O.D. e S.L. hanno presentato dinanzi all’Oberlandesgericht Wien (Tribunale regionale superiore del Land, Vienna, Austria), giudice del rinvio, ricorsi contro le decisioni dei tribunali austriaci che hanno autorizzato le misure in questione. 31. Dinanzi a tale giudice, G.K., la B.O.D. e S.L. fanno valere, in particolare, che non è stato commesso alcun reato in Austria, che i sospetti a loro carico sono insufficienti, che tali decisioni dei tribunali [continua..]

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SOMMARIO:

1. Le questioni pregiudiziali - 2. Le indagini transfrontaliere: sistema di mutuo riconoscimento o cooperazione sui generis? - 3. L’autorizzazione giudiziale: un più elevato standard di tutela? - 4. La tesi del controllo completo - 5. (Segue): e quella della ripartizione dei compiti - 6. La lettura “funzionalistica” della Corte di Giustizia - 7. Il controllo giurisdizionale preventivo - 8. Le questioni aperte - NOTE


1. Le questioni pregiudiziali

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 21 dicembre 2023 della Grande Sezione [1], è intervenuta, per la prima volta, su un profilo centrale dell’attività della Procura europea (di seguito: EPPO) [2]: quello legato alle misure investigative “transfrontaliere”, disciplinate dagli art. 31 e 32 del Regolamento 2017/1939 [3], con il quale è stato delineato lo statuto del nuovo organismo d’indagine per il contrasto ai reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea. Il tema è stato da subito oggetto di grande attenzione da parte dello stesso Collegio EPPO che, nel 2022, aveva adottato delle Linee guida proprio sull’applicazione del menzionato art. 31, nelle quali si sosteneva l’esigenza di rendere il nuovo meccanismo di cooperazione meno “burocratico” «rispetto agli atti dell’Unione che attuano il principio del reciproco riconoscimento» [4], tra i quali, un posto di rilievo assume certamente la Direttiva 2014/41/UE sull’ordine europeo di indagine penale (di seguito: OEI) [5]. Ebbene, l’art. 31, par. 1, del regolamento indica il metodo operativo da seguire nel caso di misure investigative da compiere fuori dal territorio del Procuratore europeo delegato (di seguito: Ped) incaricato del caso, caratterizzato dall’“assegnazione” al Ped dello Stato membro in cui la misura in questione debba essere eseguita. I successivi paragrafi 2 e 3 delineano poi un sistema complesso di “assistenza” caratterizzato dal­l’interazione tra lex fori e lex loci [6]. In particolare, il diritto dello Stato del Ped incaricato governa la “giustificazione e [al]l’adozione” delle misure investigative che dovranno poi essere eseguite dal Ped “assegnatario”, ex art. 32, in conformità alle “formalità e procedure espressamente indicate” dal Ped incaricato, salva l’ipotesi di un “conflitto con i principi fondamentali del diritto dello Stato membro” del Ped chiamato a prestare assistenza. La situazione si complica laddove per l’esecuzione della misura sia necessaria un’autorizzazione giudiziaria. Se è richiesta ai sensi del diritto dello Stato del Ped incaricato di prestare assistenza, quest’ultimo la otterrà [continua ..]


2. Le indagini transfrontaliere: sistema di mutuo riconoscimento o cooperazione sui generis?

Il testo del menzionato art. 31 del Regolamento è il frutto di un lungo e complesso dibattito che ha visto il succedersi di diverse proposte e modifiche da parte della Commissione europea, del Consiglio dell’Unione europea e delle delegazioni degli Stati membri. Al centro del dibattito vi era la questione relativa alla necessità o meno di una doppia autorizzazione giudiziale estesa agli aspetti sostanziali delle misure investigative, con il risultato di aver tracciato una disciplina ambigua e, in apparenza, in controtendenza rispetto alle originarie aspettative del legislatore europeo. Prima di entrare nel merito della questione rimessa alla Corte di Giustizia, è opportuno soffermarsi sulla natura giuridica del meccanismo dell’assegnazione contemplato all’art. 31 del Regolamento, al fine di comprendere se la disposizione in esame rappresenti o meno il superamento del principio del reciproco riconoscimento, “pietra angolare” della cooperazione giudiziaria in materia penale. In senso positivo si è espressa parte della dottrina [11], ancorché l’EPPO non abbia realizzato quello spazio giuridico unico [12] vagheggiato nella Proposta di Regolamento del 2013. In particolare, si avrebbe «un marcato distacco dal concetto di cooperazione giudiziaria, il quale sottende l’idea di organi e istituzioni diversi che interagiscono tra di loro, pur mantenendo individualità e poteri autonomi» [13]. Più semplicemente, l’art. 31 sarebbe una forma di “cooperazione sui generis” [14], che diverge dal modello classico di collaborazione giudiziaria [15], perché basato sul metodo della consultazione [16] costante tra i Ped coinvolti [17]. Esemplificativo di questo nuovo modello operativo è il paragrafo 5 dell’art. 31, per il quale, in presenza di fattori che possono incidere sull’esecuzione della misura [18], il Ped assistente, anziché opporre il rifiuto, dovrà avviare una consultazione con il Ped incaricato per “risolvere la questione a livello bilaterale”. In maniera meno netta, l’AG, nelle sue conclusioni, ha affermato che «il sistema EPPO è qualcosa di più» ma non «qualcosa di diverso» dal mutuo riconoscimento [19] proprio per l’assenza di [continua ..]


