Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Sulla riparazione per ingiusta detenzione subita in vista dell'estradizione passiva (di Eleonora A.A. Dei Cas)


L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, introdotto soltanto con il Codice Vassalli, ha visto una progressiva dilatazione, dovuta alle pronunce vuoi di illegittimità vuoi interpretative di rigetto della Corte costituzionale, nonché agli interventi della giurisprudenza della Suprema Corte. Questo moto espansivo ha interessato, del tutto condivisibil­mente, anche le misure coercitive disposte nell’ambito di un procedimento di estradizione passiva, le quali, se risultate ingiuste, danno ora diritto alla riparazione, in ossequio al fondamento solidaristico dell’istituto stesso e in linea con l’inviolabilità della libertà personale.

Compensation for unfair detention during extradition procedures

The right to compensation for unfair detention introduced by the 1988 Italian Code of criminal procedure has progressively widened, due to rulings of both the Corte Costituzionale and the Corte di Cassazione. This growing trend has also interested coercive measures ordered during an extradition procedure. If the latter result unjustified, the person whose extradition is requested is entitled to equitable compensation, in accordance with the nature of the right itself, which is founded on solidarity, and with inviolability of personal liberty.

SOMMARIO:

Premessa - La genesi dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione - L’ingiustizia sostanziale - L’ingiustizia formale - La detenzione riparabile - Le restrizioni della libertà personale nel procedimento di estradizione passiva - La riparazione delle misure coercitive ex artt. 714-716 c.p.p. - NOTE


Premessa

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte, chiamata a decidere se, per concedere la riparazione ex art. 314 c.p.p. per la detenzione subita in funzione dell’estradizione passiva, sia condizione necessaria una pronuncia di assoluzione, ha risposto in termini negativi, stabilendo che in tema di riparazione per l’in­giusta detenzione è ammissibile la domanda attinente alla privazione della libertà personale subita in relazione alla procedura di estradizione per l’estero, vuoi quando si tratti di una delle ipotesi di applicazione provvisoria della misura o di arresto d’urgenza da parte della polizia giudiziaria, di cui rispettivamente agli artt. 715 e 716 c.p.p., vuoi quando vi sia stata una misura coercitiva ex art. 714 c.p.p. Nel caso di specie, il ricorrente era stato arrestato a fini estradizionali. A seguito della convalida dell’arresto era stata disposta nei suoi confronti la custodia cautelare ma la domanda di estradizione veniva respinta dalla Corte distrettuale, con successiva revoca della misura cautelare. A parere della Suprema Corte, la Corte d’appello, assumendo che il diritto alla riparazione presuppone una sentenza di assoluzione del richiedente con valore di giudicato, è incorsa nella violazione del­l’art. 314 c.p.p., così omettendo ogni ulteriore accertamento necessario. Il giudice distrettuale avrebbe dovuto, invece, valutare se l’adozione e il mantenimento del vincolo aveva avuto come concausa il dolo o la colpa grave dell’istante. Ne derivava l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata alla Corte d’appello per nuovo esame.


