Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Sequestro per confisca e procedure concorsuali: “ritorno al passato” nel dictum delle Sezioni Unite (di Paolo Troisi, Professore associato di Procedura penale – Università di Roma “Tor Vergata”)


All’esito di una vicenda pretoria protrattasi per quasi vent’anni, le Sezioni Unite hanno riproposto, in versione riveduta e corretta, la tesi del primato della confisca obbligatoria (e della cautela a essa asservita) sui diritti dei creditori concorsuali. L’arresto, pur concernendo l’assetto previgente al codice della crisi d’impresa, presenta significativi profili di attualità: sganciando lo ius postulandi del curatore dalla problematica inerente al rapporto tra i vincoli, ne ha, inevitabilmente, definito l’ambito in funzione del sindacato sui requisiti processuali della misura, tra cui autonomo rilievo riveste il periculum in mora. L’epilogo, fungendo da canone ermeneutico della nuova disciplina (che espressamente codifica il potere di gravame dell’organo gestore), permette di intravvedere i termini della futura “contesa” tra sequestro per confisca e liquidazione giudiziale.

Seizure, confiscation and bankruptcy: “back to the past” in the Joint Chambres’ ruling

After almost two decades, the Joint Chambers have re-proposed, in a revised and corrected version, the thesis of the primacy of seizure and confiscation over bankruptcy. The ruling concerns the regulations in force before the Corporate Crisis Code, but it also has topical profiles. It establishes that the receiver, exercising the power to challenge the precautionary measure, can challenge the existence of procedural requirements of the seizure, including the periculum in mora. The conclusion serves as a hermeneutical key of the new rules (which expressly codifies the receiver’s power to appeal) and makes it possible to predict what the future contention between insolvency procedures and freezing will be.

L’avvio della procedura concorsuale non osta al sequestro a scopo di confisca MASSIMA: L’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari. PROVVEDIMENTO: (Omissis). Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21 luglio 2022, il Tribunale del riesame di Pescara ha rigettato l’appello cautelare proposto dalla Curatela del Fallimento (Omissis) S.n.c. avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Pescara aveva rigettato la richiesta di dissequestro di beni rappresentati dalle quote del capitale sociale della (Omissis) S.r.l. e dell’intera proprietà della porzione di un immobile sito in (Omissis), meglio identificato in atti, intestato a D.S.G., oggetto di sequestro da parte del G.i.p. in data 22 gennaio 2020 nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti di D.S.A., D.S.G. ed O.E. per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. 1.1. Nell’occasione il Tribunale ha premesso che l’impugnazione del provvedimento di rigetto della istanza di dissequestro è stata argomentata da parte della ricorrente Curatela in funzione della sua ritenuta erroneità per non essere state considerate le vicende connesse all’avvenuta dichiarazione del fallimento della (Omissis) S.n.c., intervenuta già con sentenza del (Omissis), per effetto della quale il D.S. sarebbe stato privato della amministrazione e della disponibilità dei beni sociali. 1.2. Dando poi atto che la questione involge la tematica dei rapporti fra il sequestro preventivo in materia di reati tributari ed il fallimento della impresa da essi coinvolta, richiamato il contenuto della ordinanza con la quale era stata rigettata la istanza di dissequestro, ha concluso affermando che, “in una fattispecie quale è quella ora in esame, “il sequestro preventivo (...) prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale (...) attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto fra il vincolo imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura”. 1.3. In motivazione il Tribunale di Pescara, che pure dà atto della esistenza sul punto di diversi indirizzi interpretativi, ha ricordato come l’orientamento da esso fatto proprio è stato di recente confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha affermato la prevalenza del sequestro preventivo sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale anche qualora la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima [continua..]

