Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Sequestro per confisca: morte (apparente?) di un paradosso (di Giuseppe Biscardi, Ricercatore di Procedura penale – Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


L’affermazione delle Sezioni Unite, per cui in caso di sequestro a norma dell’art. 321, comma 2, c.p.p., occorre riscontrare il rischio concreto di “dispersione” della res, è senz’altro opportuna e condivisibile. Si tratta, tuttavia, di approdo dovuto e per alcuni versi tardivo, alla luce dell’inequivoco dato testuale e – soprattutto – delle indicazioni ricavabili dal sistema, che vieta “risposte automatiche” alla domanda cautelare. Permangono inoltre, nel settore, altre rilevanti criticità: in primis il tema dell’accertamento del fumus, in relazione al quale la giurisprudenza, sebbene protagonista di un percorso in progress, è ancora saldamente assestata nel negare la necessità dell’indi­viduazione di indizi di colpevolezza.

Seizure by confiscation: (apparent) death of a paradox?

The Supreme Court joint department stated that, in case of seizure based on art. 321 para 2 code of criminal procedure, it is necessary to verify any risk of dispersion of the item. That is certainly an appropriate and acceptable decision. However, it is a due conclusion, somehow a late one, if one takes into consideration the clear wording and – more than that – the indications coming from the whole system, that prevents any “authomatic response” to any seizure request. Moreover, other relevant criticalities remain: first of all the fumus assessment, on which the case law, even though in progress, is still unbroken as to the exclusion of the indications of guilt requirement.

Sequestro a scopo di confisca: necessario accertare il rischio di “dispersione” della res  MASSIMA: Il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio. PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 9 luglio 2020 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da E.G.M. avverso il decreto di sequestro preventivo del 3 marzo 2020 finalizzato alla confisca di somme di denaro ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, in quanto non ancora eseguito, e rigettato l’impugnazione proposta dalla medesima avverso analogo provvedimento emesso il successivo 22 maggio 2020 finalizzato alla confisca ex art. 240 c.p., comma 2, avente ad oggetto terreno di proprietà dell’indagata. Entrambi i provvedimenti erano stati adottati, oltre che nei confronti della E., anche nei confronti di C.P., N.A. ed S.E., in quanto indagati, tutti, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe, di illecita raccolta e gestione del risparmio e di numerosi episodi di truffa legati allo schema delle vendite piramidali, nonché per numerosi reati-fine. In particolare, con il primo decreto del 3 marzo 2020, il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria, ravvisati i gravi indizi in relazione al reato di abusiva raccolta del risparmio ed a tutte le ipotesi di truffa indicate nell’imputazione provvisoria, aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa della somma di Euro 765.362,00, quale profitto dell’attività di intermediazione finanziaria, rinvenuto sui conti correnti intestati a C.P., E.G. ed alla IFB Financial Service s.r.l., nonché della somma di Euro 48.260,00, quale profitto degli altri reati di truffa (nonché di quello di ricettazione per il quale è indagato il solo C.), rinvenuto sui conti correnti di C., E. e N.A., nonché della Salva SMS. Con il successivo decreto del 22 maggio 2020 la misura cautelare reale era stata estesa ad un terreno di proprietà della E. acquistato, sulla scorta degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza, con denaro costituente il profitto derivante dai reati di esercizio abusivo del credito e vendita illecita di prodotti finanziari a carattere “piramidale” (capi b) e c) dell’imputazione contestati, il primo, dal 2007 al 2016 e, il secondo, dal 2007 con condotta “tutt’ora permanente”) e di truffa (capo d) dell’imputazione contestato dal 25/3/2014 all’11/6/2014). Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame, investito della sola contestazione concernente il presupposto del periculum in [continua..]

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SOMMARIO:

1. Un (primo) punto fermo: no all’”automatismo cautelare” - 2. Incidenza in subiecta materia della presunzione di non colpevolezza - 3. Segue. sequestro (e confisca) in danno del terzo - 4. Irrilevanza, ai fini qui in rilievo, della distinzione tra confisca discrezionale od obbligatoria - 5. Il rango dei diritti comprimibili - 6. Sul rischio di “dispersione” della res - 7. Segue. mera incapienza o condotte “sintomatiche”? - 8. Segue. l’effetto “trascinamento” del dictum - 9. Il tempo della cautela: riflessi sul rapporto con la (futura ed eventuale) confisca - 10. Altri aspetti problematici della disciplina - 11. Segue. sottoposizione della res a procedure concorsuali: riverberi della pronuncia in esame - 12. L’annosa questione del fumus - NOTE


