Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Prove di “carriere separate”: tra risalenti ambiguità normative, forzature ideologiche e… wishful thinking? (di Benedetta Galgani, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Pisa.)


La separazione delle carriere (o, se si preferisce, degli ordinamenti) non è la “panacea” dei mali della giustizia penale, ma contribuirebbe a rimarcare, anche da un punto di vista prettamente esterno, quella “diversità” identitaria tra giudice e pubblico ministero su cui poggia una delle pietre angolari del giusto processo: la terzietà del giudice.

Ovviamente, affinché una ridefinizione in senso “diarchico” della struttura giudiziaria possa sortire l’effetto auspicato senza, al contempo, dare adito a pericolosi squilibri, sarà indispensabile monitorare l’assetto istituzionale complessivo in cui una riforma ordinamentale di questo tenore andrà a collocarsi.

Testing ‘separate careers’: amidst long-standing regulatory ambiguities, ideological constraints and... wishful thinking?

The separation of the careers (or rectius, the separation of the orders) is not a universal remedy to criminal justice’s ails. However, it would contribute to highlighting, also from an external point of view, that ‘diversity’ between judge and prosecutor on which one of the keystones of fair trial rests: the judge’s impartiality.

Naturally, so that a reconfiguration in a "diarchic" sense-way of the judicial structure could achieve the desired effect without, at the same time, leading to dangerous disequilibrium, it will be imperative to closely scrutinize the overall institutional framework within which such a reformation would be set.

SOMMARIO:

1. Il cantiere (perenne) di un’ipotetica riforma - 2. False friends… - 3. Principi attivi e avvertenze - NOTE


1. Il cantiere (perenne) di un’ipotetica riforma

Assecondando quello che, a ben vedere, si profila come il ciclico riproporsi di intenti riformistici improntati al canone della separazione delle carriere giudicante e requirente, nemmeno la legislatura in corso sembra andare esente da un confronto con lo spinoso tema dell’opportunità/doverosità di una differenziazione ordinamentale tra giudice e pubblico ministero. Anzi. Per puro amor di cronaca, del tutto in linea con il programma della maggioranza governativa in materia di giustizia [1], è proprio alla fine del mese di marzo che, durante un question time dinanzi alla Camera, il Guardasigilli Nordio ha fatto l’ennesimo proclama sul punto. Peccato che anche in quell’oc­casione si sia trattato di un mero annuncio, avente più precisamente ad oggetto l’imminente presentazione [2] di un (non meglio specificato) d.d.l. governativo di revisione costituzionale [3]. Un annuncio, quello or ora ricordato, che sembrerebbe fornire una qualche spiegazione, per contro, del rallentamento, prima, e del sostanziale accantonamento, poi, subiti dall’esame dei progetti di riforma [4] – tutti intitolati «Modifica all’articolo 87 e al titolo IV della parte seconda della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura» – di cui al d.d.l. C. 23, d’iniziativa del deputato Costa (Azione), presentato in data 13 ottobre 2022; al d.d.l. C. 434, d’iniziativa del deputato Giachetti (Italia Viva), presentato in data 24 ottobre 2022; al d.d.l. C. 806, d’iniziativa dei deputati Calderone, Cattaneo, Pittalis e Patriarca (Forza Italia), presentato in data 24 gennaio 2023; al d.d.l. C. 824, d’iniziativa dei deputati Morrone, Bellomo, Bisa, Matone e Sudano (Lega), presentato in data 26 gennaio 2023; e, ancora e infine, al d.d.l. S. 504, d’iniziativa della senatrice Stefani e di altri ventuno senatori cofirmatari (Lega), presentato in data 26 gennaio 2023 [5]. A questo riguardo è per il momento sufficiente osservare come i contenuti dei menzionati disegni legislativi siano tra loro quasi completamente sovrapponibili e prendano le mosse dal testo di riforma costituzionale sul quale, nel 2017, l’Unione delle Camere penali – che fin dalla sua nascita ha caldeggiato l’idea di una diversa collocazione istituzionale del p.m. [6] – era [continua ..]


