Il contributo verte su aspetti critici della riforma delle intercettazioni, fornendo anche rilievi in prospettiva de iure condendo.
The contribution focuses on critical aspects of the wiretapping reform, providing a reflection in the de iure condendo perspective.
Il segreto in tema di intercettazioni. Aspetti operativi - Un'anticipata forma di selezione delle comunicazioni o conversazioni - Dinamica selettiva e trascrizione - Disomogeneità tra il procedimento di selezione cautelare e ordinario. Distruzione dei dati oggetto di stralcio - NOTE
La riforma delle intercettazioni intervenuta con il d.lgs. n. 216 del 2017 [1] (prorogata al 31 dicembre 2019) si colora di aspetti processuali che offuscano l’operatività dello strumento di ricerca della prova. L’antecedente disciplina di quest’ultimo, pur presentando delle lacune in ordine alla tutela effettiva della riservatezza, era da considerarsi più “lineare”, quanto al modus procedendi, rispetto a quella attuale, specie con riferimento alla disposizione del giudice di acquisire, previa selezione, le «conversazioni o [i] flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, indicate dalle parti, che non appaiono manifestamente irrilevanti», a seguito del deposito dell’integrale materiale intercettativo (art. 268, comma 6, c.p.p. abrogato), nonché in ordine alla successiva necessità di acquisire mediante perizia la trascrizione integrale delle comunicazioni (art. 268, comma 7, c.p.p. abrogato). In proposito, va sottolineato che la disciplina pre-riforma lambiva l’equilibrio tra l’interesse alla pubblicazione del contenuto dell’atto d’indagine, nel rispetto del diritto di cronaca, e quello dell’indagato, della persona offesa e di terzi estranei alle indagini, in ordine a fatti e circostanze estranee al procedimento penale, ma non lo realizzava fino in fondo, poiché il venir meno del segreto, con il deposito delle intercettazioni, legittimava la pubblicazione del contenuto dell’atto d’indagine senza la (preventiva) dovuta depurazione processuale [2]; nel caso in cui l’atto, poi, fosse stato utilizzato legittimamente nel corso delle indagini, ad esempio a fondamento di una misura cautelare, cessando la copertura del segreto e non potendo effettuarsi una selezione anticipata, si reputava opportuno un intervento del legislatore volto a limitare la diffusione del rilevante cautelare. Prima di analizzare le prescrizioni normative introdotte dalla riforma delle intercettazioni per realizzare un giusto equilibrio tra l’interesse della collettività e l’interesse soggettivo alla non pubblicazione delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti nella fase ordinaria e cautelare, si evidenzia, anzitutto, come il sistema sanzionatorio mostra, ancora oggi, poca incisività repressiva nella situazione di violazione del divieto di pubblicazione (art. 684 [continua ..]
La non profonda consapevolezza della centralità della selezione successiva al deposito delle intercettazioni e del presidio sanzionatorio al divieto di pubblicazione, sui cui ragionare, nell’ottica dell’equilibrio tra interesse pubblico e individuale, ha spinto il legislatore a creare meccanismi anticipativi di selezione che presentano l’attribuzione di compiti anomali alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero, creando ostacoli all’operatività nella fase esecutiva del mezzo di ricerca della prova, perdendo di vista il fatto che l’unico modo per tutelare la riservatezza sia la costruzione successivamente all’attività intercettativa di una concreta ed efficace fase di separazione, che la riforma non ha realizzato. Proseguendo per ordine, invero, va detto che è stato previsto che l’ufficiale di polizia giudiziaria, di cui si avvale il pubblico ministero per le operazioni di intercettazione, deve informare preventivamente quest’ultimo con annotazione sui contenuti delle «comunicazioni e conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati sensibili», sulle quali è stabilito il divieto di non trascriverle sommariamente (c.d. brogliaccio di ascolto) ai sensi dell’art. 268 comma 2 bis c.p.p. L’avverbio «preventivamente» contenuto nell’art. 267, comma 4, c.p.p. pone degli interrogativi sul se l’ufficiale di polizia giudiziaria debba informare preventivamente il pubblico ministero con annotazione dei contenuti non trascritti ovvero debba procedere secondo tale modalità operativa soltanto nei casi di incertezza sulla trascrizione a norma dell’art. 268 comma 2 bis c.p.p., interpellando anche il pubblico ministero per la redazione del verbale [9]. La volontà del legislatore qui è da intendersi che il pubblico ministero debba essere informato con annotazione dalla polizia giudiziaria delle comunicazioni che non saranno trascritte ai sensi dell’art. 268, comma 2 bis, c.p.p., in ragione del fondamentale rapporto che intercorre tra pubblico ministero e polizia giudiziaria durante l’attività intercettativa. Il meccanismo è però tortuoso, oltre che di appesantimento e scarsa funzionalità del momento esecutivo, vista [continua ..]
