Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'imperativo costituzionale della rieducazione: un necessario intervento della Corte costituzionale sulla irragionevolezza degli sbarramenti ex art. 58-quater, comma 4, ord. penit. (di Francesco Urbinati - Dottorando di ricerca in Diritto dei Consumi – Università degli Studi di Perugia)


Un'attesa e pronosticata pronuncia della Corte costituzionale ricolloca la disciplina delle preclusioni ex art. 58-quater, comma 4, ord. penit., sotto lo spettro applicativo della funzione rieducativa, non solo denunciandone la vistosa irragionevolezza, ma affermando l'insacrificabile ruolo del momento risocializzante anche per i crimini più efferati.

The 'constitutional imperative' of re-education: a necessary intervention by the Constitutional Court on the unreasonableness of the barriers ex art. 58-quater, paragraph 4, ord. penit.

An expected and predicted ruling of the Constitutional Court replaces the regulation of preclusions ex art. 58-quater, subsection 4, ord. penit., under the application spectrum of the rehabilitative function, not only denouncing its conspicuous unreasonableness, but affirming the non expendable role of the re-socializing moment even for the most heinous crimes.

 

PREMESSA

La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, riconduce a ragionevolezza l'illogico sistema di preclusioni delineato dall'art. 58-quater, comma 4, ord. penit., qualificando la funzione rieducativa quale momento non sacrificabile «sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena».

La questione di costituzionalità veniva sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, il quale ravvisava un contrasto tra gli artt. 3 e 27, comma 3, cost., e l'art. 58-quater, comma 4, ord. penit., «nella parte in cui prevede che i condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno ventisei anni» di pena [1].

La vicenda concreta prendeva le mosse da una istanza di semilibertà proposta da un condannato all'ergastolo per sequestro di persona a scopo di estorsione che aveva cagionato la morte del sequestrato (art. 630, comma 3, c.p.), ove si evidenziava come, computando nella pena scontata i termini relativi alla liberazione anticipata, sarebbe stata largamente superata la soglia per accedere al beneficio ex art. 50 ord. penit.

Il Tribunale rinveniva nell'art. 58-quater, comma 4, l'unico sbarramento alla concessione del beneficio: da una parte, risultavano presenti elementi comprovanti il percorso rieducativo seguìto dal condannato (eccezionale impegno negli studi universitari; condotta sempre regolare in carcere; lavoro nell'istituto penitenziario presso un call center) unitamente ad un'offerta di lavoro da parte di una cooperativa; dall'altra, l'impossibilità di collaborare ex art. 58-ter ord. penit., essendo stati accertati i fatti nell'immediato, e dunque non sussistendo le condizioni ostative di cui all'art. 4-bis ord. penit.

L'organo a quo contestava, dunque, la ragionevolezza della preclusione dell'accesso a tutti i benefici di cui all'art. 4-bis (regime già ampiamente derogatorio) nel caso del condannato ex art. 630 c.p. che abbia cagionato la morte del sequestrato, se non abbia «effettivamente» espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni, sotto un triplice ordine di motivi:

– irragionevolezza sotto il profilo «oggettivo»: non vi è fondato motivo di ritenere il delitto di sequestro di persona con morte del sequestrato più grave di altre fattispecie previste all'art. 4-bis, talvolta connotate da maggiore disvalore, le quali tuttavia non rientrano nell'àmbito della disciplina menzionata;

– irragionevolezza sotto il profilo «soggettivo»: il delitto in analisi non denota una maggiore pericolosità del soggetto rispetto ad altri contesti criminali (si pensi, come fa notare il Tribunale, al soggetto che, nell'àmbito di un'organizzazione mafiosa, sequestri e poi uccida la vittima);

– contrasto col principio rieducativo, sia nell'ottica della valutazione personalizzata e non automatica della concessione dei benefici, sia in quella della «progressione trattamentale», che nel caso di specie verrebbe frustrata in modo illogico, per i motivi di cui si dirà più avanti.

