Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Proscioglimento per non punibilità e valutazione della condotta ai fini civili (di Giorgia Padua, Dottoressa di ricerca in Diritto pubblico – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.)


 Una recente pronuncia della Corte di cassazione in tema di proscioglimento dal reato di diffamazione per la causa di non punibilità della provocazione ex art. 599 c.p. offre l’occasione per indagare la relazione tra accertamento della responsabilità agli effetti penali e decisione sugli interessi risarcitori. La riflessione prende le mosse dai caratteri dell’azione civile nel processo penale, si sofferma sui principali snodi processuali e si concentra sui profili concettuali connessi alla valutazione del fatto come presupposto per la responsabilità civile.

Acquittal for non-punishment and evaluation of conduct for civil purposes

A recent pronouncement of the Court of Cassation on the subject of acquittal from the crime of defamation due to the non-punishment cause of provocation, pursuant to Article 599 of the criminal code, offers an opportunity to investigate the connection between the assessment of criminal liability and the decision on civil interests. The reflection starts from the characteristics of civil action in criminal proceedings, dwells on the main procedural junctures and focuses on the theoretical aspects regarding conduct evaluation for ascertaining civil liability.

 

Proscioglimento dal reato di diffamazione e esamedella condotta agli effetti civili MASSIMA: La Corte di appello, a fronte di specifici motivi, deve provvedere sulle richieste della parte civile nel caso di proscioglimento per la causa di non punibilità prevista dall’art. 599 comma 2 c.p., poiché questa non esclude la valutazione della condotta ai fini del risarcimento del danno restando ferma la illiceità del fatto. PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto 1. Per quanto di interesse, la Corte di appello di Roma con la sentenza emessa il 15 novembre 2022 confermava quella del Tribunale di Latina, in composizione monocratica, che nell’ambito di imputazioni reciproche di diffamazione, aveva assolto A.A. per la condotta in danno di B.B. per insussistenza del fatto, mentre quella di B.B. nei confronti di A.A. veniva ritenuta non punibile ex art. 599, comma 2, c.p., per la sussistenza della provocazione determinata dal fatto ingiusto altrui. 2. Il ricorso per cassazione, proposto nell’interesse della parte civile A.A., consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 576 c.p.p., 2 Cost., 2043 c.c. Lamenta la ricorrente che le sentenze di merito hanno riconosciuto la responsabilità di B.B., pur escludendo la punibilità ex art. 599, comma 2, c.p. La Corte di appello avrebbe dovuto provvedere in ordine alla pretesa risarcitoria della parte civile ai sensi dell’art. 2043 c.c., sia alla luce degli orientamenti della Corte di cassazione, sia per la sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, sussistendo, secondo il Tribunale, i riscontri documentali quanto alla responsabilità di B.B. 4. Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 599, comma 2, c.p. e vizio di motivazione. Lamenta la ricorrente che erroneamente sarebbe stata applicata la causa di non punibilità dell’art. 599, comma 2, c.p. in quanto nessun fatto ingiusto avrebbe posto in essere A.A., tale da provocare B.B., come accertato dalle sentenze di merito che hanno escluso la responsabilità penale della prima. Avrebbe errato la Corte di appello, nel ritenere sussistente il fatto ingiusto altrui, che deve essere oggettivo e non derivare solo da fatti presunti dall’imputato, non verificando né l’immediatezza della reazione a fronte di condotte reiterate per più giorni, e ritenendo sussistenti “voci circolanti nell’am­biente lavorativo” quanto a B.B., non emerse dall’istruttoria di primo grado, non sostenibili da ritenuti messaggi anonimi in realtà non provati, né attribuibili alla A.A. 5. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 59, comma 4, c.p. e vizio di motivazione. Lamenta la ricorrente che l’attenuante [continua..]

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SOMMARIO:

1. In tema di azione civile nel processo penale - 2. Sentenza di proscioglimento e sorte degli interessi civili - 3. illiceità del fatto ed esclusione della punibilità: la provocazione ex art. 599 c.p. nel reato di diffamazione - 4. Giudizio sulla condotta ai soli effetti civili e ricadute processuali - 5. Rilievi critici e osservazioni conclusive - NOTE