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SOMMARIO:

1. Alle origini del problema: la clausola dell’appartenenza al terzo - 2. Disorientamenti giurisprudenziali: la sentenza “Focarelli” e il successivo revirement - 3. La rivisitazione dell’approdo: le Sezioni Unite “Mantova Petroli” - 4. L’avvento del codice della crisi d’impresa - 5. Il riemergere del contrasto - 6. La risposta delle Sezioni Unite - 7. Cortocircuiti sistemici: obbligatorietà, proporzionalità e diritti dei creditori - 8. Percorsi alternativi: disponibilità e appartenenza - 9. Futuribili: procedura concorsuale e periculum in mora - NOTE


1. Alle origini del problema: la clausola dell’appartenenza al terzo

Vexata quaestio, quella dei rapporti tra sequestro a scopo di confisca e procedure concorsuali. Noto è lo sfondo normativo; noti sono, altresì, i disorientamenti giurisprudenziali che hanno fatto da preludio al contrasto risolto dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento. È all’esegesi della clausola di salvezza della «appartenenza» della cosa a «persona estranea al reato» che va ricondotta la problematica. Versata nella disciplina generale della confisca da reato (art. 240, commi 3 e 4, c.p.), la detta clausola, in progresso di tempo, è stata esportata, quale presupposto di legalità della misura (e, correlativamente, limite al sequestro a essa funzionale), in buona parte delle previsioni speciali coniate per una sempre più efficiente risposta alla criminalità lucrogenetica [1]. Anche quando non sia stata fedelmente riprodotta [2] – e salvo che si disponga expressis verbis in modo diverso [3] – non si dubita affatto che sia parimenti operante [4]; il che vale pure per la confisca di valore: ove sia assente la formula volta a confinarne l’oggetto a ciò di cui il “reo” abbia la «disponibilità», si è ritenuta applicabile la preclusione a favore della persona estranea dettata, nello stesso o nel precedente comma, per l’adprehensio diretta [5]. È, insomma, espressione di un principio generale del sistema [6], posto a salvaguardia dei “diritti dei terzi in buona fede”; principio sancito a chiare lettere dalle fonti euro-unitarie [7], ma agevolmente ricavabile dai canoni costituzionali (e convenzionali) del carattere personale della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza [8]. Le linee ermeneutiche partorite dal diritto vivente hanno, nondimeno, subordinato l’attivarsi della garanzia a rigide condizioni [9]. L’“appartenenza” è stata declinata nel binomio titolarità-disponibilità: non è sufficiente che il terzo sia l’intestatario, ma occorre che abbia un concreto dominio sulla res [10]; esulano, pertanto, dall’area protetta i casi di intestazione fittizia [11], per tale intendendosi quella volta a eludere il rischio di confisca [12]. Esiti analoghi sono stati avvalorati [continua ..]


2. Disorientamenti giurisprudenziali: la sentenza “Focarelli” e il successivo revirement

La questione è stata esaminata, per la prima volta, dalle Sezioni Unite con la nota sentenza “Focarelli” del 2004 [26]. Rimarcandone i fini pubblicistici, la Corte, in quella occasione, non disconosceva affatto che lo «spossessamento derivante dalla declaratoria fallimentare» potesse risultare idoneo «a fare venir meno lo stesso motivo della cautela», assicurando, al contempo, «la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore fallito». Rimetteva, perciò, al potere discrezionale del giudice il compito di contemperare «le ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori», accertando «caso per caso le concrete conseguenze della eventuale restituzione, tenendo anche presenti le modalità di svolgimento della procedura, le qualità dei creditori ammessi al passivo e l’ammontare di questo, al fine di considerare le possibilità che l’imputato, anche qualora [avesse] agito attraverso lo schermo societario, ritorn[asse] in possesso delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato» [27]. Non potendo escludersi che l’instaurarsi della sequenza concorsuale potesse costituire «fatto sopravvenuto determinante il venir meno delle condizioni di applicabilità della misura», la pronuncia riconosceva al curatore il potere di impugnare il relativo provvedimento o domandarne la revoca. Il che, però, non ne implicava la qualifica di «persona estranea al reato», almeno quando tale non fosse (secondo il paradigma della “partecipazione al profitto”) il debitore insolvente [28]. L’epilogo, modellato sull’evenienza (su cui verteva il quesito) della cautela preordinata alla confisca facoltativa, era stato, tuttavia, preceduto, in motivazione, da un differente approccio riguardo all’ipotesi di adprehensio obbligatoria. La prevalenza, in tal caso, del sequestro veniva giustificata alla luce della intrinseca pericolosità delle cose che ne formano oggetto, la quale non può consentire che siano rimesse in circolazione, seppur dall’ufficio fallimentare; sicché «le ragioni di tutela dei terzi creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla [preminente] esigenza di tutela della collettività» [29]. L’impropria [continua ..]