L'INCOSTITUZIONALITÀ ANNUNCIATA DI UNA NORMA IRRAZIONALE

La formulazione del quarto comma dell'art. 58-quater è rimasta invariata sin dall'origine (d.l. n. 152 del 1991) e già i primi commentatori [2]ne misero in evidenza la rigidità applicativa, l'insensibilità al percorso rieducativo, soprattutto con riferimento alla detenzione di lungo periodo, e, anticipando i tempi, la dubbia legittimità rispetto agli artt. 3 e 27 Cost. [3].

Nonostante la carenza di qualsivoglia profilo giustificativo e la lampante contrarietà alla logica trattamentale e rieducativa [4], la disposizione è sopravvissuta indenne fino alla pronuncia in commento.

La lettura combinata degli artt. 58-quater, comma 4, e 4-bis, comma 1, permette di rilevare l'esclu­sione della liberazione anticipata dal perimetro applicativo della norma di sbarramento, da cui deriva la possibilità di detrarre i quarantacinque giorni per semestre ab initio.

Ad ogni modo, come sottolineato dalla Corte costituzionale, la locuzione «effettivamente» di cui al 58-quater evidenzia «l'inequivoca volontà del legislatore di subordinare l'accesso concreto a ciascun beneficio all'integrale espiazione» della pena e la correlata impossibilità di applicare la «presunzione di avvenuta espiazione» ex art. 54, comma 4, ord. penit. [5].

Per effetto di tale disposizione, in sostanza, le detrazioni della liberazione anticipata non hanno alcun margine operativo nei confronti dei condannati per i delitti di cui agli artt. 289-bis e 630 c.p. con conseguente morte del sequestrato, anche se abbiano positivamente seguìto l'iter rieducativo.

Con particolare riferimento ai condannati all'ergastolo, risulta, da un punto di vista pratico, la totale inutilità della disciplina siffatta, visto che la liberazione anticipata, già inefficace sulla durata perpetua della pena, diverrebbe operativa dopo un lasso temporale, ventisei anni, in cui i termini per la concessione degli altri benefici risulterebbero largamente superati.

LA LOGICA ANTI-TRATTAMENTALE E IL CONTRASTO CON L'ART. 27 COST.

La Corte ritiene di dover pronunciarsi in via principale sulla compatibilità dell'art. 58-quater, comma 4, con il principio rieducativo, che assorbe anche la censura della disparità di trattamento ex art. 3 cost.

L'organo ad quem ha gioco facile a rinvenire nella soglia unica per accedere a ciascun beneficio un evidente contrasto col principio della «progressività trattamentale e flessibilità della pena» [6], in base al quale l'opera di reinserimento dovrebbe manifestarsi in forma graduale, «nell'àmbito di un percorso ideale», che inizia con l'ammissione al lavoro all'esterno e la concessione di permessi premio, procede con la semilibertà, per concludersi con la liberazione condizionale.

Il condannato per i delitti sopra indicati, al contrario, si troverebbe di fronte alla possibilità di poter usufruire della liberazione condizionale, per il tramite delle detrazioni della liberazione anticipata, prima degli altri benefici, considerati «naturalmente prodromici» alla liberazione condizionale.

Quest'ultima, inoltre, in base all'art. 176, comma 1, c.p., dovrebbe essere concessa al condannato che «abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento», situazione che nel concreto non si può verificare, vista l'assenza di pregresse sperimentazioni extramurarie valutate in maniera positiva.

Lo stesso è a dirsi, ancor prima, per quel che riguarda la semilibertà: ricorda la Corte costituzionale che non sarebbe sufficiente, ai fini della concessione, la «presenza di una continua e fattiva partecipazione all'opera rieducativa in carcere», poiché, come ben chiarito da uniforme orientamento della Cassazione, il beneficio non potrebbe essere concesso «se non all'esito di previe e positive esperienze di concessione di altre misure alternative meno impegnative, quali i permessi premio, nel medesimo contesto territoriale in cui la semilibertà sarebbe stata fruita dall'interessato» [7].

In sostanza, la disciplina così congegnata produrrebbe non solo un'impossibilità di fruizione dei benefici durante i ventisei anni effettivi di pena, ma anche l'eventuale, quanto probabile, successivo diniego di accedere ad un beneficio extramurario proprio per la mancanza dei presupposti dovuta agli irragionevoli sbarramenti normativi [8].

