Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il concordato in appello alla deriva (di Jacopo Della Torre, Ricercatore di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Genova.)


L’autore analizza un’ordinanza della Cassazione, che conferma l’orientamento interpretativo maggioritario della giurisprudenza, secondo cui, nell’ambito del concordato in appello, il potere dispositivo delle parti avrebbe un’in­tensità tale da limitare la cognizione dei giudici anche con riguardo alle questioni, di norma, rilevabili d’ufficio nelle impugnazioni. Pur se spinta dall’intento di risolvere un oggettivo problema di flussi di lavoro sproporzionati da gestire, la suprema Corte finisce così per alterare l’equilibrio costituzionale dell’istituto. Al posto di enunciare principi di diritto problematici a livello sovraordinato, essa dovrebbe far leva su altri strumenti – come il vaglio sulla necessaria specificità dei motivi e sulla loro non manifesta infondatezza – per dichiarare inammissibili i ricorsi presentati per mere finalità dilatorie.

The Agreement on the arguments for appeal adrift

The author analyzes a decision of the Supreme Court. The latter confirms the view that, in the context of the “Agreement on the arguments for the appeal”, the power of the parties is so strong that it even limits the ordinary ex officio powers of the judge. Although aimed at solving an objective problem of disproportionate flows to be managed, the jurisprudence risks altering the constitutionality of the institution. The Court should use other means to declare inadmissible appeals filed for the sole purpose of delaying justice, rather than the promulgation of problematic legal principles.

Sul rapporto tra concordato in appello e questioni rilevabili d’ufficio nelle impugnazioni MASSIMA: È inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall’art. 599-bis c.p.p. non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene con la rinuncia all’impugnazione. PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto A.A. ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli 9/3/2023, con la quale in accoglimento del concordato in appello, ex art. 599 bis c.p.p., è stata rideterminata la pena a lui inflitta dal Tribunale di Napoli il 18/5/2021. Deduce il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) non avendo il giudice motivato in ordine all’insussistenza di cause di non punibilità. Considerato in diritto In seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello deve ritenersi nuovamente applicabile il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599 c.p.p., comma 4, e successivamente abrogato dal D.L. n. 92 del 2008 – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati determinando, invero, la rinuncia ai motivi una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto deve ormai ritenersi non essergli devoluto (non solo in punto di affermazione di responsabilità). Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, oggi dall’art. 599-bis c.p.p., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 4, n. 53565 del 27/09/2017, Ferro, Rv. 271258; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero,Rv. 273194). Nel caso in esame, la rinuncia ai motivi di appello concernenti l’an della responsabilità penale ha determinato una preclusione processuale, e la conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione avente ad oggetto il relativo punto. Rilevato quindi che il ricorso deve [continua..]

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SOMMARIO:

1. Inquadramento del problema - 2. La pronuncia in commento nel contesto degli orientamenti anti-cognitivi della Cassazione - 3. Luci e ombre delle sezioni unite “Fazio” - 4. La necessità di superare l’orientamento maggioritario - 5. Conclusioni - NOTE


1. Inquadramento del problema

Pochi istituti, introdotti dal codice Vassalli, hanno avuto un’evoluzione tanto “tormentata” quanto il «concordato sui motivi di appello» [1]. A periodi di crisi, in cui il meccanismo ha visto ridotto il proprio ambito di operatività [2], finendo persino per venire abrogato [3], si sono susseguite fasi espansive, nelle quali a esso è stata attribuita notevole importanza. Com’è noto, a partire dalla “riforma Orlando”, il legislatore ha fatto di nuovo propria la seconda prospettiva. A meno di un decennio dalla formale eliminazione dello strumento, la l. 23 giugno 2017, n. 103 lo ha reintrodotto, seppur con alcune modifiche, agli artt. 599-bis e 602 c.p.p. [4]. Da ultimo, la “riforma Cartabia” (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) ha voluto potenziarlo ulteriormente [5], cancellando, tra l’altro, le criticabili preclusioni oggettive e soggettive di accesso al medesimo, prima previste dall’art. 599-bis, comma 2, c.p.p. [6]. A valle di questi revirement, il concordato – la cui struttura di base continua a essere morfologicamente divisibile in tre fasi: a) una prima di raggiungimento di un accordo tra le parti sui motivi di gravame ritenuti meritevoli di accoglimento; b) una seconda di presentazione della convenzione al giudice; e, infine, c) una terza di vaglio giurisdizionale – finisce per rafforzare, in misura significativa, la componente dispositiva già propria dell’appello penale [7]. Nessuna limitazione viene, infatti, oramai posta, né con riguardo ai reati per cui l’istituto è applicabile, né in ordine alla gamma di censure passibili di intesa, potendo le stesse riguardare, sia profili di diritto, sia il merito [8]. Allo stesso tempo, dall’art. 599-bis c.p.p. si evince che la convenzione, pur dovendo coprire l’intera area del devolutum [9], può essere costruita in modi flessibili. Accanto all’ipotesi più semplice, in cui l’accordo segue al riconoscimento, ad opera di una delle parti, delle pretese avanzate da un’altra, senza che intervengano abdicazioni di sorta, vi è una forma più complessa, che impone la rinuncia di uno o più appellanti (condizionata alla ratifica giudiziale dell’accordo [10]) ad alcuni motivi dedotti con l’atto di impugnazione, in cambio della [continua ..]