2. False friends…

Si profila, dunque, l’urgenza di “dissodare” la tematizzazione di un restauro ordinamentale della magistratura affrancandola da tutte quelle posizioni troppo spesso rilanciate in maniera acritica e stereotipata, posizioni che non poco hanno contribuito a fare dell’unicità delle carriere una sorta di dogma o di intoccabile tabù… In tale prospettiva metodologica, proviamo a fissare alcune rapide e (si spera) nitide coordinate di fondo [12]. In primissima battuta, non può essere messo seriamente in dubbio che la divisione delle carriere giudicante e requirente rientri «tra le possibili opzioni di politica costituzionale» e «rappresenti […] uno dei possibili assetti organizzativi della magistratura» [13]: del resto, sono gli stessi giudici di Palazzo della Consulta ad aver da tempo riconosciuto come la Carta fondamentale «non contenga alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati» [14]. Altrettanto irrefutabile si profila, poi, la constatazione secondo cui il carattere di terzietà dell’organo giurisdizionale [15] – oggi preteso expressis verbis dall’art. 111, comma 2, Cost. – deve ancora trovare piena ed effettiva implementazione nelle dinamiche del nostro rito penale. Difatti, pur a fronte della scelta assiologicamente orientata verso il modello accusatorio operata dal codice Vassalli e rinvigorita, in un secondo momento, dal restyling costituzionale del 1999, anche a un semplice vaglio empirico della pratica giudiziaria non sfugge come il titolare del potere d’accusa sia per più di un profilo assimilato al giudicante, perpetuandosi (il rischio derivante da) una “commistione” di facoltà e di funzioni che non può che «deprimere la dialetticità del processo» [16] e squilibrare il sistema del fair trial inteso nel suo insieme. Foss’anche – vale la pena sottolinearlo – soltanto in punto di “mera percezione” [17]. Cerchiamo di essere più espliciti. Già in epoca precedente all’adozione del “nuovo” codice, uno studioso della caratura di Carnelutti aveva aspramente censurato l’“ambiguità” tecnica sottesa a un organo dell’accusa che, pur [continua ..]


3. Principi attivi e avvertenze

Ma proprio perché molteplici sono le fogge che un’auspicabile “alterità” categoriale tra magistrati può in concreto assumere, giunti alle battute finali di questa riflessione corre l’obbligo di verificare quale sia realmente il “profilo” di riforma ricavabile dai progetti di legge finora all’esame parlamentare, in attesa di quello governativo che verrà… Innanzitutto, bisogna mettere da parte una certa naïveté imputabile ai depositanti, i quali, preoccupandosi di puntualizzare nelle relazioni illustrative come «la separazione delle carriere» non sia «un fine ma un mezzo», si espongono alle facili obiezioni condensate nel proverbio excusatio non petita, accusatio manifesta. Al netto di questo rilievo, risultano essenzialmente tre gli assi portanti della manovra innovatrice: separazione formale dell’ordine giudiziario nelle due categorie della magistratura giudicante e di quella requirente (nuovo art. 104 Cost.); creazione di due organi di governo autonomo, vale a dire il Consiglio superiore della magistratura giudicante (nuovi artt. 104 e 105 Cost.) e il Consiglio superiore della magistratura requirente (inediti artt. 105-bis e 105-ter Cost.); previsione di distinti concorsi per l’accesso a ciascuna carriera (nuovo art. 106 Cost.). Dunque, almeno prima facie, il rinnovato “edificio” sembrerebbe calibrato a mantenere l’accusa in un ordine giudiziario (seppure distinto da quello dei giudici) in grado di assicurarle, comunque, i caratteri dell’autonomia e dell’indipendenza [52] e, nel contempo, a segnare in maniera più marcata la diversità di ruolo e di funzioni tra tipologie di magistrati. Il tutto, peraltro, senza che nei testi sopra citati sia in qualche modo rintracciabile un indice normativo che legittimi a preconizzare una riconduzione dei pubblici ministeri sotto il controllo del potere politico o, ancora, una loro metamorfosi in novelli “Torquemada” sol perché la carriera è distinta [53]. A meno che, ovviamente, non si intenda cedere alle lusinghe di un’ideologia del “sospetto” sempre feconda, e ci si impegni a combattere un’idea soltanto sulla scorta di “profezie” indimostrate se non, addirittura, indimostrabili. Semmai, cercando di evitare ab imis il rischio che da una [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2024