3. La rivisitazione dell’approdo: le Sezioni Unite “Mantova Petroli”

È con riferimento al secondo profilo (il diritto a impugnare dell’organo gestore) che la quaestio è stata rimessa, nel 2019, alle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza “Mantova Petroli” [44], hanno mutato approccio rispetto ai due precedenti. Alla soluzione si è, in effetti, pervenuti sganciando il tema del potere di gravame da quello inerente ai riflessi del vincolo fallimentare su confiscabilità (e sequestrabilità) dei beni. La “disponibilità” che l’apertura della procedura trasferisce al curatore ha assunto rilievo, nell’iter motivativo, non già per la possibile interferenza con le ragioni sottese alla potestà ablativa [45] o per vagliarne la sussumibilità entro gli ambiti operativi della clausola dell’appartenenza al terzo [46], bensì ai fini della qualifica dello stesso come “persona avente diritto alla restituzione delle cose” [47]. Detta qualifica, che autorizza a impugnare i provvedimenti reali (artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p.) e a richiederne la revoca (art. 321, comma 3, c.p.p.), postula, in realtà, l’esistenza di un rapporto di fatto con la res giuridicamente tutelato [48], a cui è certamente riconducibile il munus pubblico esercitato dal curatore; questi, anzi, si appalesa «come l’unico soggetto destinatario dell’eventuale restituzione del bene, nelle sue funzioni di rappresentanza del fallimento e di amministrazione del relativo patrimonio» [49]. Sicché, la riconosciuta legittimazione involge necessariamente «la totalità dei beni facenti parte dell’atti­vo», senza poter discriminare tra quanto sia stato sequestrato prima o dopo l’avvio della gestione concorsuale; ciò perché alla curatela è affidata la disponibilità di tutti i beni del debitore, «e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro» [50]. Né potrebbe escludersi l’interesse al gravame, da ravvisarsi, invece, nella rimozione di atti «potenzialmente incidenti sulla valutazione della consistenza patrimoniale dell’attivo» [51]. La conclusione così raggiunta, si è osservato, non ha rappresentato un mero recupero di quella elaborata dalle Sezioni Unite [continua ..]


4. L’avvento del codice della crisi d’impresa

Prima ancora di esplorare tali percorsi, occorre, per completare il quadro, accennare alla disciplina dettata in materia dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14); disciplina entrata in vigore il 15 luglio 2022 (art. 389), ma adottata alcuni mesi prima della sentenza “Mantova Petroli”; perciò, impiegata, sia pur in senso non univoco, come veicolo interpretativo dell’assetto previgente. L’obiettivo di colmare la lacuna legislativa è stato perseguito, come noto, elevando a paradigma di sistema i moduli coniati nel comparto praeter delictum; il che ha richiesto un duplice intervento. Il primo ha interessato l’art. 104-bis disp. att. c.p.p. (art. 373 d.lgs. n. 14/2019), già in precedenza divenuto anello di congiunzione tra normativa antimafia e settore penale. La scelta di travasare in tale ultimo settore il regime pensato per le misure di prevenzione, inizialmente limitata (per analogia di ratio) a quelle ex art. 240-bis c.p. o per reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. (comma 1-quater) [58], è stata estesa, con talune differenze, a tutti i casi di cautela funzionale alla confisca (comma 1-bis) [59]. Nell’attua­le impianto, ampiamente confermato dai ritocchi apportati dalla riforma “Cartabia” [60], non solo a sequestro e confisca “allargata” o in procedimenti di criminalità organizzata, ma anche ad ogni altra fattispecie di «sequestro disposto ai sensi dell’art. 321, comma 2, del codice o di confisca» si applica, dunque, la trama allestita dal d.lgs. n. 159/2011 (titolo IV del Libro I) relativamente a tutela dei terzi e rapporti con la procedura di liquidazione giudiziale (formula che ha sostituito quella di fallimento). Il secondo intervento s’inscrive nel più ampio proposito (realizzato con il titolo VIII della parte prima del codice della crisi d’impresa) di regolare (finalmente) i rapporti tra «liquidazione giudiziale e misure cautelari reali» [61]. Con l’art. 317 d.lgs. n. 14/2019 si è, in particolare, ribadito che «le condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali» sui beni del debitore sono regolati dal titolo IV del Libro I del d.lgs. n. 159/2011 [62], precisandosi, a mo’ di ideale chiusura del [continua ..]


