Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte europea dei diritti dell'uomo (di Andrea Sivier)


Divieto di trattamenti inumani o degradanti in presenza di una patologia psichiatrica del detenuto (Corte e.d.u., 8 febbraio 2024, Tarricone c. Italia) La sentenza in commento tratta il delicato tema della compatibilità tra il regime di detenzione e lo stato di patologia psichiatrica del ristretto. Nonostante la decisione si concluda con il rigetto del ricorso, le argomentazioni sviluppate dai giudici strasburghesi consentono al lettore di meglio individuare gli elementi di base affinché possa affermarsi la conformità ai dettami della Convenzione (in particolare, all’art. 3 della stessa – proibizione della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti) nei casi di esecuzione di misure carcerarie detentive applicate a soggetti in stato di malattia psichiatrica. Giova evidenziare come la disposizione sopramenzionata risulti essere uno dei traguardi più importanti raggiunti dalle società moderne. Difficilmente può, infatti, ritenersi democratica una società che consente, ai privati come all’autorità, atti di tortura o trattamenti inumani o degradanti. Invero, la “proibizione della tortura” (così è rubricato l’art. 3 Cedu) si pone come pietra miliare, non solo di una concezione sostanzialistica dei diritti dell’uomo – vale a dire, come passo di civiltà che necessariamente pone una barriera minima di rispetto dell’incolumità psico-fisica dell’essere umano –, ma anche nella diversa prospettiva della ricostruzione giudiziale dei fatti: quanto può essere considerata credibile la ricostruzione fattuale operata sottoponendo a tortura una persona? Dunque, si potrebbe affermare che la proibizione della tortura sia cosa giusta ed efficace. Il caso che di seguito sarà esposto, come anticipato, offre l’occasione per sviluppare una riflessione sul rapporto tra malattia psichiatrica, detenzione e rispetto dei principi convenzionali. Si dia uno sguardo ai fatti di causa. Il ricorrente aveva presentato i primi segnali di disturbo mentale in occasione di una carcerazione subìta dal 1993 al 1996, nell’ambito di un procedimento per il quale aveva goduto, quale collaboratore di giustizia, del regime di protezione previsto dal d.l. 15 gennaio 1991, n. 8. Con il fine di stabilire la compatibilità della detenzione del predetto con il suo stato di salute, veniva disposta una perizia psichiatrica dalla quale emergeva come lo stesso soffrisse di disturbi ansioso-depressivi, i quali richiedevano costanti controlli medici e un attento monitoraggio. Il perito, inoltre, osservava che eventuali trattamenti eseguiti al di fuori delle mura carcerarie non avrebbero, probabilmente, portato a risultati clinici migliori di quelli che si tentava di ottenere in regime di detenzione. Qualche anno dopo, in esecuzione di una condanna a trent’anni di reclusione [continua..]

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Fascicolo 3 - 2024