1. Un (primo) punto fermo: no all’”automatismo cautelare”

Per sequestrare a scopo di confisca occorre accertamento del periculum, da intendersi come rischio di dispersione, modificazione, deterioramento, uso od alienazione [1] della cosa. Conclusione ineccepibile, ad onta di pregressa e maggioritaria giurisprudenza [2] che identificava tale presupposto nella mera confiscabilità della res. Si tratta, in quest’ultimo caso, di affermazione insostenibile sotto plurimi profili. Anzitutto, ad ostarvi è il (pur scarno) testo dell’art. 321, comma 2, c.p.p.: il giudice [3] «può» disporre cautela del “confiscabile”. Quest’ultimo accertamento è, quindi, un prius logico, e cronologico, rispetto al potere di apprensione, che rimane discrezionale pur a fronte di (ritenuta) confiscabilità. In secondo luogo, si argomenta detta tesi facendo leva sull’oggettiva pericolosità delle cose da sequestrare. Anche tale conclusione non regge, ad eccezione dell’ipotesi di illiceità intrinseca di cui all’art. 240, comma 2, n. 2, c.p. [4]: non tutto il confiscabile è oggettivamente pericoloso [5]. Persino lo strumento del reato, se consistente in cose in comune commercio [6], è privo di tale caratteristica; ed il rilievo vale a fortiori per il prezzo ed il profitto (art. 240, comma 1, c.p.). Infine, nessuna oggettiva pericolosità è riscontrabile in caso di confisca di valore, od allargata (art. 240 bis c.p.); venendo meno, in entrambi i casi, il nesso di pertinenzialità tra reato e res [7]. Oltretutto, circoscrivere il periculum al riscontro di confiscabilità annullerebbe le differenze, doverose ed ineliminabili, tra cautela e provvedimento definitivo [8].


2. Incidenza in subiecta materia della presunzione di non colpevolezza

Da tale ultimo rilievo possono dipanarsi considerazioni di taglio sistematico, che pure militano per l’irricevibilità della tesi “giustiziata” dalle Sezioni Unite. La cautela non può mai consistere in una mera anticipazione del provvedimento cui è preordinata: lo vieta l’art. 27, comma 2, Cost. [9], impedendo di considerare colpevole l’imputato [10]. E non pare discutibile che la presunzione di non colpevolezza, quale regola di trattamento [11], debba “fare luce” anche nel settore delle cautele reali [12]. La conclusione sembra certa laddove la confisca – come sempre più spesso accade – abbia connotati sanzionatori: ossia, nelle ipotesi di confisca per equivalente [13] od allargata [14]. In tali casi la cautela, pur avendo ad oggetto una res, è finalizzata a garantire la (futura ed incerta) punizione del colpevole; e quindi, in ultima istanza, è “a carico” della persona [15]. Queste conclusioni non mutano laddove alla confisca venga attribuita – in modo invero sempre più problematico [16] – natura di misura di sicurezza, come secondo tradizione [17] accade con riguardo alla confisca diretta, di cui l’art. 240 c.p. costituisce archetipo. Anche que­st’ultima, al pari della confisca/sanzione, può essere ordinata solo a fronte di colpevolezza dell’impu­tato; pure se dovesse essere ritenuto sufficiente un giudizio di condanna “sostanziale”, ossia un accertamento di responsabilità in presenza di proscioglimento per estinzione del reato dovuta a prescrizione od amnistia [18]. Potrebbe in astratto sostenersi che il sequestro in vista dell’applicazione di misura di sicurezza, non costituendo anticipazione di sanzione, non rientri nell’ambito applicativo di cui all’art. 27, comma 2, Cost. [19]. Tale rilievo, tuttavia, appare riduttivo, incapace di cogliere il fenomeno – e la sua “sistemazione” giuridica – nella totalità: anche per applicare una misura occorre colpevolezza, almeno “sostanziale” [20], ed il contenuto “basico” dell’art. 27, comma 2, Cost., consiste appunto nel divieto di equiparazione dell’imputato/indagato al colpevole, per quanto lato sensu voglia intendersi que­st’ultima figura [21].