5. Il riemergere del contrasto

L’incrociarsi dell’approdo delle Sezioni Unite “Mantova Petroli” con il varo del nuovo assetto legislativo ha rialimentato, in fattispecie maturate prima della relativa entrata in vigore [91], la divergenza di vedute sul rapporto tra i vincoli; divergenza che, fondata su asserti aventi portata generale, è deflagrata nel peculiare settore dei reati tributari, rivelatosi, nella prassi, quello più permeabile al diffondersi della problematica. La tesi del primato della misura penale è stata essenzialmente ancorata al carattere obbligatorio della confisca, «destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, a prescindere dal momento in cui intervenga la dichiarazione di fallimento»; ciò a maggior ragione – si è precisato – alla luce della finalità sanzionatoria perseguita in ambito tributario, che mira a «ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato» [92]. Unico limite è rappresentato dall’eventuale appartenenza del bene a persona estranea al reato, «onde il giudice penale, in sede di merito, dovrà escludere dalla sottoposizione a sequestro e/o a confisca i beni che debbono essere restituiti al danneggiato e quelli sui quali il terzo abbia acquisito diritti in buona fede» [93]. La deprivazione che il “fallito” subisce a garanzia della par condicio creditorum non esclude, tuttavia, che egli ne conservi la titolarità sino al momento della vendita [94] o, per il denaro, della materiale traditio [95]; ove, peraltro, il debitore insolvente abbia incamerato il profitto dell’illecito, mancherebbe pure il requisito della “non estraneità rispetto al reato” [96]. Sicché, «se il fallimento comporta lo spossessamento dei beni ma lascia inalterata la struttura dell’ente, logico corollario [è] che la società continua a esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato (nei casi in cui sia previsa una responsabilità dell’ente ai sensi della legge n. 231/2001) o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario» [97]. In detto contesto, il riconoscimento al curatore della legittimazione a impugnare non varrebbe ad alterare i rapporti tra procedura concorsuale e misura [continua ..]