Lo stravolgimento dei meccanismi di graduazione trattamentale fa emergere ictu oculi un insanabile conflitto con la funzione rieducativa della pena e con l'integrale impianto normativo dell'ordinamento penitenziario, che ne costituisce attuazione.

Un secondo profilo di criticità deriva dall'inevitabile freno a tutti gli stimoli partecipativi che il condannato all'ergastolo potrebbe nutrire in vista della concessione dei benefici: sottolinea la Corte come il blocco del computo delle detrazioni dovute alla liberazione anticipata, unico impulso reale che possa indurre l'interessato ad intraprendere l'iter rieducativo, produce un totale disinteresse (ed in particolar modo nella prima fase esecutiva) ad impegnarsi per dei benefici di cui potrà godere solo in un momento remoto [9].

Ancora una volta la disciplina in commento si colloca agli antipodi del principio rieducativo e sovverte la logica che sta alla base della liberazione anticipata, tanto che lo stesso art. 4-bis, ord. penit., la esclude dal suo àmbito di preclusioni, così da poter esplicare nei confronti di tutti i condannati quella funzione di stimolo alla risocializzazione [10].

LA RIEDUCAZIONE VALE PER TUTTI: LA NECESSITÀ DI VALUTAZIONI INDIVIDUALI

L'ultimo profilo di irragionevolezza evidenziato dalla Corte riguarda il contrasto tra l'automaticità dei meccanismi preclusivi dell'accesso ai benefici e la necessità di effettuare per ogni singolo soggetto valutazioni personalizzate che tengano in considerazione il percorso svolto.

Anche nei confronti di coloro che abbiano commesso crimini efferati deve essere lasciato spazio discrezionale di valutazione all'organo competente per verificare l'opportunità o meno di concedere i benefici: in sostanza, debbono sì essere stabilite ragionevoli soglie temporali da parte del legislatore, ma l'apprezzamento circa la pericolosità sociale del soggetto non può ancorarsi al mero titolo del reato, non potendo il momento risocializzante soccombere di fronte ad istanze repressive.

D'altronde, la Corte richiama la propria costante giurisprudenza, la quale afferma l'insacrificabilità della funzione rieducativa rispetto alle altre funzioni [11], la vincolatività costituzionale dell'esclusione di automatismi che impediscano giudizi individuali [12] e la necessità di tenere sempre in considerazione il comportamento positivo tenuto dal condannato nella fase di esecuzione della pena.

Insomma, secondo la Corte, l'art. 58-quater, comma 4, ord. penit., fondato sulla esclusiva «esigenza di lanciare un robusto segnale di deterrenza nei confronti della generalità dei consociati» si pone «in chiave distonica rispetto all'imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena medesima, da intendersi come fondamentale orientamento di essa all'obiettivo ultimo del reinserimento del condannato nella società».

Nel senso indicato si è mossa anche la recente giurisprudenza della Corte EDU, che, in assenza di una disposizione equivalente al nostrano art. 27, comma 3, cost., ha riconosciuto l'intima relazione tra il principio rieducativo e la dignità della persona: secondo la Corte di Strasburgo «una persona condannata all'ergastolo senza alcuna prospettiva di liberazione né possibilità di far riesaminare la sua pena perpetua rischia di non potersi mai riscattare: qualsiasi cosa faccia in carcere, per quanto eccezionali possano essere i suoi progressi per correggersi, la sua pena rimane immutabile e non soggetta a controllo. La punizione, del resto, rischia di appesantirsi ancora di più con il passare del tempo: quanto più vive il detenuto, tanto più lunga sarà la sua pena. In tal modo, anche quando l'ergastolo è una punizione meritata alla data in cui viene inflitta, col passare del tempo esso non garantisce più una sanzione giusta e proporzionata» [13].

In definitiva, la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, ord. penit., nella parte in cui si applica ai condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato e, di conseguenza, l'illegittimità della stessa norma nella parte in cui si applica ai condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 289-bis del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato.

SULLA PREMINENZA DELLA FUNZIONE RIEDUCATIVA: CAMBIO DI PASSO DELLA CONSULTA?

