Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L´obbligo di assicurare la tempestività della decisione sul legal aid ai sensi della direttiva 2016/1919/UE: nell´inerzia del legislatore, serve un cambio di passo della giurisprudenza (di Elisa Grisonich, Dottoressa di ricerca in Scienze giuridiche – Università degli Studi di Trieste-Università degli Studi di Udine)


Il lavoro analizza una pronuncia della Cassazione, la quale offre l’occasione per soffermarsi su uno dei più gravi problemi del sistema di legal aid italiano: la mancata tempestività della decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Nonostante le chiare prescrizioni della direttiva 2016/1919/UE sul punto e la cattiva implementazione dell’atto da parte del legislatore nostrano, la sentenza in commento testimonia come l’indirizzo giurisprudenziale formatosi sull’osservanza dei termini in ordine al riconoscimento del diritto sia rimasto immutato. Preso atto di ciò, ci si prefigge di individuare le lacune dell’ordinamento interno rispetto ai canoni sovranazionali e di delineare le possibili traiettorie per porvi rimedio. L’auspicio è, in ultima analisi, quello di un cambio di passo nella prassi giudiziaria, a fronte della persistente inerzia legislativa.

The obligation to ensure early access to legal aid prescribed by the Directive 2016/1919/EU: in light of the lack of action by the legislator, a change is needed in the case law

The paper analyses a judgment of the Court of Cassation, which provides the opportunity to examine one of the most serious issues in the Italian legal aid system: the delay in the decision to grant legal aid. Despite the clear provisions in the Directive 2016/1919/EU and the incorrect transposition of this Directive, the judgment shows that the Italian case law has not changed. Therefore, the paper aims to identify the shortcomings of the Italian system in relation to supranational requirements and to outline the possible solutions. Finally, the author calls for a change in the case law, in light of the lack of action by the legislator.

Sull’inosservanza del termine per la decisione sul patrocinio a spese dello Stato MASSIMA: L’omessa o la tardiva decisione del giudice competente, rispetto al termine (ordinatorio) di dieci giorni previsto dall’art. 96, comma 1, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, non è idonea a produrre alcuna automatica nullità degli atti successivi, salvo che tale circostanza si traduca in una lesione effettiva e concreta del diritto di difesa. PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d’appello di Palermo con sentenza in data 10 ottobre 2019, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, in data 20 dicembre 2017, ha assolto M.S. (capo B), V.G. e C.S. (entrambi dal delitto di cui al capo 48), S.G. (capo 63), S.S. (capo N), M.A.G. e S.A.M. (entrambi dal capo F), C.V., C.S. e I.G.M. dalle imputazioni relative al delitto di porto illegale di armi da fuoco, loro rispettivamente ascritte (capi 14 e D), confermando il giudizio di responsabilità nei confronti degli imputati A.S., B.F., B.S., M.M., V.R., R.M., R.G., C.F., C.V., C.F.G., L.G., C.V., D.M., M.G.G., S.M., F.A., V.A., M.V., I.G., G.A., C.S., G.C., M.A.G., G.D., S.S., S.A.M., R.D., N.S., S.V., V.V., P.S., L.D.G., I.G.M., con rideterminazione delle pene loro inflitte. [Omissis] 22. Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato F.A., deducendo con il primo motivo violazione di norme processuali, in riferimento alla tardiva decisione sull’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, circostanza che aveva impedito di richiedere e acquisire gli atti processuali al momento della proposizione dell’atto di appello, così violando il diritto di difesa; la Corte territoriale aveva rigettato il motivo di appello proposto al riguardo, osservando che nessun termine perentorio regolava la decisione sull’istanza di ammissione; che la parte aveva tardato a integrare la documentazione, richiesta dal Giudice; in ogni caso non aveva specificato il concreto pregiudizio alle prerogative difensive. La motivazione adottata era carente rispetto al motivo di appello proposto, essendo evidente che la mancata disponibilità degli atti aveva impedito di esercitare compiutamente la facoltà di impugnazione. [Omissis] CONSIDERATO IN DIRITTO [Omissis] 22. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato F.A. è reiterativo, oltre che manifestamente infondato. La sentenza impugnata aveva rilevato l’inammissibilità dell’omologo motivo di appello, denunciandone la genericità oltre che, in ogni caso, la carenza di allegazione degli elementi di fatto a sostegno della lesione dei diritti di difesa, conseguente alla negata ammissione al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento emesso oltre i termini indicati dal d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 96, comma 1. Il ricorrente persevera nel denunciare la violazione [continua..]