1. In tema di azione civile nel processo penale

La questione degli sviluppi civilistici di una vicenda di rilievo penale risente di un’impostazione sistematica improntata al favor separationis e all’autonomia delle giurisdizioni [1]. Un simile approccio tradisce la preferenza del legislatore del 1988 per un decorso della pretesa risarcitoria ab origine indipendente da quello dell’accertamento del reato e trova la sua motivazione nell’interesse a scongiurare indebite alterazioni dell’equilibrio delle parti, il cui rapporto è già connotato da un’asimmetria intrinseca derivante dalla contrapposizione tra parte pubblica e parte privata [2]. Si avverte, altresì, l’esigenza di contenimento dei tempi processuali, che rischia di essere frustrata per via dell’apertura dell’accerta­mento alle istanze civilistiche [3]. Al contempo, non può sottacersi l’imperativo di giustizia che impone di favorire il ristoro del danneggiato dal pregiudizio subito in conseguenza del reato. Così, tenendo conto degli indubbi vantaggi [4] – economici e probatori [5] – che derivano dall’esercizio dell’azione civile all’interno del processo penale e della ormai ineludibile sensibilità eurounitaria per la tutela della vittima di reato [6], la soluzione prescelta, che trova il suo referente normativo nell’art. 74 c.p.p., resta quella che consente di richiedere e ottenere il risarcimento del danno nella stessa sede deputata all’accertamento del fatto criminoso che ne rappresenta il titolo [7]. Viene da sé che la facoltà, per il danneggiato, di optare per l’esercizio dell’azione civile nelle maglie del processo penale, eco di una concezione processuale che mira alla concentrazione degli sbocchi giurisdizionali, rende il procedimento penale un veicolo non solo per il giudizio sulla responsabilità penale ma anche per la valutazione delle conseguenze civili del reato, trascinando con sé una cifra di contaminazione destinata a suggellare il rapporto tra le due azioni. A un’alternativa di natura strutturale, che pertiene alla scelta – da parte del danneggiato – della sede in cui azionare la pretesa risarcitoria, si accompagna, allora, una dicotomia prettamente sostanziale, relativa ai vincoli che ciascuna delle due pretese (quella punitiva e quella [continua ..]


2. Sentenza di proscioglimento e sorte degli interessi civili

Alla luce delle coordinate ermeneutiche sin qui sinteticamente tracciate, è possibile comprendere la ratio argomentativa della sentenza in commento, che offre uno spunto per riflettere, a partire da un caso emblematico, sull’eventualità di ritornare – in sede di impugnazione – sulla valutazione agli effetti civili della condotta dell’imputato assolto. La pronuncia prende le mosse da un ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso la sentenza con cui la Corte di appello aveva confermato il proscioglimento dell’imputato emesso in primo grado. Dunque, il tema invocato è quello della possibilità, per la parte civile, di impugnare una sentenza di proscioglimento. In effetti, la regola generale posta dall’art. 538 c.p.p. per il giudizio di primo grado, evidenza normativa del principio di accessorietà [10] dell’azione civile, impedisce di scindere l’accertamento della responsabilità penale da quello della responsabilità civile, giacché individua come unico presupposto della decisione agli effetti civili la sentenza di condanna. Fa eccezione il caso di una declaratoria di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p., che – a seguito dell’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 173/2022 [11] – pure impone al giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno. In sede di impugnazione, però, si aprono scenari che derogano a questa regola per espressa previsione codicistica. In proposito, l’art. 576 c.p.p. legittima la parte civile a impugnare la sentenza di proscioglimento pronunciata in primo grado ai soli effetti della responsabilità civile. Infatti, in assenza di un’impugna­zione del pubblico ministero non è accettabile una riforma dell’accertamento penale; tuttavia, ciò che è possibile per effetto dell’impugnazione della sola parte civile è una revisione dell’accertamento dei fatti posti a base della sentenza assolutoria al solo fine di valutare la responsabilità per danni [12]. L’esito auspicato dalla parte civile, cioè, è quello di ottenere una pronuncia che ribalti quella del grado precedente, per lei pregiudizievole [13]. D’altra parte, quanto ai poteri del giudice, egli [continua ..]


3. illiceità del fatto ed esclusione della punibilità: la provocazione ex art. 599 c.p. nel reato di diffamazione

La specificità della pronuncia in esame rispetto al tema della sorte degli interessi civili a fronte di una sentenza di proscioglimento si coglie in relazione alla peculiare ipotesi del riconoscimento di una causa di non punibilità. L’assoluzione, infatti, nel caso di specie è fondata sull’esistenza degli estremi dello stato di provocazione, circostanza che vale a escludere la punibilità per il reato di diffamazione ai sensi dell’art. 599 c.p. [22] È questo segmento argomentativo, allora, a stimolare il ragionamento della Corte di cassazione sulle ricadute della pronuncia in termini di risarcimento del danno, che induce a distinguere tra accertamento dell’illiceità del fatto ed esito del giudizio ai fini penali. In questa occasione, il punto centrale non sta tanto nel ricordare che la Corte di appello ha il dovere di esprimersi sulle statuizioni civili a fronte di specifici motivi contenuti nell’atto di impugnazione della parte civile: tale ricostruzione è pienamente in linea con gli orientamenti della Suprema Corte [23] in tema di interesse della parte civile a impugnare la sentenza assolutoria anche in caso di mancanza di efficacia preclusiva e vale a fondare la devoluzione al giudice dell’impugnazione della questione, seppur ai soli effetti civili. Invero, il cuore della pronuncia in commento consiste nel riconoscere l’obbligo risarcitorio pur mantenendo la medesima conclusione nel merito quanto agli aspetti penali, ancorando l’interesse della parte civile a impugnare il proscioglimento alla natura della causa che l’ha determinato [24]; nella specie, la causa di non punibilità della provocazione ex art. 599 c.p. In sostanza, il gravame avverso il proscioglimento è giustificato dal fatto che lo stato di provocazione è idoneo a escludere solo la rimproverabilità della condotta dell’autore, non già l’illiceità del fatto. Quest’ultima, dunque, non è messa in discussione dall’affermazione dell’impossibilità di muovere un rimprovero di colpevolezza ai fini penali e resta una valida causa obligandi ai fini civili. Sulla natura della provocazione ex art. 599 c.p., in realtà, non vi è unanimità di vedute in dottrina: la stessa è stata variamente qualificata come causa di [continua ..]


