È esclusa l’ammissibilità della contestazione “in fatto” della fattispecie aggravata di falso in atto pubblico
(Cass., sez. un., 7 giugno 2019, n. 24906)
La Suprema Corte è stata chiamata a decidere sulla ammissibilità della contestazione in fatto della circostanza aggravante, relativa alla natura fidefacente dell’atto oggetto della condotta di falso, ex art. 476, comma 2 c.p. Per contestazione “in fatto” – secondo la Corte – si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge che la prevede ma riporti, in maniera sufficientemente chiara e precisa, gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all’imputato di averne piena cognizione e di esercitare adeguatamente il proprio diritto di difesa (Cass., sez. I, 8 febbraio 20177, n. 51260; Cass., sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 4461). La Quinta sezione penale ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, avendo riscontrato la presenza di due orientamenti contrastanti.
Secondo un primo indirizzo, la contestazione in fatto di tale aggravante non è ammissibile, poiché è necessario che l’addebito della fattispecie aggravata risulti nell’imputazione dalla indicazione specifica della violazione dell’art. 476, comma 2 c.p., ovvero, in mancanza di essa, quanto meno dall’uso di sinonimi o di formule linguistiche equivalenti al contenuto della previsione normativa (Cass., sez. III, 8 ottobre 2014, n. 6809; Cass., sez. V, 13 febbraio 2014, n. 12213), ovvero di elementi indicativi dell’efficacia fidefacente dell’atto ritenuto falso (Cass., sez. V, 18 aprile 2018, n. 30435). L’interpretazione è in linea con il diritto riconosciuto all’imputato, affermato anche dalla giurisprudenza europea (Corte edu, 11 dicembre 2017, Drassich c. Italia), di essere tempestivamente e dettagliatamente informato non solo dei fatti materiali posti a suo carico ma anche della qualificazione giuridica ad esso attribuita; per consentire un pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa, dunque, è indispensabile che la natura fidefacente dell’atto emerga chiaramente dall’imputazione.
Un diverso orientamento interpretativo, invece, ritiene sufficiente, ai fini del corretto esercizio del diritto di difesa, l’indicazione degli elementi fattuali della circostanza ovvero l’indicazione dell’atto in relazione al quale la condotta di falso è contestata (Cass., sez. V, 14 settembre 2016, n. 2712; Cass., sez. I, 12 marzo 2015, n. 24870). A sostegno di tale esegesi interpretativa, si sottolinea che la natura fidefacente dell’atto, ove emerga dalla descrizione dell’imputazione, rende prevedibile per la difesa la riqualificazione ad opera del giudice (Cass., [continua..]