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SOMMARIO:

1. Introduzione: la tempestività della decisione sul legal aid, tra prescrizioni eurounitarie e resistenze nell’ordinamento italiano - 2. La decisione - 3. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento - 4. Le lacune - 5. Le strade da percorrere - 6. Note conclusive - NOTE


1. Introduzione: la tempestività della decisione sul legal aid, tra prescrizioni eurounitarie e resistenze nell’ordinamento italiano

La mancata tempestività della decisione sul legal aid si ergeva nell’Impact assessment, che accompagnava la proposta di direttiva UE su tale garanzia, come uno dei più gravi profili critici ravvisabili nei sistemi di assistenza legale gratuita dei Paesi membri. In maniera emblematica, la Commissione europea osservava come «legally aided assistance is not always available at the early stages of the proceedings, especially before a decision on legal aid has been made, although the right of access to a lawyer applies from the time a person is suspected» [1]. In tale contesto, l’Italia veniva collocata tra i dodici Stati in cui erano riscontrabili serie carenze di questo tipo: secondo quanto esplicitato nella valutazione d’impatto, infatti, il nostro ordinamento non avrebbe assicurato un effettivo accesso al legal aid già a partire dai momenti iniziali del procedimento penale [2]. Com’è noto, la Commissione non rimaneva insensibile di fronte a tale profonda lacuna degli schemi nazionali di patrocinio gratuito. Inutile rilevare, infatti, che un’eventuale inerzia sul punto da parte della piccola Europa avrebbe rappresentato una grave rinuncia a rafforzare la fiducia reciproca tra i Paesi membri circa l’equivalente tutela dei diritti nei loro ordinamenti, anche per quanto riguarda la garanzia difensiva del legal aid. Questo, evidentemente, avrebbe rappresentato un pregiudizio per il corretto funzionamento degli strumenti di mutuo riconoscimento [3]. Consapevole di ciò, tale istituzione proponeva, quindi, di introdurre il cosiddetto provisional legal aid, vale a dire la garanzia di un’ammissione immediata e provvisoria al patrocinio gratuito in favore del prevenuto privato della libertà personale e del ricercato, in grado di operare sino all’emanazione di una decisione definitiva sul riconoscimento del diritto [4]. La proposta, tuttavia, si scontrava ben presto con i travagliati negoziati avviati tra Parlamento europeo e Consiglio [5] per l’approvazione di quella che sarebbe diventata la direttiva 2016/1919/UE sul diritto al legal aid nei procedimenti penali e nelle procedure relative all’euro-mandato [6]. Per quanto qui rileva, durante i lavori preparatori, l’istituto del provisional legal aid veniva messo da parte per far comunque posto a una disciplina finalizzata ad assicurare una pronuncia tempestiva [continua ..]


2. La decisione

In quest’ottica, giova prendere le mosse dal caso alla base della sentenza e da alcuni significativi passaggi contenuti nell’arresto. Più precisamente, la fattispecie a monte dell’approdo si presentava particolarmente complessa, giacché vedeva coinvolto un numero cospicuo di imputati per fatti legati alla criminalità organizzata di cui all’art. 416 bis c.p. Per quanto interessa in questa sede, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado, aveva assolto alcuni prevenuti e, per altro verso, confermato nei confronti della maggior parte degli imputati il giudizio di responsabilità per i fatti loro addebitati. Avverso la pronuncia avevano proposto ricorso per cassazione sia il procuratore generale presso la Corte d’appello, sia la quasi totalità delle difese degli imputati. Qui merita concentrarsi su uno dei motivi avanzati da uno dei ricorrenti, in quanto riguardante proprio una censura del vizio di violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, in ragione della tardività della decisione intervenuta sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In particolare, la difesa aveva sostenuto che tale circostanza avrebbe impedito la richiesta e l’acquisizione degli atti processuali necessari al fine della presentazione dell’atto di appello; di modo che, in definitiva, ciò avrebbe integrato una lesione delle prerogative difensive. Siffatta doglianza era stata, peraltro, oggetto di specifico motivo di appello, il quale, tuttavia, era stato rigettato, sulla scorta dell’indirizzo giurisprudenziale univoco in materia [16]. Il giudice di secondo grado, per un verso, aveva escluso la sussistenza di un termine perentorio nella disciplina sul patrocinio a spese dello Stato e, per altro verso, aveva osservato che, in ogni caso, la parte non aveva esposto il concreto pregiudizio verificatosi per effetto del ritardo dell’ammissione rispetto ai diritti difensivi. Dal canto suo, la difesa aveva contestato il difetto di motivazione intervenuto in parte qua: a suo dire, era «evidente che la mancata disponibilità degli atti aveva impedito di esercitare compiutamente la facoltà di impugnazione» [17]. Ebbene, la risposta della Cassazione è stata netta. La Suprema Corte ha considerato reiterativo, oltre che manifestamente infondato tale [continua ..]


3. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento

La decisione in commento non si distingue, di certo, per originalità. Essa, come anticipato, si inserisce nell’orientamento giurisprudenziale, ormai granitico, formatosi intorno all’art. 96 d.p.r. n. 115/2002, il quale ravvisa nell’inosservanza del termine ivi prescritto una mera irregolarità, a meno che da ciò non derivi «una effettiva lesione al diritto di difesa» [20]. D’altra parte, per comprendere appieno la portata della pronuncia e, in generale, per avere una cognizione completa dell’approccio sinora tenuto dall’ordinamento italiano quanto all’esigenza di celerità dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, appare necessario tracciare, anzitutto, una panoramica delle diverse tappe evolutive in cui si sono snodati gli assetti normativo e giurisprudenziale rilevanti in parte qua. Più nel dettaglio, sin dalla l. 30 luglio 1990, n. 217, che introduceva per la prima volta nel sistema di legal aid italiano l’istituto del patrocinio a spese dello Stato [21], il legislatore aveva avuto cura di fissare un termine entro cui si sarebbe dovuto provvedere sull’istanza di ammissione alla garanzia. L’art. 6 di tale disciplina prescriveva al giudice competente di pronunciarsi in un arco temporale di dieci giorni, decorrente dal momento in cui la richiesta era stata presentata o era pervenuta, oppure immediatamente se la stessa fosse stata avanzata in udienza. Nella previsione non compariva, peraltro, alcuna sanzione processuale in caso di sua inosservanza, con la conseguenza che era prevalsa l’interpretazione che ravvisava in siffatta evenienza la configurazione di una mera irregolarità, fonte, tutt’al più, di una «responsabilità disciplinare ai sensi dell’art. 124 c.p.p.» [22]. Ben presto subentrava la l. 29 marzo 2001, n. 134. Proprio per superare «la protratta situazione di incertezza circa l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato» [23] determinata dall’assenza di una invalidità, il novum normativo interpolava l’art. 6 l. n. 217/1990. Veniva così introdotta un’ipotesi di nullità speciale assoluta ex art. 179, comma 2, c.p.p., in caso di mancato rispetto delle tempistiche ivi disciplinate. L’assetto così congegnato trasmigrava, in seguito, nell’art. 96 d.p.r. n. 115/2002. La novella dava, [continua ..]


4. Le lacune

La rilevanza dell’arresto non va, ad ogni modo, argomentata sulla scorta della mera linea di continuità esistente tra tale decisione e l’indirizzo giurisprudenziale in cui si colloca. Occorre, infatti, rimarcare che la vera centralità della pronuncia si rinviene nella circostanza che la stessa difetta di un qualsiasi riferimento alla direttiva 2016/1919/UE, che pur contiene delle fondamentali prescrizioni sull’esi­genza di celerità dell’ammissione al legal aid. Ciò, in sostanza, sembra denotare una grave miopia giurisprudenziale nell’ambito dei dicta europei. Nonostante la cattiva attuazione della fonte eurounitaria da parte del legislatore e la decorrenza del termine entro cui si sarebbe dovuto implementare la direttiva, nulla è cambiato nell’approccio tenuto dalla giurisprudenza. Si tratta di un rilievo che permette, a questo punto, di svolgere un passaggio ulteriore nello sviluppo della trattazione. Più nel dettaglio, tale considerazione, unita al quadro di insieme sopra riportato sull’assetto normativo e giurisprudenziale italiano, costituisce la premessa per sondare in che misura e in relazione a quali versanti il sistema nostrano si pone in contrasto con i canoni europei. A tale fine, giova prendere le mosse dalla disciplina di carattere speciale racchiusa nell’art. 4, par. 5, direttiva 2016/1919/UE, che – lo si ricordi – impone di assicurare, in favore dei soli accusati, l’ammis­sione all’assistenza legale gratuita prima dell’inizio dell’interrogatorio o del compimento di determinati atti individuati dalla medesima fonte, ossia il confronto, la ricognizione di persone e la ricostruzione della scena del crimine. Ora, rispetto a questa disposizione, non serve spendere molte parole per mettere in luce la gravità della carenza del sistema nostrano. Come si è più volte rilevato, l’art. 96 d.p.r. n. 115/2002 prevede un termine pari a dieci giorni entro cui dovrebbe essere presa la decisione sul riconoscimento del patrocinio statale. Di contro, la prescrizione dettata dalla disposizione eurounitaria assume toni ben diversi: il legal aid deve essere, infatti, garantito a prescindere dalla decorrenza o meno di un determinato numero di giorni; ciò che conta è che esso sia assicurato prima dello svolgimento di specifici atti, tra cui l’interrogatorio dell’indagato. [continua ..]