4. Giudizio sulla condotta ai soli effetti civili e ricadute processuali

Dal principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità si ricava che la valutazione della condotta serve a dimostrare l’esistenza del presupposto su cui si fonda l’obbligazione risarcitoria, vale a dire il fatto illecito, e ciò anche quando non possa sfociare in un giudizio di responsabilità penale per ragioni legate a esigenze di esclusione della punibilità. Giova a questo punto osservare che l’ambito di applicazione della soluzione presentata è necessariamente limitato alle impugnazioni, avendo riguardo alla sorte delle statuizioni civili a fronte di una sentenza di proscioglimento oggetto di gravame: lo scollamento tra condanna agli effetti penali e condanna agli effetti civili non può realizzarsi in primo grado, risultando ostativa la previsione ex art. 538 c.p.p. che, come visto, vincola il potere di decidere agli effetti civili a un giudizio di responsabilità penale e, quindi, all’emanazione di una sentenza di condanna. In questa sede, allora, a fronte del riconoscimento di una causa di non punibilità che conduce all’assoluzione dell’imputato, è preclusa al giudice la facoltà di esaminare le questioni civili [38]. Residua, alla parte civile, il potere di instaurare un giudizio di appello – che potrà svolgersi anche solo agli effetti civili in assenza di impugnazione del p.m. – in cui, invece, la riedizione dell’accerta­men­to sul fatto storico di reato potrà condurre alla condanna al risarcimento del danno. Si registra, sul punto, una evidente differenza in termini di possibili esiti del giudizio sugli interessi civili: in primo grado, l’obbligazione risarcitoria è sempre dipendente dalla sentenza di condanna; in secondo grado, allorché sia accertata l’illiceità del fatto e l’imputabilità al suo autore, pure in presenza di una causa di esclusione della punibilità che costringe al proscioglimento nel merito, potrà aversi condanna agli effetti civili. Allora, a fronte di questa specifica casistica, relativa al riconoscimento di una causa di esclusione della punibilità che non elimini l’illiceità del fatto e l’imputabilità al suo autore (come la provocazione ex art. 599 c.p.), il diritto della parte civile a ottenere il ristoro economico dal pregiudizio subito potrà [continua ..]


5. Rilievi critici e osservazioni conclusive

In definitiva, con la sentenza in esame, la giurisprudenza di legittimità ha messo in luce che la condanna al risarcimento del danno da reato deve fondarsi sull’accertamento del titolo dell’obbligazione risarcitoria, che è il fatto illecito commesso dal soggetto agente. Quindi, non v’è dubbio che può aversi condanna agli effetti civili in sede di impugnazione avverso una sentenza di proscioglimento per provocazione ex art. 599 c.p. Passaggio argomentativo ulteriore è ritenere che possa essere emesso un provvedimento di condanna al risarcimento del danno anche senza modificare la sostanza del pronunciamento del grado precedente, riconoscendo l’esistenza della scusante, sulla scorta del fatto che si è raggiunta la prova sull’illiceità del fatto. Una tale soluzione non è estranea al panorama della disciplina processuale. Un’analogia può riscontrarsi con l’ipotesi ex art. 578 c.p.p., in cui pure si autorizza il giudice del­l’impugnazione a pronunciarsi sugli interessi civili, nonostante l’esito del giudizio agli effetti penali coincida con una sentenza di proscioglimento, soprattutto alla luce delle puntualizzazioni rese dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 182/2021 [49], secondo cui il giudice dell’impugnazione «non è chiamato a verificare se sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice […]; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano». Tuttavia, non deve trascurarsi che la citata affermazione è motivata da ragioni di tutela della presunzione di non colpevolezza [50] e che, in tale scenario, l’eventuale proscioglimento è radicato sull’emersione di cause sopravvenute ed estrinseche alla volontà delle parti e alle caratteristiche oggettive e soggettive del fatto di reato (nella specie, prescrizione e amnistia) [51]; di contro, la valutazione sull’esistenza di una scusante impatta direttamente sugli elementi intrinseci del reato. Ancora, nell’affermazione per cui, pur non pervenendo a un giudizio di responsabilità penale, è possibile una condanna al risarcimento del danno – perché il fatto, sebbene non punibile, resta illecito – si coglie un richiamo all’ipotesi del proscioglimento per [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024