3. Segue. sequestro (e confisca) in danno del terzo

Nonostante le considerazioni cui si è aderito, potrebbe continuare a dubitarsi dell’incidenza del principio costituzionale sinora richiamato nel settore in esame, osservando che la confisca è possibile anche nei confronti del terzo non estraneo al reato [22]. Per quest’ultimo non si porrebbe questione di applicabilità dell’art. 27, comma 2, Cost., atteso il riferimento esclusivo di tale disposizione all’imputato [23]. Tuttavia, secondo la Consulta [24] la presunzione di non colpevolezza “copre” anche la posizione del terzo; con la conseguenza che l’“intraneità” di quest’ultimo andrà dimostrata dal pubblico ministero [25]. Del resto, se la Costituzione vieta sovrapposizioni tra imputato e (definitivamente) colpevole, a fortiori sarà inibito un trattamento “colpevolizzante” del non imputato. Piuttosto, almeno nei casi – in progressiva ascesa – in cui la confisca ha natura sanzionatoria [26], pare necessario ed urgente rimeditare le caratteristiche ed i contorni della (non) estraneità di cui all’art. 240, comma 3, c.p. Come noto, secondo giurisprudenza mai smentita [27], tale requisito è negato quando il terzo abbia tratto utilità dal reato, non trovandosi rispetto alla prima ed al secondo in una posizione di buona fede: in sostanza, quando sia possibile muovere un rimprovero di “negligenza”, senza che quest’ultimo coincida con un accertamento di responsabilità [28]. Quindi, al non colpevole, quantomeno nei casi di confisca di valore od estesa [29], verrebbe irrogata una sanzione penale, in spregio al principio di cui all’art. 27, comma 1, Cost., che vieta ipotesi di responsabilità per fatto altrui. Senza poter tacere, in aggiunta e conclusione, che in tal modo viene irrogata una pena sine iudicio, con conseguente violazione anche dell’art. 27, comma 2, Cost. [30]. Né tali rilievi possono essere del tutto svalutati considerando che recente normativa [31] impone la citazione del terzo all’interno del giudizio di cognizione. A parte che tale meccanismo partecipativo, del resto per vari aspetti [32] indeterminato, è previsto per i soli casi di cui agli artt. 240 bis c.p. e 51, comma 3 bis, c.p.p. [33], e che detta partecipazione è consentita ai soli titolari di diritti reali o [continua ..]


4. Irrilevanza, ai fini qui in rilievo, della distinzione tra confisca discrezionale od obbligatoria

Corrette appaiono le conclusioni delle Sezioni Unite anche nella parte in cui affermano la necessità di motivare sul periculum, inteso quale disperdibilità della cosa, anche nelle ipotesi di confisca obbligatoria [36]. Si ripete: imporre l’apprensione al solo riscontro della confiscabilità annulla le obbligate distinzioni tra cautela e provvedimento di merito; e ciò non può consentirsi, pena la violazione dell’art. 27, comma 2, Cost. [37]. Del resto, la circostanza, oltretutto mutevole [38], che in alcuni casi la confisca sia imposta non vale a rendere ineludibile il provvedimento cautelare ad essa asservito [39]. Potrebbe forse ritenersi che, laddove l’obbligo non sussista, si imponga al giudice della cautela un surplus di motivazione: oltre il rischio di “dispersione”, una prognosi probabilistica sull’esercizio del potere discrezionale nella sede di cognizione. Tuttavia, quest’ultima pare operazione ostacolata da profili pratici: la ratio della distinzione tra facoltà – rectius discrezionalità – ed obbligo di confisca, quantomeno nei casi di cui all’art. 240 c.p., sembra poggiare sulla considerazione che nel primo caso il confiscabile potrebbe essere già rientrato nella disponibilità della “vittima” [40]. Si tratta quindi di un “futuribile”, che non si vede come possa essere pronosticato al momento – di regola collocato nella fase iniziale delle indagini [41] – di decidere sul sequestro.