Seguendo il ragionamento, più specificamente, con il deposito delle annotazioni, dei verbali, delle registrazioni e dei decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione e con il formato elenco delle comunicazioni o conversazioni informatiche o telematiche, si apre la fase di conoscenza volta all’acquisizione di quelle «rilevanti ai fini di prova» (art. 268 bis c.p.p.) [15]. I difensori delle parti, ricevuto immediatamente l’avviso di deposito, hanno facoltà di esaminare gli atti, di prendere visione del predetto elenco, nonché di ascoltare le registrazioni e di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 268 bis, comma 2, c.p.p.). Il deposito della documentazione, nel caso di grave pregiudizio per le indagini, sarà differito qualora il giudice autorizzi il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini (art. 268 bis, comma 3, c.p.p.); in tal caso, come da prassi pre-riforma, è intuibile che lo stesso coinciderà con l’avviso di deposito a norma dell’art. 415 bis c.p.p. La coincidenza tra gli autonomi depositi di cui all’art. 268 bis c.p.p. e art. 415 bis c.p.p. in linea teorica non crea alcun problema – sempreché sussista il grave pregiudizio per le indagini – ma in concreto comprime i diritti soggettivi, poiché l’aumento della complessità delle attività successive alla captazione di comunicazioni o conversazioni (di visionare il materiale in questione e di ascoltare le registrazioni con confronto con annotazioni e verbali), con i limitati termini sul piano delle garanzie e con sovrapposizione alle attività di cui all’art. 415 bis c.p.p., determina l’affievolimento delle facoltà previste dall’art. 268 bis e 268 ter c.p.p. Il predetto affievolimento non verrà meno neppure se il termine dovesse essere prorogato dal giudice per un tempo non superiore a 10 giorni (art. 268 ter, comma 3, c.p.p.). La soluzione, da questo punto di vista, sarebbe stata quella di prevedere una maggiore estensione dei suddetti termini. Successivamente al deposito, fuori dai casi di utilizzo delle intercettazioni nel procedimento cautelare, entro 5 giorni il pubblico ministero presenta la richiesta al giudice [continua ..]
In premessa, prima della riforma, il nodo da sciogliere riguardava la pubblicazione delle intercettazioni a seguito dell’applicazione del provvedimento cautelare, poiché la conoscenza degli atti d’indagine faceva venir meno il segreto investigativo, legittimando la pubblicazione di comunicazioni intercettate attinenti pure alla sfera privatistica. In tal caso era necessaria stabilire una limitata pubblicazione del contenuto dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare, giacché essa coinvolge un bene primario, quale la libertà della persona, in un contesto anticipativo di giudizio sulla responsabilità penale. Doveva, poi, rimanere il segreto sulle intercettazioni fino alla deliberazione di separazione da parte del giudice del materiale irrilevante, con divieto di pubblicazione del complessivo contenuto intercettato, con esclusione delle sole comunicazioni essenzialmente poste a fondamento dell’ordinanza cautelare. Per ragioni di coerenza processuale era necessario prevedere un autonomo potere-dovere del pubblico ministero di selezionare la massa indifferenziata di conversazioni, evitando, per certi versi, che nei provvedimenti cautelari venissero riversati interi “blocchi” di conversazioni intercettate senza alcuna attinenza delle stesse con l’oggetto cautelare [33]. Analizziamo ora come il legislatore ha cercato di risolvere i rapporti tra la procedura selettiva cautelare e quella ordinaria. Nel procedimento de libertate il pubblico ministero a sostegno della domanda cautelare deve presentare al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’indagato-imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Il pubblico ministero, quindi, può gestire in maniera autonoma e discrezionalmente gli elementi “a carico” raccolti, evitando di compromettere il buon esito delle indagini. Tale gestione dovrebbe rimanere, sia pur complicata, per le intercettazioni “a carico” non poste a fondamento della misura cautelare; discorso diverso, alla luce della riforma, è l’esame e l’ascolto del materiale irrilevante non posto a fondamento della misura cautelare che confluirà nell’archivio riservato. Il legislatore, in ragione della tutela della riservatezza, introduce nel comma 1 dell’art. 291 c.p.p. l’obbligo per il pubblico [continua ..]