3. L’autorizzazione giudiziale: un più elevato standard di tutela?

In questo contesto di cooperazione “sui generis”, si innesta la questione del regime autorizzativo delle misure investigative, oggetto di perplessità già durante i negoziati [31]. Al riguardo, l’originaria proposta di Regolamento del 2013 riteneva sufficiente – per il caso delle misure investigative più gravose [32] –– la sola autorizzazione dell’autorità giudiziaria dello Stato membro assistente. Posizione, questa, successivamente rivalutata nel corso delle trattative, ritenendo più conforme ai principi della cooperazione giudiziaria il modello della distribuzione delle competenze tra i Ped coinvolti nell’attività investigativa (cfr. Proposta del Consiglio dell’Unione europea del 2014) [33]. Tale ultimo modello è stato poi tipizzato nel Regolamento del 2017 che ha previsto, appunto, la possibilità di ottenere una o due autorizzazioni, a seconda che il provvedimento debba essere richiesto solo nello Stato del Ped incaricato o anche nello Stato del Ped assistente (o solo in quest’ultimo). Deve osservarsi, tuttavia, che la citata disciplina è affetta da lacune dovute, anzitutto, alla vaga e ambigua formulazione dell’art. 31 e del considerando 72; norme, entrambe, frutto di una logica di “compromesso” [34]. Il citato considerando 72, in particolare, statuisce che, se per “le misure è richiesta un’au­torizzazione giudiziaria, occorre specificare chiaramente in quale Stato membro essa dovrebbe essere ottenuta, ma in ogni caso dovrebbe esservene solo una”. Non si chiarisce, però, a quale autorizzazione debba farsi riferimento, né al relativo contenuto. La soluzione adottata si giustifica con l’esigenza degli Stati di mantenere il controllo sullo svolgimento delle indagini transfrontaliere, da intendere come la manifestazione della sfiducia nutrita nei confronti degli ordinamenti degli altri Stati membri [35]. Ciò è più evidente se si considera che la natura eurounitaria dei beni protetti dal Regolamento avrebbe imposto un’azione comune degli Stati membri, ex art. 86 TFUE, poiché lo scopo dell’istituzione della Procura europea è quello di «correggere le carenze dell’attuale sistema di contrasto basato esclusivamente sugli sforzi nazionali, conferendo a questi [continua ..]


4. La tesi del controllo completo

Le delegazioni governative tedesca e austriaca [47] hanno sostenuto che l’autorizzazione del giudice dello Stato del Ped assistente dovrebbe estendersi anche agli aspetti sostanziali che giustificano l’adozione stessa della misura (e, quindi, non soltanto gli aspetti procedurali). Si valorizza, in particolare, l’inter­pretazione letterale dell’art. 31, par. 3, prima frase, per cui, se è prevista un’autorizzazione dal diritto del Ped assistente, il giudice è tenuto al vaglio sulla giustificazione e sull’adozione della misura. Soluzione, questa, corroborata anche dal considerando 72, il quale prescrive, in ogni caso, una sola autorizzazione. Se è vero che la previsione di un’autorizzazione giudiziaria nello Stato del Ped assistente modificherebbe la legge applicabile – che non sarebbe più quella del Ped incaricato – allora deve concludersi che è il diritto del Ped assistente a «determinare la necessità e il contesto di un’autorizzazione giudiziaria» [48]. La suddetta interpretazione letterale, da un lato, irrobustisce lo standard di tutela dei diritti fondamentali degli indagati e, dall’altro, previene l’eventuale insufficienza del mero controllo formale della misura. Nell’ottica dell’effettività della tutela, il Regolamento attribuisce al Ped assistente il compito di effettuare il test di proporzionalità sulle misure assegnate [49]: e infatti, il doppio controllo (formale e sostanziale) sarebbe preferibile – a parere delle delegazioni – sia perché gli ordinamenti nazionali predispongono ulteriori garanzie procedurali, sia perché è necessario mitigare l’incidenza di una norma “straniera” sul grado di tutela dei diritti nello Stato di esecuzione [50]. Deve osservarsi, peraltro, che la conclusione in commento sarebbe conforme anche ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia, per la quale – anche se con riguardo all’OEI – «la tutela nei confronti di interventi dei pubblici poteri nella sfera di attività privata di una persona, sia fisica che giuridica, che siano arbitrari e sproporzionati, rappresenta un principio generale del diritto dell’Unione» [51]. Parimenti, il Regolamento che, nel delineare un apparato minimo di garanzie difensive, ha lasciato agli Stati membri la [continua ..]