5. Il rango dei diritti comprimibili

Come sinora ripercorso, il dictum delle Sezioni Unite è corroborato da plurimi e significativi indici testuali e sistematici. Del resto, si tratta di conclusione doverosa, atteso l’indiscutibile impatto che le cautele reali hanno su diritti costituzionali [42] e convenzionali [43]. Impatto, per inciso, tutt’altro che lieve, considerando che tali misure non hanno termini di durata massima, al contrario di quanto prescritto per le limitazioni della libertà personale (art. 303 c.p.p.); e che, anche in ciò distinguendosi dalle cautele personali, possono essere adottate per qualsivoglia ipotesi di reato [44]. In sostanza, un bilanciamento tra interessi pubblicistici di accertamento e repressione dei reati e situazioni soggettive protette dalla Costituzione, sempre doveroso, si impone con particolare evidenza proprio per le circostanze appena richiamate. Del resto, anche a concordare sulla “supremazia”, quanto a tutela ordinamentale, del bene della libertà personale rispetto alla libertà “patrimoniale”, non può tacersi che i sequestri, specie se – come nella prassi – di lunga durata, possono procurare sofferenze materiali ed emotive notevoli [45]. E che, laddove abbiano ad oggetto – come pure non è infrequente – la totalità del patrimonio personale, sono in grado di minare la libertà dell’individuo [46], rappresentando in conclusione un sacrificio non mitigabile e modellabile [47], come invece avviene nel settore delle misure cautelari ad personam [48].


6. Sul rischio di “dispersione” della res

Qualche breve puntualizzazione sembra meritare il concetto di “dispersione” della cosa, il cui pericolo, come visto, fonda per le Sezioni Unite il dovere di sequestro. Se per la tipologia di “confiscabile” connotata da valore patrimoniale [49] – che di regola caratterizza profitto e prezzo del reato – è senz’altro corretto asserire che il “fermo” cautelare fronteggia possibili “volatilizzazioni” del bene, qualche precisazione è imposta in caso di ablazione di strumento o prodotto del reato. Questi ultimi sembrano rilevare, più che il loro “controvalore” economico [50], per il rischio di recidiva che la permanenza in possesso potrebbe comportare; con la conseguenza che l’efficacia deterrente della cautela sarebbe nulla a fronte di cose facilmente reperibili aliunde [51]. In proposito la pronuncia in esame esprime contrarietà, giacché così argomentando si verificherebbe la “diluizione” della fattispecie di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p., all’interno del sequestro preventivo tipico (comma 1), appunto volto a scongiurare aggravamento del reato commesso o recidiva. L’obiezione non coglie in pieno nel segno: il sequestro tipico ha ad oggetto quanto necessario per l’accertamento del reato, profilo che può includere, come escludere, le cose sequestrabili. Per il resto, il rischio individuato dalle Sezioni Unite non potrà discostarsi dagli aspetti insiti in tutti i pericula: dovrà avere, quindi, carattere di concretezza, attualità [52] e persino imminenza [53], pena il deficit dei requisiti sopra richiamati. A rigore, pertanto, la natura di per sé “volatile” del bene [54] non autorizza il sequestro, da supportare invece con i riscontri di cui sopra. E quindi, a ben vedere, più che la “dispersione” viene in rilievo il rischio di depauperamento dell’indagato, che potrebbe pregiudicare, in tutto od in parte, la confisca. Tale rischio, tuttavia, non può desumersi da profili in re ipsa [55]: in altri termini, dovrebbero rilevare solo le condotte finalizzate a detto depauperamento. Infine, nessun dubbio sorge per quanto riguarda confisca estesa e per equivalente: in difetto di pertinenzialità, l’unico pericolo ipotizzabile è appunto quello di dispersione (rectius [continua ..]


7. Segue. mera incapienza o condotte “sintomatiche”?

Nel corso delle loro argomentazioni, le Sezioni Unite non mancano di formulare una precisazione che – quantomeno a livello pratico – può essere in grado di diluire la portata innovativa del dictum. Nell’ipotesi di insufficienza patrimoniale del destinatario della (futura ed eventuale) pretesa ablativa, ossia nel caso quest’ultima, in limine [57], risulti esorbitante rispetto alle disponibilità dell’indagato, il giudice della cautela sarebbe esonerato dal riscontro concreto e specifico del periculum, essendo tale discrasia sufficiente a configurarlo. In sostanza, viene adattata a quanto disposto dall’art. 321, comma 2, c.p.p., la nota previsione tipizzata per il sequestro conservativo (art. 316, comma 1, c.p.p.), in ragione delle spiccate – ed invero indiscutibili – similitudini tra le due fattispecie [58]. Per quanto consolidato e già espresso ai massimi livelli [59], e per quanto avallato da un testo legislativo piuttosto franco e diretto [60], si tratta di orientamento opinabile – almeno de iure condendo – e foriero di conseguenze pregiudizievoli per diritti di rango costituzionale. Se il periculum deve essere “vestito” di concretezza, attualità ed imminenza [61], almeno l’ultimo di tali requisiti non pare riscontrabile nella fattispecie: a fronte di incapienza, la cautela non sarebbe idonea ad incidere sul dato (pregresso). È questa una delle ragioni, tra l’altro, che inducono a ritenere preferibile, più che il richiamo ad indistinte “dispersioni”, l’accer­tamento di condotte volte a depauperare il patrimonio. Si aggiunga – circostanza di non poco conto; anzi – che il blocco “totale”, oltre le inevitabili e gravose conseguenze materiali che comporta, giunge, come già ricordato, a minare la libertà della persona anche sotto il profilo morale [62]. L’illustrato pregiudizio, in conclusione, appare tutt’altro che marginale nella prassi: attesa la tendenza ad una quantificazione del confiscabile, in sede cautelare, non di rado esorbitante rispetto all’accertamento definitivo [63].


