La recente decisione della Corte costituzionale, dichiarando non fondata la questione di legittimità dell’art. 6, comma 2, l. 20 giugno 2003, n. 140, sollevata in riferimento all’art. 68, comma 3, Cost., conferma la necessaria preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza all’impiego di tabulati telefonici che coinvolgono parlamentari acquisiti a carico di terzi, ma lascia ulteriori dubbi in materia.
The recent decision of the Constitutional Court, declaring the question of the legitimacy of the art not founded. 6, paragraph 2, l. June 20, 2003, n. 140, raised with reference to art. 68, paragraph 3, of the Constitution, confirms the necessary prior authorization of the Chamber of belonging to the use of telephone records that involve members of parliament acquired against third parties, but leaves further doubts on the matter.
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Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 6, comma 2, l. 20 giugno 2003, n. 140 [1], sollevata con riferimento all’art. 68, comma 3, Cost., nella parte in cui prevede che l’organo giudiziario chieda alla Camera di appartenenza del parlamentare l’autorizzazione anche per utilizzare i tabulati telefonici che lo riguardano acquisiti a carico di terzi [2]. Si tratta della captazione indiretta di dati del traffico che accidentalmente coinvolgono il componente dell’Assemblea La decisione merita un approfondimento, perché il Giudice delle leggi, nell’affrontare il problema dei rapporti tra intercettazioni [3] e tabulati, adotta una scelta che, per taluni aspetti, si pone in contrasto con precedenti interventi. Occorre, al riguardo, preliminarmente ricordare che l’art. 68 Cost. mira a proteggere il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie nell’esercizio del suo mandato, a proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi di condizionamento, estranei alle effettive esigenze della giurisdizione. Destinatari della tutela non sono, invero, i “singoli” parlamentari, ma le Assemblee nel loro complesso. Il bene protetto si identifica con l’esigenza di regolare il corretto esercizio del potere giudiziario nei confronti delle funzioni del Parlamento, e non con gli interessi personali dei suoi membri (riservatezza, onore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell’atto. Tali ultimi interessi trovano salvaguardia nei presidi, anche costituzionali, stabiliti per la generalità dei consociati. In effetti, l’autorizzazione ad effettuare le intercettazioni di flussi comunicativi c.d. diretti, tramite l’assenso della Camera di appartenenza ai fini dell’esecuzione del mezzo investigativo, (art. 68, comma 3, Cost.) non ha lo scopo di salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto singolo [4]: sotto tale profilo, il diritto individuale trova già riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell’art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni può avvenire solo per atto motivato dell’autorità [continua ..]
Come è noto, l’art. 68 Cost., riformato dalla legge cost. 29 ottobre 1993, n. 3, ha sostituito [8] al regime fondato sulla generale autorizzazione a procedere [9] una disciplina selettiva, incentrata sulla richiesta di autorizzazioni ad actum, relative, cioè, al compimento di atti specifici del procedimento (art. 68, commi 2 e 3) [10]. Il dettato costituzionale indica, specificamente, al secondo comma, tra gli atti d’indagine che necessitano di autorizzazione, la perquisizione personale o domiciliare, l’arresto o altra limitazione della libertà personale [11]. Al terzo comma individua la necessità di autorizzazione anche nel caso in cui si proceda ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. La “tassatività” della previsione ha generato un orientamento della Corte costituzionale fondato sull’idea che, nella disciplina delle prerogative, in questo caso, di natura processuale, afferenti il mandato parlamentare, il legislatore ordinario sia vincolato ad attuare il dettato costituzionale, «essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione» [12], dal momento che l’art. 68 va interpretato «nel senso più aderente al testo normativo» [13], basato sul principio di tipicità degli atti ritenuti maggiormente lesivi della libertà del parlamentare [14]. Si tratta di considerazioni poste a fondamento dell’ordinanza di rimessione [15], che muove dal rilievo per cui «la disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione de(ve) essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che non è consentito al legislatore ordinario alterare né in peius né in melius». Sicché il loro regime non è caratterizzato dal principio della riserva di legge – da ciò scaturendo la libertà del legislatore di estenderne l’applicabilità anche a situazioni valutate in termini di analogia – ma da quello della espressa previsione da parte di norme di rango costituzionale. Una riflessione preliminare, seppur a grandi linee, merita, altresì, la disciplina dettata dalla legge n. 140 del 2003 [16] in tema di attuazione del novellato [continua ..]
