Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo penale alla luce della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (di Roberto Guida)


La legge 28 dicembre 2015 n. 208 ha profondamente modificato le condizioni di ammissibilità del ricorso per l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo penale disciplinato dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto).

Il contributo affronta gli istituti introdotti dalla legge n. 208 del 2015, ponendo in particolare risalto gli effetti sul sistema processuale penale dei cd. “rimedi preventivi” previsti dall’art. 1 ter della legge n. 89 del 2001.

The equitable remedial action due to the unreasonable long-lasting duration of penal trial, in light of the law of 28th December 2015, n. 208

Law of 28th December 2015, n. 208 has deeply amended the eligibility terms of legal petition for the equitable remedial action due to the unreasonable long-lasting duration of penal trial, disciplined by law of 24th March 2001, n.89 (so-called Pinto law).

The contribution deals with the institutions introduced by law n. 208 of 2015 notably highlightning  the effects of penal trial system of so-called “preventive redresses” expected by article 1 ter of law n. 89 of 2001.

LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO: LA CD. LEGGE PINTO, LA COSTITUZIONE E LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO Il comma 777 dell’art. 1 della legge 28 dicembre del 2015, n. 208 ha innovato, sia pure profondamente, la disciplina inerente la presentazione del ricorso per l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo penale. Tuttavia, l’analisi delle modifiche normative apportate alla cd. “legge Pinto” dalla legge di stabilità per il 2016 non può prescindere da una sintetica illustrazione del principio di ragionevole durata del processo, introdotto al comma secondo dell’art. 111 Cost. dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999, n. 2. In proposito, va immediatamente detto che l’inserimento del principio nella grundnorm ha finalmente [1] consentito di conferire al dato temporale della definizione del giudizio la connotazione di elemento essenziale e caratterizzante nell’ontologia del giusto processo [2], per giunta riferendolo all’efficienza stessa della giurisdizione. Ed infatti, mediante la ricordata innovazione costituzionale si è voluto dare a tale “valore” una tutela ancor più pregnante rispetto a quella assicurata dall’art. 6 Cedu, ove esso presenta una connotazione meramente soggettiva, essendo inserito nell’ambito della tutela dei diritti riconosciuti all’accusato. Appare opportuno ricordare, quindi, sia pure in via di estrema sintesi, i risultati dell’elaborazione dottrinaria in ordine al significato da attribuire all’aggettivo “ragionevole” che accompagna il sostantivo “durata” [3]; e ciò al fine di comprendere l’obbiettivo che il legislatore costituente ha inteso perseguire allorché ha affermato che la “durata” del processo dovesse essere “ragionevole”. A ben vedere, infatti, si tratta di un concetto di matrice anglosassone che, una volta importato nel nostro ordinamento costituzionale, abbisogna ancora di un approfondimento che sia ampiamente condiviso [4]. In questa prospettiva, appare apprezzabile la considerazione proveniente da attenta dottrina, secondo cui la ragionevolezza potrebbe essere letta come la regola che induca «un bilanciamento tra il far bene ed il far presto» [5]. Nel senso che è da considerare “ragionevole” la durata di un processo che non ne dilati oltremodo l’arco temporale, ma contemporaneamente non comprima, in nome di una formale efficienza, i diritti connaturati alla difesa dell’imputato. Si dovrebbe, cioè, giungere ad un sistema processuale in cui la speditezza del procedimento sia comunque tale da assicurare all’imputato di non vedere pregiudicato il suo inviolabile diritto di difesa [6]. Il principio di ragionevole durata del processo, da intendersi alla stregua di una regola [continua..]

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