Come evidenziato da autorevole dottrina, il provvedimento rappresenterebbe una «svolta nella giurisprudenza della Corte costituzionale» poiché per la prima volta «investe frontalmente una forma di ergastolo», anche se di rara applicazione [14].

Inoltre, la Corte, secondo la dottrina menzionata, avrebbe finalmente superato il costante filone giurisprudenziale riconducibile alla c.d. «teoria polifunzionale eclettica della pena» [15], in cui la rieducazione poteva cedere di fronte alle altre funzioni della pena e si traduceva in «sperata emenda», per addivenire ad un principio di irrinunciabilità della funzione rieducativa («imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena» quale «fondamentale orientamento di essa all'obiettivo ultimo del re­inserimento del condannato nella società»).

In realtà, è possibile ravvisare una netta presa di posizione della Consulta rispetto alla teoria polifunzionale in una pronuncia precedente, di cui si riporta uno stralcio fondamentale: «in verità, incidendo la pena sui diritti di chi vi è sottoposto, non può negarsi che, indipendentemente da una considerazione retributiva, essa abbia necessariamente anche caratteri in qualche misura afflittivi. Così come è vero che alla sua natura ineriscano caratteri di difesa sociale, e anche di prevenzione generale per quella certa intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico di colui che delinque. Ma, per una parte (afflittività, retributività), si tratta di profili che riflettono quelle condizioni minime, senza le quali la pena cesserebbe di essere tale. Per altra parte, poi (reintegrazione, intimidazione, difesa sociale), si tratta bensì di valori che hanno un fondamento costituzionale, ma non tale da autorizzare il pregiudizio della finalità rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena. Se la finalizzazione venisse orientata verso quei diversi caratteri, anziché al principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale (prevenzione generale) o di privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l'esemplarità della sanzione» [16].

Tuttavia, gli spunti evolutivi che si potevano trarre da tale dictum sembrano non aver attecchito nelle pronunce successive, in cui si ripropone l'idea del contemperamento delle varie funzioni e la sacrificabilità di una tra queste, purché ciò risulti assolutamente necessario e non vi sia completa obliterazione delle altre [17].

È dunque assolutamente condivisibile il suesposto orientamento dottrinale [18] che ritiene «coraggiosa» questa sentenza, poiché afferma con forza la primazia della funzione rieducativa, ne evidenzia la insacrificabilità rispetto alle altre istanze, la suggella quale imperativo costituzionale ed obbiettivo da perseguire.

 

[1] Sulle possibili ricadute della pronuncia in esame rispetto al tema dell'«ergastolo ostativo», v. F. Fiorentin, La Consulta svela le contraddizioni del «doppio binario penitenziario» e delle preclusioni incompatibili con il principio di rieducazione del condannato, in corso di pubblicazione in Giur. cost., 2018.

[2] Di norma «draconiana» discorre F. Della Casa, Le recenti modificazioni dell'ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della «scommessa» anticustodialistica agli insidiosi pragmatismi del «doppio binario», in L'ordinamento penitenziario tra riforme ed emergenza, in V. Grevi (a cura di), Padova, Cedam, 1994, p. 114; sottolinea l'«evidente intento punitivo» della disposizione, F.P.C Iovino, Legge penitenziaria e lotta alla criminalità organizzata. Brevi note sul d.l. 13 maggio 1991, n. 152 convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203, in Cass. pen., 1992, p. 442.

[3] Cfr. M. Canepa-S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario. Le norme, gli organi, le modalità dell'esecuzione delle sanzioni penali, Milano, Giuffrè, 2006, p. 517; B. Guazzaloca-M. Pavarini, L'esecuzione penitenziaria, Torino, Utet, 1995, p. 330. Più di recente C. Cesari, sub art. 58-quater, in Ordinamento penitenziario commentato, V ed., in F. Della Casa-G. Giostra (a cura di), Padova Cedam, 2015, p. 734; P. Corso, Manuale della esecuzione penitenziaria, V ed., Milano, Giuffrè, 2013, p. 197; C. Fiorio, Inasprimenti al divieto di concedere benefici penitenziari, in Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, in A. Scalfati (a cura di), Padova, Cedam, 2006, p. 233; L. Cesaris, Nota a Trib. Sorv. Trieste, ord. 14 novembre 2000, in Rass. penit. crim., 2001, p. 443 s.