6. La risposta delle Sezioni Unite

Sgombrato il campo dalla possibilità di impiegare in chiave ermeneutica l’impianto inaugurato dal codice della crisi d’impresa [110], le Sezioni Unite hanno, per il resto, integralmente recuperato gli asserti addotti dal primo orientamento a sostegno della tesi della prevalenza del vincolo cautelare, tesi che poggia le sue fondamenta sul carattere cogente «della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro» [111]. È attorno a tale dato che ruota, attraverso un incedere non sempre lineare quanto a consecutio degli argomenti, l’intero apparato giustificativo della pronuncia. Innanzi al chiaro tenore letterale della norma («è sempre ordinata la confisca»), che involge anche il «caso di apertura delle procedure concorsuali, anteriore o successiva che sia al sequestro», del tutto recessivi risultano – per la Corte – gli interessi del ceto creditorio, senza che si palesino attriti con principi costituzionali [112]. I beni costituenti profitto del reato, attratti alla massa attiva, vanno, difatti, «sottratti alla liquidazione giudiziale ed all’amministratore pro-tempore del patrimonio della società dichiarata fallita», per evitare la «paradossale conseguenza di rendere disponibile (e commerciabile mediante la vendita fallimentare)» il frutto dell’illecito, distogliendolo dalla sanzione «obbligatoriamente prevista dalla legge, ossia la definitiva confisca» [113]. È, peraltro, proprio la natura del profitto dei reati tributari – e, quindi, l’in­teresse dell’Erario a riottenere quanto evaso – a dare luogo a «un interesse sanzionato penalmente con riflessi obbligatori sulla confisca, che giustifica dunque anche il sacrificio dei creditori “privati”» [114]. In questione non è «il mero pagamento di un debito tributario (che segue le regole previste dalla legge fallimentare e dal codice della crisi d’impresa), ma l’assicurazione alla mano pubblica del profitto del reato (rispetto al quale detto debito costituisce solo il parametro di quantificazione)»; il che «ne preclude l’assimilabilità ai beni suscettibili di distribuzione tra i creditori» [115]. La finalità di ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato non [continua ..]


7. Cortocircuiti sistemici: obbligatorietà, proporzionalità e diritti dei creditori

Difficile non intravvedere nell’epilogo così avvalorato la versione “riveduta e corretta” di quello raggiunto, quasi vent’anni or sono, dalla sentenza “Focarelli” [123]. In tale pronuncia, l’approdo era stato (impropriamente) giustificato alla luce della ritenuta pericolosità delle cose assoggettate a confisca obbligatoria. Ora, invece, l’impossibilità di rimettere in circolazione il frutto del reato, «sottraendolo alla conseguenza sanzionatoria obbligatoriamente prevista dalla legge», è stata reputata inevitabile portato dell’imperativo legale per cui la misura «opera “sempre”»: imperativo non vanificabile «in alcun modo», anche per evitare il «paradossale» risultato di «rendere disponibile […] un bene costituente profitto di un illecito penale» [124]. Il carattere obbligatorio dell’ablazione è stato, nondimeno, nelle rime motivazionali, a tal punto trasfigurato da riproporre, nella sostanza, l’idea della intrinseca pericolosità del confiscabile, che ne impone l’adprehensio “ad ogni costo”; idea che da sempre avvolge la confisca del profitto, da inseguire e agguantare «per rispondere alla esigenza di evitare che il crimine produca i propri frutti a vantaggio del reo […] e che comunque di esso beneficino altri soggetti, pur senza responsabilità» [125]. Un’idea, insomma, dietro cui si cela una visione quasi “eticizzante”, che rende l’intervento in rem inesorabile meccanismo espropriativo di guadagni “moralmente” riprovevoli [126]. In questa visuale, che trova terreno fertile proprio nel settore dei reati tributari [127], confisca – e sequestro a essa asservito – diventano istituti onnivori, di fronte ai quali sbiadisce ogni concorrente esigenza. I diritti dei creditori, maturati nel lecito esercizio dell’iniziativa economica, sono, così, inevitabilmente destinati a essere immolati sull’altare del preminente obiettivo di neutralizzare vantaggi anche indiretti scaturenti dal reato [128]. È lo stesso imperativo legale, rafforzato dallo scopo di assicurare alla mano pubblica quanto illecitamente sottratto, a rendere “ragionevole”, nell’iter argomentativo seguito, il totale sacrificio (senza [continua ..]


