La pronuncia in commento attiene alla possibilità di riconoscere efficacia ultra partes alle sentenze pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo rese nei confronti di un ordinamento diverso da quello italiano, su una questione avente assonanze con quella interna, al fine di consentire la revisione della sentenza passata in giudicato. La Suprema Corte nega tale possibilità, in quanto la sentenza pilota è adottata dalla Corte di Strasburgo avendo riguardo alle specificità di un determinato ordinamento, il solo chiamato a prendere le misure riparatorie in applicazione del dispositivo della sentenza.
Pilot judgments of the European Court of Human Rights: ultra partes effects? The decision of the Italian Supreme Court at issue concerns the possibility for the Italian courts to recognize ultra partes effects to a “pilot judgement” of the European Court of Human Rights (adopted vis-à-vis a foreign State Party in a case which presents similarities with a domestic one (in order to review a domestic final judgment. The Supreme Court denies such a possibility on the grounds that when the European Court adopts a pilot judgment, it addresses the peculiarities of the specific legal system concerned, which is the only one requested to take remedial measures by virtue of the operative provision of the judgment.
LA QUESTIONE
La sentenza della Corte di Cassazione, sez. IV, 6 novembre 2014, n. 46067, torna sulla questione degli effetti delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano, iscrivendosi nel solco di quella giurisprudenza che si sforza di chiarire i rapporti tra giudicato interno e giudicato internazionale.
La questione di diritto affrontata nella sentenza in commento riguarda la possibilità di attribuire efficacia ultra partes alle sentenze “pilota” della Corte di Strasburgo. Segnatamente, affronta il tema della rimozione degli effetti del giudicato interno in forza di una sentenza “pilota” (o “sostanzialmente” tale (della Corte EDU, emanata nei confronti di un ordinamento diverso da quello nel quale se ne chiede l’esecuzione.
Al fine di comprendere meglio la sentenza in argomento occorre sintetizzare brevemente i fatti di causa.
L’istante, il sig. S.A., soggetto allo speciale regime di sospensione delle regole di trattamento previste dall’Ordinamento penitenziario, ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), ord. penit. (come modificato dall’art. 2, comma 25, lett. f), n. 2), l. 15 luglio 2009, n. 94), viene condannato dalla Corte d’assise d’appello di Catania con sentenza del 5 ottobre 2010, irrevocabile il 10 luglio 2012.
Successivamente alla condanna, la Corte costituzionale, con sentenza del 17 luglio 2013, n. 143, dichiarava costituzionalmente illegittimo il summenzionato art. 41 bis, comma 2quater, lett. b), ord. penit., nella parte in cui limitava i colloqui con i legali dei detenuti in regime di c.d. “carcere duro” «fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari» [1].
Il sig. S.A., lamentando di non aver avuto la possibilità di predisporre un’adeguata difesa a causa delle limitazioni quantitative imposte ai suddetti colloqui in forza dell’art. 41 bis, domandava alla Corte d’Appello di Messina la revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’assise d’appello di Catania.
In breve, a fondamento della propria richiesta il ricorrente poneva la seguente motivazione. Poiché nella citata pronuncia n. 143/2013, la Corte costituzionale aveva richiamato, a sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Öcalan [2] – in cui quest’ultima aveva ritenuto che la limitazione a soli due colloqui settimanali con i propri difensori, della durata di un’ora l’uno, fosse lesiva del diritto all’equo processo – il ricorrente domandava la revisione della propria sentenza di condanna sulla base della nuova ipotesi di revisione introdotta dalla Corte costituzionale con sentenza del 7 [continua..]