5. Le strade da percorrere

L’aver individuato tali lacune dello schema di legal aid italiano risulta fondamentale per tentare, a questo punto, di tracciare le soluzioni percorribili al fine di superarle. Considerata la persistente inerzia del legislatore in merito, non resta, infatti, che all’interprete delineare le strade necessarie da intraprendere, nell’ottica di porre l’ordinamento interno al passo con le indicazioni sovranazionali. Preso atto della persistente chiusura della giurisprudenza sulla tematica, plasticamente compendiata nella sentenza in commento, il tentativo è, in ultima analisi, quello di porre le premesse per una reale riflessione sul punto nella prassi giudiziaria; dato che sembra imprescindibile per poter auspicare un mutamento in materia. Così, nel voler anzitutto soffermarsi sull’art. 4, par. 5, direttiva 2016/1919/UE, non pare errato ritenere che tale disposizione abbia tutti i requisiti individuati a livello pretorio dalla Corte di giustizia per potersi parlare di una previsione self-executing [57]. Si tratta, infatti, di una disposizione chiara, precisa e incondizionata, laddove prescrive in maniera lineare e senza lasciare alcuno spazio discrezionale ai Paesi membri i termini entro cui, in ogni caso, il legal aid deve essere assicurato, e cioè – val la pena riportarlo nuovamente – «prima che sia svolto l’interrogatorio dell’interessato da parte della polizia, di un’altra autorità di contrasto o di un’autorità giudiziaria, oppure prima che siano svolti gli atti investigativi o altri atti di raccolta delle prove» individuati dall’art. 2, par. 1, lett. c) della direttiva. Ne consegue, quindi, che grava sul giudice nazionale l’obbligo di disapplicare l’art. 96 d.p.r. n. 115/2002, quale normativa interna in contrasto con il diritto UE, e disporre l’applicazione diretta del­l’art. 4, par. 5 della fonte eurounitaria, ove rilevante nella fattispecie concreta [58]. È appena il caso di osservare, oltretutto, che, secondo un’interpretazione conforme all’art. 8 direttiva 2016/1919/UE, l’inos­servanza di tale assetto dovrebbe condurre alla sussistenza di una nullità a regime intermedio ex artt. 178, comma 1, lett. c) e 180 c.p.p. dell’interrogatorio o degli altri atti probatori in senso lato individuati dallo strumento UE [59]. L’impostazione delineata [continua ..]


6. Note conclusive

Non resta, conclusivamente, che auspicare un cambio di approccio a livello giurisprudenziale. Alla luce dei profili man mano emersi in queste righe, appare confermato come non sia condivisibile il silenzio serbato dalla decisione in esame in ordine alla direttiva 2016/1919/UE. Non solo, infatti, è mancato un confronto con il testo eurounitario, anche al solo fine di escluderne la rilevanza, ma ciò che desta maggiori perplessità è, per l’appunto, l’assenza di un qualche riferimento allo stesso. Il che sembra sintomo di una mancanza di sensibilità verso il contenuto dell’atto e, in particolare, riguardo alle indicazioni in esso racchiuse sulla tematica in discorso. La speranza è, dunque, che si superi con fermezza lo status quo, allo scopo di risolvere le gravi distonie del sistema italiano individuate. Inutile sottacere, inoltre, il ruolo chiave che in questo percorso dovrebbe essere assunto pure dalla difesa [83]. Sempre prendendo come esempio la decisione in commento, l’assenza della direttiva 2016/1919/UE tra i passaggi argomentativi della pronuncia trova certamente causa anche nella mancanza di una puntuale doglianza difensiva in proposito. È un dato che non si può trascurare. Esso sollecita la considerazione dell’importanza cruciale di una formazione specifica da parte dell’avvocatura sul contenuto delle direttive di Stoccolma [84], in quanto strumenti fondamentali che devono essere valorizzati per la tutela delle prerogative dei prevenuti e delle persone destinatarie di un MAE all’interno dei confini nazionali. Circostanza che costituisce, di riflesso, un tassello essenziale per la continua e corretta implementazione nella prassi di tali atti, specie laddove, come nel caso in questione, il legislatore non li abbia attuati in maniera adeguata. Preme, infine, svolgere un’ulteriore osservazione. A fronte delle conclusioni cui si è giunti, potrebbe essere mossa l’obiezione sull’«inevitabilità pratica del ritardo» [85] del riconoscimento della tutela, posto che sul giudice incombe il compito di verificare, anche ai sensi degli accertamenti possibili o doverosi ex art. 96, commi 2 e 3, d.p.r. n. 115/2002, l’effettiva sussistenza in capo all’istante delle condizioni reddituali per essere ammesso a godere della garanzia. In altre parole, vi sarebbe una sostanziale inconciliabilità [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022