8. Segue. l’effetto “trascinamento” del dictum

La presa di posizione delle Sezioni Unite si pone anche quale utile complemento di un già manifestato indirizzo in tema di misure reali [64], che ritiene applicabili al settore i principi di proporzionalità ed adeguatezza tipici delle cautele personali (art. 275 c.p.p.). Se, infatti, per proporzionalità si intende che la misura provvisoria non possa “affliggere” più di quanto avverrebbe con il provvedimento definitivo, ne consegue l’illegittimità della prassi, tuttora radicata [65], di disporre il sequestro dell’intero importo (allo stato quantificato) in danno di ciascuno dei (presunti) concorrenti nel reato; ciò, al fine di garantire il risultato erariale anche nell’ipotesi in cui uno solo di questi dovesse risultare colpevole [66]. Quanto all’adeguatezza, essa può essere intesa de plano quale idoneità allo scopo perseguito; se quest’ultima manca, ciò può avvenire in difetto [67] come in eccesso [68]. Il problema, in argomento, è che non paiono ravvisabili strumenti atti a correggere i vizi di “calibratura” del provvedimento. In altri termini, le cautele reali non paiono “modellabili” in aderenza al principio di gradualità [69], così come è invece possibile per le misure ad personam (artt. 281 ss. c.p.p.): o la res viene vincolata e resa indisponibile, o non può darsi sequestro. La dannosa rigidezza dell’assetto normativo è acuita dalla circostanza che secondo la giurisprudenza [70] è inapplicabile ai casi di cui all’art. 321 c.p.p. la previsione di restituzione condizionata di cose in sequestro (art. 85 norme att. c.p.p.), specifica per la misura reale a scopi probatori; conclusione argomentata in base al nuovo testo dell’art. 104 norme att. c.p.p., che ha eliminato il rinvio alla disposizione prima citata [71]. A volte si è tentato di ovviare all’impasse auspicando il ricorso alle misure interdittive, o comunque «meno invasive» [72] in luogo della cautela reale; ma, a prescindere dagli inevitabili riflessi sul principio della domanda, tale “avvicendamento” non è sempre praticabile [73]. Tuttavia, uno spiraglio potrebbe aprirsi: ci si riferisce alla possibilità di ottenere revoca del sequestro prestando idonea cauzione [74]. Se il sequestro a scopo [continua ..]


9. Il tempo della cautela: riflessi sul rapporto con la (futura ed eventuale) confisca

Può dirsi che presupposto di effettiva incidenza della pronuncia in esame sia una determinazione del “sequestrabile” quanto più possibile aderente al quantum da confiscare: più si allarga il divario tra i due “valori”, più aumenta il rischio di dispersione, correlato alla capienza patrimoniale [77] del destinatario della misura; con l’effetto che tale rischio presenterebbe aspetti di artificialità in maius, in relazione alla latitudine del provvedimento definitivo. Se tale conclusione è corretta, ne deriva che, sebbene si tratti di decisione da prendere allo stato degli atti, e sebbene sia molto frequente che il sequestro venga disposto nella fase (appena) iniziale del procedimento [78], le indagini dovranno essere il più possibile approfondite, anche e soprattutto sotto il profilo dell’individuazione di ciò che in ipotesi dovrà essere confiscato, e della corrispondenza “di valore” tra quest’ultimo dato ed i beni sottoposti a sequestro [79]. In altri termini, oggi deve essere censurata con ancor più forza la tendenza a quantificazioni approssimative ed in eccesso del sequestrabile, rimandando a tempi “migliori” e (lunghi) l’esatta determinazione dell’importo da confiscare [80].