Alla luce di quanto esposto, è opportuno un breve excursus sulla disciplina dei tabulati telefonici. Essi consistono, come noto, in documenti cartacei od informatici dai quali è possibile desumere dati relativi a flussi comunicativi, quali numero chiamante o numero chiamato, durata della conversazione e, in alcuni casi, per quanto ovviamente concerne la telefonia mobile, anche luogo di collocazione degli apparati all’atto dell’effettuazione delle medesime comunicazioni telefoniche. Come ben si comprende, trattasi di uno strumento investigativo particolarmente utile sotto il profilo della determinazione dei contatti tra apparati telefonici e, conseguentemente, tra i soggetti che ne sono gli utilizzatori ma, soprattutto, di uno strumento che, contrariamente alle intercettazioni (il cui presupposto è sempre l’attualità della comunicazione), consente di rivolgere uno sguardo investigativo anche al passato, scontando, come unico limite, quello della conservazione temporale dei dati presso le compagnie telefoniche, aspetto quest’ultimo divenuto di scottante rilevanza alla luce delle recenti innovazioni normative in materia di tutela dei dati personali. La Corte costituzionale del 1993 [27], a conferma dell’interpretazione sviluppatasi dalla giurisprudenza di merito, ha evidenziato che «la particolare disciplina predisposta dagli artt. 266-271 c.p.p. sulle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni telefoniche si applica soltanto a quelle tecniche che consentono di apprendere, nel momento stesso in cui viene espresso, il contenuto di una conversazione o di una comunicazione, contenuto che, per le modalità con le quali si svolge, sarebbe altrimenti inaccessibile a quanti non siano parti della comunicazione medesima» Tuttavia, si è anche rilevato che, «fermi restando i limiti di oggetto e di disciplina delle norme processuali sulle intercettazioni telefoniche», non può non accreditarsi il convincimento per cui «a tutela accordata dall’art. 15 della Costituzione alla libertà e alla segretezza della comunicazione, è sicuramente idonea a ricomprendere fra i propri oggetti anche i dati esteriori di individuazione di una determinata conversazione telefonica» [28]. Al riguardo, si è, altresì, precisato che «oltre agli articoli concernenti le intercettazioni del contenuto di [continua ..]
Alla luce di quanto fino ad ora esposto, appare evidente, come in giurisprudenza sia consolidato l’orientamento secondo cui le intercettazioni e l’acquisizione dei tabulati telefonici siano categorie disomogenee. Sulla base di tale assunto, per il giudice rimettente esisterebbe una differenza «ontologica e normativa» tra le intercettazioni telefoniche e i dati esterni delle comunicazioni, poiché le prime costituirebbero, come chiarito dalla Corte costituzionale del 1993, «tecniche che consentono di apprendere, nel momento stesso in cui viene espresso, il contenuto di una conversazione o di una comunicazione, contenuto che, per le modalità con le quali si svolge, sarebbe altrimenti inaccessibile a quanti non siano parti della comunicazione medesima», mentre i tabulati fornirebbero la documentazione del dato «estrinseco» della conversazione, di cui riscontrerebbero la durata, le utenze coinvolte, i ponti-radio collegati. Sulla scorta di tale differenza, la stessa Corte, in precedenza, non ha ritenuto estensibile ai tabulati la disciplina che il codice di procedura penale prevede per le intercettazioni [49]. Infatti, solo il giudice per le indagini preliminari, e solo in presenza di determinati reati, con limiti che sono stati resi via via più stringenti, può autorizzare intercettazioni, mentre per l’acquisizione dei tabulati si è sempre ritenuta sufficiente la richiesta del magistrato del pubblico ministero con decreto ex art. 256 c.p.p. – relativo al dovere di esibizione all’autorità giudiziaria di documenti riservati o segreti – come ha in seguito confermato, anche se con una disciplina più dettagliata, l’art. 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [50]. Quindi, proprio sulla base sia di tale differenza «ontologica e normativa», sia dell’esclusione dall’elenco dell’art. 68 Cost. di riferimenti ai tabulati telefonici, il giudice a quo arriva ad affermare la non conformità alla Costituzione dell’art. 6, comma 2, legge n. 140 del 2003, nella parte in cui prevede che il giudice richieda l’autorizzazione alla camera di appartenenza del parlamentare anche per l’utilizzazione dei tabulati acquisiti a carico di terzi in contatto col primo, dal momento che estende tale guarentigia ad atti di indagine non previsti dalla norma costituzionale, [continua ..]