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In seguito all’introduzione nell’ordinamento penitenziario italiano dei “rimedi compensativi” per il pregiudizio sofferto dalle persone detenute in condizioni contrarie all’art. 3 Cedu, il Ministero della giustizia ha effettuato una rilevazione statistica relativa alla prima applicazione dell’art. 35 ter, l. n. 354/75. L’articolo analizza criticamente i risultati dell’indagine e i possibili effetti, suggerendo quindi alcune possibili soluzioni.
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Effectiveness of remedies of ill detention in case of violation of Art. 3 Ehrc: observations on Minister of Justice's statistical survey on the first appliance of art. 35-ter, l. n. 354/1975 After the introduction of the “compensative remedies” of the prejudice suffered by detainees in violation of art. 3 Ehrc, Minister of Justice set out a statistical survey on the first appliance of art. 35 ter, l. n. 354/75.
The essay critically analyzes the aims and the possible effects, suggesting some possible solutions.
In ottemperanza alle prescrizioni dettate dalla Corte di Strasburgo nella ben nota sentenza Torreggiani [1], il Governo, con un duplice intervento a modifica e integrazione della legge di ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354), ha introdotto un rimedio “preventivo” per la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti detenuti e internati [2] e, dopo breve tempo, rispondendo anche alle sollecitazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (che, nel giugno dello scorso anno, esprimendo apprezzamento per le riforme fino a quel momento messe in cantiere, aveva invitato l’Italia a completare l’adeguamento agli obblighi derivanti dalla “sentenza-pilota” della Corte europea dei diritti dell’uomo), ha creato anche uno strumento “compensativo”, nelle forme del nuovo art. 35-ter ord. penit., recante appunto “rimedi risarcitori” in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’art. 3 Cedu [3].
L’attenzione degli operatori e degli studiosi si è concentrata soprattutto sul secondo dei “rimedi gemelli” [4] di matrice europea modellati dal legislatore, per l’alta valenza simbolica della presenza nell’ordinamento di un istituto di natura effettivamente risarcitoria del danno morale patito dalle persone detenute in condizioni inumane e degradanti, anche se, quasi certamente, non sono rimaste estranee al dibattito sviluppatosi attorno al ricorso risarcitorio le preoccupazioni sulle ricadute pratiche che dall’applicazione di tale strumento potranno discendere, anche sul versante dell’aggravio per le finanze pubbliche [5].
L’INDAGINE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
L’interesse per la nuova modalità di risarcimento del pregiudizio subito dai soggetti detenuti è, senza alcun dubbio, destinato a farsi ancor più insistente per l’approssimarsi del secondo check fissato, a giugno del corrente anno, dal Comitato dei Ministri europei per la verifica in concreto dell’effettività dei “rimedi compensativi”. Tale, non del tutto tranquillizzante, scadenza induce a interrogarsi sul possibile esito di questo ennesimo (e umiliante) redde rationem per il nostro ordinamento sul fronte, particolarmente delicato, delle effettive garanzie di tutela assicurate ai diritti delle persone detenute [6].
L’occasione per qualche riflessione al proposito è rappresentata dalla diffusione dei risultati di un’indagine promossa dal Ministero della giustizia con l’intento di monitorare gli esiti di prima applicazione dello strumento risarcitorio, alla luce degli orientamenti espressi dalla prima giurisprudenza [7].
Dall’elaborazione dei dati forniti dalle cancellerie della magistratura di sorveglianza emerge, invero, [continua..]