5. (Segue): e quella della ripartizione dei compiti

Il risultato cui perviene la tesi del controllo completo appare in controtendenza sia rispetto agli obiettivi del Regolamento sia alla stessa disciplina dell’OEI. Se così fosse, allora sarebbe stato preferibile il ricorso ai tradizionali istituti di cooperazione giudiziaria, primo fra tutti l’OEI. Di contrario avviso il Collegio EPPO, il quale, nelle Linee guida adottate nel 2022 [56], sosteneva che «il principio sancito dall’articolo 31, paragrafo 2, del regolamento EPPO – la giustificazione e l’adozione delle misure sono disciplinate dalla legge dello Stato membro del procuratore europeo delegato (PDE) incaricato – rispecchia il principio secondo cui le ragioni di merito e le condizioni per l’adozione di eventuali misure transfrontaliere all’interno dell’UE sono disciplinate dalla legge dello Stato membro emittente e possono essere impugnate solo in tale Stato membro». In linea con tale principio, «il tribunale competente dello Stato membro dell’EDP che presta assistenza non dovrebbe richiedere ulteriori prove o documenti giustificativi e non valutare la “giustificazione” e i “motivi sostanziali” per intraprendere la misura». Il rimando alle citate linee guida non appare, però, sufficiente, perché la soluzione orientata a negare un doppio controllo [57] sul merito passa, anzitutto, dall’interpretazione assiologicamente e sistematicamente orientata del Regolamento e dei principi eurounitari, tra questi quello dell’effetto utile degli atti UE e della leale collaborazione tra autorità. In tal senso, i paragrafi 2 e 3 dell’art. 31 delineano un sistema in cui, delle due autorizzazioni, solo quella rilasciata dal giudice dello Stato del Ped incaricato attiene alle condizioni giustificative della misura. L’effetto è, quindi, quello di ripartire le competenze giurisdizionali: infatti, mentre la prima e la seconda frase del paragrafo 3 attengono, rispettivamente, all’autorizzazione richiesta in entrambi gli Stati e all’autorizzazione richiesta solo nello Stato del Ped assistente, la terza frase riguarda, invece, l’ipotesi residuale dell’autorizzazione prevista solo nello Stato del Ped assistente (con una valutazione estesa, inevitabilmente, anche alla giustificazione della misura) [58]. L’art. 31 marcherebbe, [continua ..]


6. La lettura “funzionalistica” della Corte di Giustizia

Prima di analizzare la soluzione del giudice europeo, è opportuno soffermarsi sulle conclusioni del­l’AG e, in particolare, sull’interpretazione dallo stesso suggerita: «l’art. 31, par. 3, dovrebbe essere interpretato nel senso che consente all’organo giurisdizionale dello Stato membro del Ped assistente di controllare soltanto gli aspetti connessi all’esecuzione di una misura investigativa, accettando la valutazione operata dal Ped incaricato secondo cui la misura è giustificata, indipendentemente dal fatto che quest’ultima sia accompagnata o meno da una preventiva autorizzazione giudiziaria dell’organo giurisdizionale dello Stato membro del Ped incaricato. Tale interpretazione […] meglio risponde all’obiet­tivo […] di istituire un sistema efficiente» [70]. Il riparto delle competenze tra i Ped e i rispettivi giudici degli Stati membri è, dunque, funzionale all’operatività del meccanismo EPPO, in conformità ai principi dell’effetto utile e dell’effettività della tutela giurisdizionale. Muovendo da queste considerazioni, la Corte di Giustizia ha condiviso la tesi della ripartizione dei compiti, interpretando gli artt. 31 e 32 nel senso che il controllo effettuato dal giudice dello Stato del Ped assistente «può vertere solo sugli elementi relativi all’esecuzione della misura, e non sugli elementi relativi alla giustificazione e all’adozione della misura stessa, i quali devono essere sottoposti a un previo controllo giurisdizionale effettuato nello Stato membro del Ped incaricato». In sintesi, il giudice europeo ritiene che l’autorità giudiziaria dello Stato del Ped assistente non debba sindacare il merito della fattispecie, bensì limitarsi alla valutazione dei presupposti formali o di legittimità della misura. La conclusione cui giunge la Corte si apprezza anche perché conforme, come già anticipato, al dettato dell’art. 695-quinquies c.p.p., che preclude al giudice nazionale di esecuzione il controllo sulle ragioni di merito, salvo paventi una lesione dei diritti fondamentali dell’ordinamento giuridico. Siffatta soluzione è il risultato dell’applicazione congiunta dei criteri del riparto delle responsabilità e della residualità dei tradizionali strumenti di cooperazione giudiziaria. E infatti, [continua ..]