10. Altri aspetti problematici della disciplina

Nonostante l’indubbio passo avanti, anche sotto il profilo delle conseguenze operative, costituito dalla pronuncia in esame, permangono profili di criticità in subiecta materia. Due aspetti sembra debbano essere messi in luce. Anzitutto, è noto che, nei casi di sequestro a scopo di confisca, l’”offensiva” a tutela della pretesa erariale si sviluppa tramite il presidio di un doppio fronte: da un lato dilatando la nozione di “disponibilità” che, a prescindere da intestazioni formali del bene, autorizza il sequestro di valore [81]; dall’altro, marginalizzando la tutela del terzo estraneo [82] in sede cautelare, nella quale solo un’appartenenza (art. 240, comma 3, c.p.) palese, ed (in apparenza) incontroversa, sembra assumere adeguato rilievo [83]. Quanto alla disponibilità, si tende ad affermare che la stessa prevalga su intestazioni a terzi, da ritenere per tale ragione fittizie, anche mediante itera dimostrativi non particolarmente robusti [84]. D’altro canto, se disponibilità significa potere uti dominus [85], e quindi potere di disporre in toto della cosa, compresa la facoltà di alienarla hic et nunc [86], dovrebbero rilevare “in negativo” – ossia come fattori impeditivi al sequestro – anche i casi di titolarità formale disgiunta da (immediata) disponibilità; sul punto, tuttavia, la giurisprudenza è sovente contraria [87].


11. Segue. sottoposizione della res a procedure concorsuali: riverberi della pronuncia in esame

Può osservarsi, d’altro canto, che il dictum in rassegna dovrebbe fare giustizia, quantomeno “a tempo” [88], della perseverante tendenza giurisprudenziale a ritenere il sequestro prevalente sulla procedura concorsuale, persino nel caso in cui la misura processualpenalistica intervenga dopo l’instaurazione di tale procedura [89]. Quest’ultima neutralizza il pericolo di dispersione della res; o quantomeno consente che lo stesso possa essere scongiurato mediante (agevole) raccordo “conoscitivo” tra le giurisdizioni [90]. Come noto, a decorrere dal 16 maggio 2022 [91] troverà ingresso la soluzione opposta: prevalenza del sequestro sulla procedura concorsuale, con (parziale) salvaguardia dei diritti di credito [92].


12. L’annosa questione del fumus

Al netto della pronuncia in rassegna [93], il punctum dolens della materia consiste – e continuerà a consistere – nell’individuazione del fumus commissi delicti. È noto che buona parte della giurisprudenza, anche di recente [94], ritiene sufficiente allo scopo l’astratta configurabilità del reato, id est l’iscrizione della notitia criminis, e del nominativo dell’indagato, nell’apposito registro [95]; potrebbe bastare persino che l’enunciazione dell’ipotesi di reato non sia manifestamente arbitraria [96]. Si tratta di orientamento non condivisibile: se il fumus postula l’apparente fondatezza della domanda, si impone una delibazione, per quanto sommaria, in tal senso. Configurabilità in astratto, viceversa, vuol dire “pareggio” tra il possibile avveramento e la possibile negatoria della previsione; il che, almeno in aderenza alla presunzione di non colpevolezza [97], impedisce il sacrificio, anche solo temporaneo, di diritti costituzionali. Senza tacere, in aggiunta, che a fronte di un requisito così labile ed ambiguo si verifica compromissione del diritto di difesa, non essendovi strumenti ed argomenti davvero efficaci per contrastarlo [98]. In proposito, non può negarsi che la giurisprudenza tenda ad aggiornarsi ed evolversi, asserendo in più occasioni [99] che il parametro dell’astratta configurabilità debba cedere il passo al rintraccio di elementi concreti, desumibili anche dalle contestazioni difensive, in modo che possa appurarsi quantomeno la serietà degli indizi di reato [100]. Senonché, non è ben comprensibile in cosa debbano esattamente consistere tali elementi; dovendosi altresì considerare che l’obbligo di tener conto di deduzioni ed allegazioni difensive appare non di rado virtuale, atteso che il sequestro è atto “a sorpresa” di frequente disposto ad inizio indagini [101]. Insomma: anche alla luce dell’approdo giurisprudenziale qui esaminato, i tempi sembrerebbero maturi per far coincidere il fumus di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p., con gli indizi di colpevolezza a carico dell’indagato [102]. La circostanza che l’art. 273 c.p.p. sia specificamente dettato per le cautele personali [103] non pare dirimente: lo stesso è a dirsi per l’art. 275 c.p.p., ormai a pieno [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2022