2. La pronuncia in commento nel contesto degli orientamenti anti-cognitivi della Cassazione

L’ordinanza qui pubblicata è utile proprio perché fornisce una dimostrazione concreta della “deriva negoziale” appena richiamata. La fattispecie alla base del provvedimento riveste caratteri di estrema semplicità. Imputato e pubblico ministero concludevano un’intesa di concordato, costruita secondo lo scambio tra la rinuncia del primo ai motivi, originariamente presentati anche con riguardo all’an della responsabilità, a fronte di un’istanza di accoglimento delle censure finalizzate a ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole. Per parte sua, la Corte d’appello di Napoli recepiva il pactum e rideterminava la pena nella misura richiesta, senza, tuttavia, motivare in ordine all’assenza di ipotesi di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. A questo punto, il difensore dell’imputato presentava ricorso per cassazione, deducendo il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza, per non aver essa giustificato in ordine all’insussistenza di cause di non punibilità. La Corte ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, limitandosi a riproporre gli argomenti sostenuti dal più diffuso filone giurisprudenziale anti-cognitivo, formatosi già nel vigore delle vecchie versioni dell’istituto [29]. Il fulcro teorico di tale indirizzo risiede nell’idea per cui, nell’ambito del meccanismo consensuale di cui all’art. 599-bis c.p.p., il potere dispositivo affidato alle parti avrebbe un’inten­sità tale da limitare la cognizione dei giudici con riguardo a ogni profilo oggetto di rinuncia espressa o implicita. Secondo questa lettura, a venir compresse sarebbero già, a monte, le attribuzioni del decisore di seconde cure. L’accordo, riducendo il thema decidendum, ne circoscriverebbe il controllo ai soli motivi non abdicati, facendo sorgere un’immediata “preclusione processuale” [30] rafforzata in merito a qualsivoglia diversa tematica, anche se, di norma, rilevabile d’ufficio [31]. In questa prospettiva, si è, dunque, affermato che la stipula di un’intesa ex art. 599-bis c.p.p., avente a oggetto il trattamento sanzionatorio, non solo priverebbe il magistrato del potere-dovere di vagliare l’eventuale sussistenza di cause di non [continua ..]


3. Luci e ombre delle sezioni unite “Fazio”

Come si è avuto modo di anticipare, il tentativo di ristabilire un equilibrio tra componente dispositiva e giurisdizionale del concordato è stato compiuto dalla recente pronuncia delle sezioni unite “Fazio”, la quale si è occupata di rispondere al quesito se, avverso una sentenza ex art. 599-bis c.p.p., sia consentito proporre ricorso di legittimità, finalizzato a dedurre l’estinzione del reato per prescrizione, maturata anteriormente alla sentenza di secondo grado, ma non rilevata dal giudice e non eccepita dalle parti in sede di merito. Dopo il reinserimento dell’istituto, si erano formati, anche su tale punto specifico, due orientamenti opposti. A un primo indirizzo, che riteneva ammissibile il gravame, partendo dal presupposto – già affermato dalle sezioni unite in tema applicazione della pena su richiesta [55] – per cui la convenzione non sia classificabile quale valido atto di rinuncia alla prescrizione, richiedendo l’art. 157, comma 7, c.p. un’abdicazione espressa [56], se ne era contrapposto un altro, antitetico. Diverse pronunce avevano dichiarato inammissibili le impugnazioni presentate avverso la sentenza di concordato, al fine di censurare l’omesso rilievo della prescrizione maturata in precedenza [57]; e ciò, ancora una volta, in forza sia di un supposto ruolo preminente attribuito alla volontà delle parti, sia del rilievo per cui le uniche doglianze proponibili a valle di una decisione ex art. 599-bis c.p.p., sarebbero le quattro già menzionate, tra cui non compare l’omessa rilevazione della causa estintiva. Con la sentenza “Fazio”, le sezioni unite hanno, per parte loro, aderito al primo orientamento e formulato il principio di diritto per cui, in mancanza di un’espressa rinuncia alla prescrizione, nei confronti della sentenza resa all’esito del concordato è proponibile il ricorso con cui deduca l’omesso rilievo di tale causa estintiva da parte del giudice d’appello, venuta a scadere anteriormente alla pronuncia di seconde cure [58]. Ciò che interessa osservare in questa sede è che, nel motivare tale soluzione, il massimo collegio non si è accontentato di insistere sul fatto che la norma di cui all’art. 157, comma 7, c.p. costituisca una disposizione «valida per tutti i casi e moduli [continua ..]