7. Il controllo giurisdizionale preventivo

L’assenza di ogni riferimento a un eventuale controllo successivo sull’adozione della misura, attivabile dinanzi al giudice dello Stato del Ped incaricato, è confermata anche dal “dovere” di un controllo giurisdizionale preventivo. Invero, la Corte sostiene che, «per quanto riguarda le misure investigative che comportano ingerenze gravi [nei] diritti fondamentali, quali le perquisizioni di abitazioni private […], incombe allo Stato membro cui appartiene il [Ped] incaricato del caso prevedere nel diritto nazionale garanzie adeguate e sufficienti, quali un controllo giurisdizionale preventivo, al fine di assicurare la legittimità e la necessità di siffatte misure» [77]. Preliminarmente, deve osservarsi che la conclusione del giudice europeo rappresenta un passo ulteriore verso il rafforzamento della tutela dei diritti fondamentali, come se fosse imposta dal tenore letterale del paragrafo 2 dell’art. 31 (al Ped incaricato spetta la valutazione della giustificazione della misura assegnata [78]). Ciò in distonia con l’opinione dell’AG, per il quale, anche «qualora non vi sia stato un controllo giurisdizionale preventivo o qualora l’applicazione combinata di due sistemi giuridici […] abbia condotto in qualche modo a trascurare la tutela dei diritti fondamentali, un controllo giurisdizionale a posteriori della misura servirà a sanare ogni eventuale violazione» [79]. Qualche perplessità si pone, tuttavia, con riguardo all’ampiezza e alla effettiva operatività dell’au­spicato controllo giurisdizionale preventivo. Anzitutto, deve rigettarsi ogni possibile equiparazione o sovrapposizione con la fattispecie oggetto della pronuncia Gavanozov II [80] (in tema di OEI), poiché il richiamo al principio in essa affermato – lo svolgimento di perquisizioni e sequestri costituisce ingerenze nel diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni – è funzionale al corretto bilanciamento dell’esecuzione delle misure invasive con i diritti fondamentali. In particolare, nel caso Gavanozov II, la Corte ha sostenuto che, affinché una misura incidente gravemente sui diritti fondamentali possa essere legittima, è necessario che lo Stato emittente l’OEI preveda un [continua ..]


8. Le questioni aperte

La Corte di Giustizia ha fornito una chiave di lettura dei paragrafi 2 e 3 dell’art. 31, i quali – come è evidente – difettano di adeguato coordinamento. In altri termini, si è verificato ciò che le delegazioni tedesca e austriaca avevano paventato in sede di negoziati, ossia l’incertezza su quale fosse il diritto dello Stato membro ai sensi del quale stabilire una eventuale autorizzazione giudiziaria successiva, in aggiunta a quella preventiva richiesta dal Ped incaricato [90]. A tale riguardo, il legislatore europeo avrebbe potuto risolvere, a monte, il problema, predisponendo un’azione preventiva di stretta consultazione tra i Ped, così come originariamente previsto dalla proposta della Commissione [91]. E infatti, un tal sistema di collaborazione avrebbe consentito al Ped incaricato di scegliere la misura più idonea in conformità anche ai parametri nazionali del Ped assistente, a tale scopo predisponendo anche dei termini entro i quali svolgere i relativi accertamenti. È toccato alla Corte di Giustizia fare chiarezza, interpretando la disciplina normativa in conformità alla voluntas legis che depone per un sistema investigativo più efficiente rispetto a quello sperimentato nel contesto dell’OEI e, in ogni caso, improntato al rispetto della proporzionalità e dei principi fondamentali del soggetto indagato. Una lettura di segno contrario avrebbe condotto a un esito paradossale: quello di ritenere più funzionale il ricorso al tradizionale modello rogatoriale dove il giudice dello Stato “richiesto” autorizza l’esecuzione della misura senza sindacare il merito della fattispecie concreta, limitandosi quindi al vaglio della legittimità e al rispetto dei diritti fondamentali. Ma è su questi due profili che ci si sarebbe aspettato un intervento più incisivo della Corte, la quale si è limitata solo a affermare la necessità di un controllo giurisdizionale preventivo sulle misure investigative incidenti gravemente sui diritti e sulle libertà fondamentali. Nonostante il giudice europeo abbia richiamato – anche se in modo stringato – il controllo di proporzionalità in fase esecutiva (§77), tuttavia non può ritenersi soddisfacente il mero rinvio alla procedura di cui all’art. 31, par. 5, lett. c) [92]. La Corte avrebbe [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024