La genesi dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione

Il legislatore del 1988, in attuazione dell’art. 2, direttiva n. 100, della l. delega 16 febbraio 1987, n. 81 [1], ha introdotto nel codice di rito penale un istituto inedito nella legislazione italiana unitaria [2], la riparazione per ingiusta detenzione, dedicando a esso una disciplina, nel libro IV, distinta da quella della riparazione per errore giudiziario. Da tempo, infatti, la dottrina [3] sottolineava l’esigenza di dare concretezza all’art. 24, comma 4, Cost. anche a favore del soggetto che aveva subito una ingiusta carcerazione preventiva. Tuttavia, persino all’indomani della Costituzione repubblicana, la riforma della disciplina della riparazione dell’errore giudiziario (l. 23 maggio 1960, n. 504) non aveva esteso il diritto a detta situazione, continuando a trovare applicazione solo nel caso di condanna con sentenza irrevocabile, laddove fosse successivamente intervenuta la revisione del giudicato [4]. La Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sulla legittimità dell’art. 571 c.p.p. 1930, riformulato dalla legge da ultimo richiamata, aveva ritenuto infondata la questione, in quanto «per la sua formulazione in termini estremamente generali, il principio della riparazione degli errori giudiziari postula l’e­sigenza di appropriati interventi legislativi, indispensabili per conferirgli concretezza e determinatezza di contorni, dandogli così pratica attuazione» [5]. Ciò nondimeno, il giudice delle leggi riconosceva che l’art. 24, comma 4, Cost. enuncia «un principio di altissimo valore etico e sociale che va guardato – sotto il profilo giuridico – quale coerente sviluppo del più generale principio di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2)» [6], pur “abdicando” [7] a esercitare il proprio ruolo concretizzante dei principi espressi nella Carta fondamentale. Sul fronte sovranazionale, sia l’art. 5 § 5 Cedu, sia l’art. 9 § 5 Pidcp, riconoscevano – e riconoscono – il diritto alla riparazione a chi avesse subito una restrizione illegittima della libertà personale, rendendo ancora più impellente l’intervento del legislatore [8]. Su questo sfondo, il codice Vassalli, nell’introdurre due disposizioni ad hoc, manteneva una certa cautela, verosimilmente giustificata dall’esigenza, sempre [continua ..]


L’ingiustizia sostanziale

All’ipotesi dell’ingiustizia sostanziale è dedicato il primo comma dell’art. 314 c.p.p., il quale prevede il diritto alla riparazione in capo a chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile, con formula in facto pienamente liberatoria (il fatto non sussiste; l’imputato non ha commesso il fatto) o in iure (il fatto non costituisce reato; il fatto non è previsto dalla legge come reato) [10]. Rispetto a questa ipotesi, la misura cautelare, legittimamente disposta, si palesa ex post ingiusta. Si tratta quindi di situazioni non contemplate dalle citate fonti sovranazionali che, come abbiamo anticipato, prevedono un diritto alla riparazione solo per detenzioni illegittimamente disposte [11]. Se è vero, dunque, che con riguardo alla ingiustizia sostanziale il legislatore ha ampliato la sfera di operatività dell’istituto della riparazione [12], rimanevano fuori dalla previsione alcune formule proscioglitive legate a situazioni di non imputabilità [13], a cause di non punibilità, all’estinzione del reato [14] o alla mancanza di una condizione di procedibilità [15]. Era, invece, da subito considerato indifferente che l’assoluzione fosse stata pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. [16], essendo venuta meno la vecchia assoluzione per insufficienza di prove [17]. Al proscioglimento con sentenza irrevocabile l’art. 314, comma 3, c.p.p. equipara la pronuncia di un provvedimento di archiviazione o di una sentenza di non luogo a procedere. L’espressa previsione è facilmente giustificabile, dal momento che il richiamo alla irrevocabilità nel comma 1 avrebbe escluso dal suo campo di applicazione queste due tipologie di provvedimenti, entrambe inidonee a divenire irrevocabili, l’una a causa della possibilità di riaprire le indagini ex art. 414 c.p.p., l’altra per la revoca della sentenza di non luogo a procedere (artt. 434 ss. c.p.p.). Il diritto in questione, anche nel caso di archiviazione o di proscioglimento al termine dell’udienza preliminare, viene riconosciuto «alle medesime condizioni» [18] dei precedenti commi: ne derivava l’esclusione in caso di estinzione del reato o mancanza di una condizione di procedibilità, in simmetria con quanto previsto per la sentenza irrevocabile [continua ..]