4. La necessità di superare l’orientamento maggioritario

Preso atto di questo complesso quadro giurisprudenziale, pare, a maggior ragione, necessario soffermarsi, più nel dettaglio, sulle eterogenee ragioni che dovrebbero portare all’abbandono definitivo delle letture anti-cognitive del meccanismo in esame. Un primo dato da prendere in considerazione è il corretto inquadramento dell’istituto, alla stregua delle regole generali che governano l’appello penale. A questo riguardo, è opportuno rilevare che le norme sul concordato, pur essendo piuttosto scarne, sono chiare nel non tracciare un «percorso cognitivo atipico» [70] rispetto a quello ordinariamente creato dal legislatore per il giudizio di seconda istanza, il quale, come si è già detto, contempera la regola del tantum devolutum quantum appellatum con una serie di poteri ufficiosi affidati al decisore direttamente ex lege. Per parte sua, l’art. 599-bis c.p.p. non contiene, infatti, alcuna deroga, né rispetto all’art. 597 c.p.p., né alle previsioni generali che affidano al giudice il compito di rilevare motu proprio determinate tematiche in ogni stato e grado della regiudicanda. D’altra parte, il fatto che il meccanismo non dia vita, da questa prospettiva, a un “procedimento speciale” è stato confermato, non solo dalle stesse sezioni unite “Fazio”, nella parte in cui hanno sostenuto che lo strumento di cui all’art. 599-bis c.p.p. non si discosterebbe «dal modello ordinario in relazione alla rinuncia ai motivi e alla valutazione di quelli non rinunciati» [71], ma finanche dalla Consulta. In un proprio precedente, pur concernente la vecchia versione del congegno, il giudice delle leggi ha, infatti, affermato che la decisione sulla richiesta delle parti costituisce un vero e proprio «giudizio eventuale ed anticipato, formulato in base alle prove sulle quali il giudice, investito del giudizio di merito, dovrà fondare il proprio convincimento» [72]. Una precisa conferma di ciò si ricava, oltretutto, da un argomento di matrice testuale, in passato valorizzato dagli orientamenti più garantisti della suprema Corte [73]. Ci si riferisce, in particolare, alla circostanza per cui, allorquando il sistema intende derogare al regime di rilevabilità di istituti di ordine generale, lo fa espressamente: basti [continua ..]


5. Conclusioni

Lo studio degli indirizzi anti-cognitivi della suprema Corte concernenti il concordato in appello è particolarmente istruttivo: esso consente, infatti, di scandagliare uno dei tanti effetti della crisi profonda che sta colpendo il sistema delle impugnazioni penali italiano. Lo si è, del resto, visto. Se, in passato, la giurisprudenza si era fatta molte più remore nell’abdicare del tutto, in nome di scopi deflativi, a veri e propri pilastri della giurisdizione penale, negli ultimi anni le cose sono mutate. Nonostante le resistenze delle sezioni unite, i filoni efficientisti, volti a incrementare a ogni costo le capacità drenanti dello strumento di cui all’art. 599-bis c.p.p., si sono diffusi in modo incontrollato. Se, peraltro, dinanzi alla carenza di studi statistici ufficiali particolareggiati circa l’utilizzo pratico dello strumento in esame [99], è difficile dire se questo atteggiamento abbia pagato o meno in termini di aumento degli accordi stipulati o comunque ratificati dai giudici di seconde cure [100], un dato è certo: almeno la suprema Corte è riuscita a raggiungere il proprio obiettivo primario di mantenere sempre estremamente alta la percentuale di declaratorie di inammissibilità avverso le sentenze in esame [101]. Sennonché, il prezzo da pagare è stato oltremodo elevato: pur di perseguire tale scopo, sono stati sacrificati presidi di rilievo primario per la tutela di principi indisponibili che vengono in gioco nel procedimento penale [102]. Di fronte a un quadro di questo tipo, l’auspicio è che le sezioni unite siano, nuovamente, chiamate in causa in materia. Essendo difficile che l’orientamento cognitivo minoritario riesca a farsi strada da solo, è, infatti, indispensabile che sia il massimo collegio a riconoscere, in modo esplicito, anche al di là della prescrizione, il pieno rilievo, nell’ambito del concordato, dei poteri officiosi “ordinari” del giudice. Nel caso in cui neppure un ulteriore intervento del massimo Collegio riuscisse ad avere ragione dell’inter­pre­tazione maggioritaria, dovrà, invece, essere il legislatore a farsi carico di ristabilire, una volta per tutte, la legalità processuale e costituzionale in quest’ambito, dettando una disciplina espressa in tema di controlli giurisdizionali nell’ambito del meccanismo di cui [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024