8. Percorsi alternativi: disponibilità e appartenenza

Esistevano, peraltro, adeguati spazi per addivenire a differente soluzione che, senza distorcere ratio e scopi della potestà ablatoria, non relegasse le contrapposte esigenze (individuali e pubblicistiche) a fattori “indifferenti”. Detti spazi si evincono per tabulas dalle norme regolanti la confisca del tantundem, le quali, nel tracciare il perimetro del confiscabile in base a ciò di cui il reo abbia la disponibilità, descrivono il presupposto dell’ingerenza in termini di effettiva riconducibilità del potere dispositivo all’autore del reato. La “disponibilità” – si è osservato – è nozione «la cui portata è “bidirezionale”: può palesarsi oltre la titolarità formale, ma può non essere rinvenibile anche in presenza di quest’ultima» [143]. Il dato, inteso dalla prassi interpretativa nell’unico senso di ritenere non dirimente la mera formale titolarità in capo al terzo, legittima, nella sua portata logico-letterale, pure il percorso inverso: l’intervento è precluso ove il responsabile, pur proprietario del bene, non ne disponga uti dominus. È quanto accade, appunto, nelle procedure concorsuali [144]. Il risultato ermeneutico, saldamente ancorato al tenore delle clausole che consentono di apprendere il “valore corrispondente” al guadagno illecito, ben può essere impiegato per rileggere, in maniera simmetrica, il concetto di “appartenenza” versato nello statuto dell’ablazione diretta; concetto che, in sé considerato, evoca il “dominio sostanziale” sulla cosa e, come tale, si presta a ospitare anche forme di disponibilità disgiunte dalla proprietà [145], tra le quali è senza dubbio annoverabile il munus pubblico esercitato dal curatore [146]. La prospettiva è, poi, addirittura esaltata dai sintagmi che descrivono la morfologia della confisca corporativa, la cui latitudine, lo si è detto [147], è tale da farvi convergere, senza scorciatoie, la salvaguardia delle situazioni creditorie. Ostacoli testuali si rinvengono solo nel disposto dell’art. 240-bis c.p. [148], che valorizza, in via alternativa, “titolarità” e “disponibilità a qualsiasi titolo”. Ma, si [continua ..]


9. Futuribili: procedura concorsuale e periculum in mora

Pur innestandosi in un contesto legislativo oramai superato (salvo quanto da ultimo notato), la pronuncia presenta significativi profili di attualità. Nel tentativo armonizzare l’affermata prevalenza della confisca con il principio espresso dalla sentenza “Mantova Petroli”, la Corte ha dovuto necessariamente sganciare il tema del potere di impugnare dalla problematica inerente al rapporto tra i vincoli. Il che, da un lato, consente di accantonare l’o­rientamento (più sopra richiamato) che vuole il terzo titolato a invocare unicamente la propria posizione soggettiva (appartenenza ed estraneità al reato); dall’altro, avalla l’esegesi dell’art. 320 d.lgs. n. 14/2019 per cui il curatore può contestare, con i gravami cautelari, la sussistenza di tutti i presupposti della misura processuale. L’approdo è affatto rilevante, in quanto si colloca in un panorama differente da quello che faceva da sfondo ai decisa “Focarelli” e “Uniland”. Lì il periculum giustificante la cautela era stato ravvisato, sulla scia di un’inveterata tendenza ermeneutica, nella mera confiscabilità del bene [163], con l’effetto di trasferire al sequestro «lo stesso regime di obbligatorietà della confisca» [164]; impostazione, questa, i cui estremi riflessi s’intravvedono anche nell’asserto, versato nella sentenza in commento, per cui «nel caso di confisca [obbligatoria] diretta o per equivalente il sequestro opera “sempre”» [165]. Nel rigettare il ricorso, tuttavia, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, oltre alla disattesa questione relativa alla preminenza del fallimento sul sequestro, la curatela, non solo non aveva dedotto la «assenza del fumus del reato ipotizzato», ma neanche «sollevato censure in ordine alla configurabilità del periculum in mora», secondo «quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte» [166]. Tale riferimento, per quanto inserito in una trama concettuale non del tutto limpida [167], va, senza dubbio, collegato al nuovo corso interpretativo volto a riconoscere, pure riguardo al sequestro anticipatorio (e all’infuori dei casi di illiceità intrinseca), l’obbligo di motivare sul periculum, declinato come rischio che il [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024