L’ingiustizia formale

La seconda ipotesi normativa attribuisce il diritto a richiedere la riparazione a chi ha subito una custodia cautelare illegittima ex ante [24], a prescindere dall’esito, liberatorio o meno, del processo [25]. A circoscrivere le inosservanze che danno luogo all’ingiustizia formale, il codice di rito (art. 314, comma 2, c.p.p.) indica espressamente i vizi tipizzati, tramite il richiamo a due disposizioni in tema di condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali, l’art. 273 e l’art. 280 c.p.p. [26], accertatati con provvedimento irrevocabile. L’esclusione del riferimento alle esigenze cautelari, giustificata dalla Relazione al progetto preliminare dall’esigenza di evitare di attribuire eccessivi margini di discrezionalità, ha sollevato notevoli dubbi in dottrina. Quest’ultima si era orientata a ritenere che detta delimitazione svuoti gran parte del significato garantistico dell’istituto, nella misura in cui si nega l’indennizzo nella ipotesi più frequente di illegittima adozione di un provvedimento cautelare [27]. Come è avvenuto per l’ingiustizia sostanziale, anche la seconda situazione ha visto, dall’eccessiva ristrettezza del testo normativo [28] – considerato tassativo [29] – una progressiva dilatazione dovuta all’inter­vento della giurisprudenza. Ad esempio, la Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di dare luogo a riparazione nel caso di mantenimento della misura cautelare nonostante la scadenza del termine massimo di durata [30] e nel caso di inefficacia del provvedimento restrittivo emesso da parte di un giudice incompetente, per superamento del termine di venti giorni previsto ex art. 27 c.p.p. [31]. Del resto, la lettura estensiva consente pure un maggiore allineamento della normativa interna della riparazione a quanto previsto dalla Cedu, che àncora il diritto alla riparazione a tutte le ipotesi di arresto o detenzione illegittime alla stregua delle regole previste dai precedenti paragrafi dell’art. 5 [32].


La detenzione riparabile

Messo a fuoco il perimetro dell’ingiustizia, occorre ora domandarsi quali siano i confini della detenzione riparabile. Il dato testuale, ancora una volta, è stringente: l’art. 314 c.p.p., infatti, parla unicamente di «custodia cautelare». Senza dubbio alla custodia cautelare in carcere possono essere equiparate ai presenti fini e la misura custodiale in luogo di cura (art. 286 c.p.p.), e gli arresti domiciliari, equiparati alla custodia in carcere ex art. 284, comma 5, c.p.p. [33]. Restano escluse dall’operatività della riparazione sia le misure coercitive non custodiali [34] sia le misure interdittive [35]. Come è avvenuto in relazione alla ingiustizia, l’oggetto della riparazione ha visto un notevole ampliamento per opera della giurisprudenza costituzionale [36], la quale ha esteso la riparazione anche alla detenzione subita a causa di una misura precautelare risultata in seguito ingiusta o illegittima [37]; di un ordine di esecuzione erroneo o illegittimo [38]; di un ordine di esecuzione emesso in relazione a un reato per il quale l’imputato era stato giudicato e aveva espiato la pena all’estero [39], nonché in violazione del principio del ne bis in idem [40]. Dalla rapida ricognizione svolta sopra emerge la tendenza espansiva che ha interessato la riparazione per ingiusta detenzione. Tale trend ha coinvolto anche la situazione qui in esame, dal momento che già tempo addietro la Corte costituzionale si è occupata del caso dell’arresto provvisorio con applicazione provvisoria della misura custodiale su domanda di uno Stato estero, poi risultato carente di giurisdizione, includendolo nella ingiusta detenzione riparabile [41]. Ciò sul presupposto che il diritto alla riparazione sussiste in presenza di una «oggettiva lesione» della libertà personale, risultata, una volta accertata la mancanza delle condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione, ex post ingiusta. In altri termini, in relazione ai soggetti interessati da una procedura di estradizione, l’ingiustizia della detenzione dovrà essere valutata, non seguendo gli ordinari indicatori contenuti nei commi 1 e 2 dell’art. 314 c.p.p., ma alla stregua di detto diverso parametro, individuato dall’art. 714, comma 3, c.p.p. nella mancanza delle [continua ..]


Le restrizioni della libertà personale nel procedimento di estradizione passiva

Come noto, in tema di estradizione passiva (o per l’estero), il nostro codice prevede una apposita sezione (artt. 714-719 c.p.p.) in cui vengono disciplinate le misure coercitive applicabili durante la procedura di estradizione [42]. Con una innovazione rispetto al passato, è venuta meno l’idea per cui la custodia in carcere dell’e­stradando [43], se richiesta, sia sempre necessaria [44]. La misura coercitiva presuppone [45] una richiesta del Ministro della Giustizia, la quale, però, non è più da considerarsi vincolante. In tal senso depone ora il tenore testuale della disposizione, secondo la quale la persona «può» essere sottoposta a misura coercitiva. Ad avvicinare la posizione dell’estradando a quella dell’imputato [46], il rinvio alle disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito, dedicato alle misure coercitive, fatta espressa eccezione per gli artt. 273 e 280 c.p.p. [47] (art. 714, comma 2, c.p.p.) [48]. A tal proposito non può tacersi, in primo luogo, come anche l’art. 314 c.p.p. sia tra le disposizioni a cui si rinvia, «in quanto applicabili». In secondo luogo, l’ec­cettuazione del disposto relativo ai gravi indizi pare più apparente che reale [49], nella misura in cui l’art. 714, comma 3, c.p.p. vieta l’applicazione di una misura coercitiva «se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione», e una condizione richiesta per concedere l’estradizione è appunto l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 705 c.p.p.). Pertanto, nonostante l’esclusione expressis verbis, deve condividersi che «elementari ragioni di giustizia, oltreché di sistematica combinazione delle disposizioni richiamate, impongano al giudice investito di una richiesta di estradizione, in presenza di una situazione escludente, anche in chiave prospettica, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, di rigettare la richiesta di applicazione di una qualsivoglia misura coercitiva» [50]. La ratio è chiaramente quella di evitare di sottoporre la persona a una limitazione della libertà personale quando vi è motivo di ritenere che il procedimento si concluderà con una sentenza a lui favorevole, in modo più o [continua ..]


La riparazione delle misure coercitive ex artt. 714-716 c.p.p.

Orbene, stante il tenore letterale del codice, la misura coercitiva subita nell’ambito di un procedimento di estradizione passiva [62] non pareva riparabile. Da un lato, infatti, in detto ambito non si ha una sentenza irrevocabile di proscioglimento (o un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere), poiché al giudice non spetta in questa sede di condannare o prosciogliere, ma di decidere in senso favorevole o negativo sulla domanda di estradizione [63]. Dall’altro lato, l’esplicita esclusione dell’applicabilità alle misure coercitive imposte a carico dell’estradando degli artt. 273 e 280 c.p.p. era sembrata un ostacolo [64] al riconoscimento di una ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, c.p.p., la quale – come abbiamo visto – richiede espressamente una misura applicata illegittimamente ex ante, in quanto adottata o mantenuta in violazione di quelle stesse disposizioni. Tuttavia, la tesi formalistica non convinceva quella parte della dottrina più attenta alla tutela dei diritti individuali, la quale rilevava la scarsa attenzione nei confronti dell’art. 5 § 5 Cedu, per un verso, e, per l’altro verso, la mancata attuazione della legge delega; argomenti bastevoli per ricercare una soluzione «di ripiego» [65], nell’attesa di un intervento del legislatore. Anche chi riteneva che alla lacuna non si potesse rimediare tramite il ricorso all’analogia [66], in virtù della ritenuta tassatività delle fattispecie che davano luogo a riparazione, censurava il vuoto normativo sul punto. Il richiamato intervento interpretativo della Corte costituzionale ha consentito, una volta per tutte, di scavalcare il dato testuale, permettendo una lettura costituzionalmente e convenzionalmente conforme della norma [67]. La sentenza annotata si inserisce nel solco delle pronunce di legittimità successive all’intervento interpretativo della Corte costituzionale che ritengono che non via sia motivo per non estendere la riparazione per ingiusta detenzione ai procedimenti di estradizione passiva [68], ma, rispetto alla pronuncia della Consulta, si spinge oltre, indicando parametri differenziati in base al tipo di misura subita [69] e alle sorti della stessa. Precipuamente, ove all’arresto eseguito ai sensi dell’art. 716 c.p.p. non sia seguita la [continua ..]


NOTE