[4] B. Guazzaloca, Profili penitenziari dei decreti legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modifiche nella l. 17 luglio 1992, n. 203, e 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella l. 7 agosto 1992, n. 306, in Mafia e criminalità organizzata, in P. Corso-G. Insolera-L. Stortoni (coord. da), Torino, Utet, 1995, II, p. 768.

[5] In tal senso v. F. Della Casa, op. cit., p. 115.

[6] Cfr., ex multis, Corte cost., 4 luglio 2006, n. 255, in Giur. cost., 2006, 4, p. 2687, con nota di F. Fiorentin, Così l'indultino diventa una misura alternativa alla detenzione.

[7] Cfr. Cass., sez. I, 30 ottobre 2009, n. 41914, in Cass. pen., 2010, p. 2844; Cass., sez. I, 3 novembre 2008, n. 40992, in CED Cass. n. 241430.

[8] In tal senso anche A. Galluccio, Ergastolo e preclusioni all'accesso ai benefici penitenziari: dalla Corte costituzionale un richiamo alla centralità del finalismo rieducativo della pena, in Questione Giustizia, 16 luglio 2018.

[9] Fa notare S. Marcolini, L'ergastolo nell'esecuzione penale contemporanea, in Dir. pen. cont., 2017, 4, p. 71, come il percorso trattamentale scalare «dovrebbe potersi esemplarmente applicare anche e soprattutto all'ergastolano che, di fatto, è il soggetto maggiormente “lungodegente” all'interno del carcere, e quello su cui quindi si ha anche più tempo e modo per effettuare l'osservazione scientifica ed applicare un trattamento realmente individualizzato».

[10] È da ricordare come inizialmente la liberazione anticipata non si applicasse agli ergastolani: solo con la sentenza 274 del 1983 la Corte costituzionale ha dichiarato il contrasto dell'art. 54 ord. penit. con gli artt. 3 e 27 cost. «nella parte in cui non prevede la possibilità di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantità di pena così detratta nella quantità scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale». Cfr. Corte cost., 27 settembre 1983, n. 274, in Foro it., 1984, I, c. 18, con nota di V. Grevi, Sulla configurabilità di una liberazione condizionale «anticipata» per i condannati all'ergastolo.

[11] In verità, le pronunce di séguito indicate e richiamate dalla Corte, più che al principio di «non sacrificabilità» della rieducazione, si rifanno alla teoria polifunzionale eclettica, di cui si dirà oltre: Corte cost., 16 marzo 2007, n. 78 in Arch. n. proc. pen., 2007, 4, p. 443; Corte cost., 4 luglio 2006, n. 257, in Giust. civ., 2006, p. 2289, con nota di R. Granata, Ancora in tema di misure alternative alla detenzione e art. 25, comma 2, cost.; Corte cost., 1° marzo 1995, n. 68, in Riv. pen., 1995, p. 557.

[12] Corte cost., 1° dicembre 1999, n. 436, in Cass. pen., 2000, p. 2557, con nota di C. Cesari, Flessibilità della pena e condannati minorenni: l'illegittimità costituzionale dell'art. 58-quater ord. pen.

[13] Corte EDU, grande camera, sent. 9 luglio 2013, n. 3896, Vinter e altri c. Regno Unito, in Resp. civ. e prev., 2013, 6, p. 2053.

[14] E. Dolcini, Dalla Corte costituzionale una coraggiosa sentenza in tema di ergastolo (e di rieducazione del condannato), in Dir. pen. cont. online, 18 luglio 2018.

[15] L'Autore confronta la sentenza in esame con Corte cost., 22 novembre 1974, n. 264, in Giur. it., 1995, I, c. 577, la quale chiaramente affermava: «non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena. E ciò basta per concludere che l'art. 27 della Costituzione, usando la formula “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, non ha proscritto la pena dell'ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell'esercizio del suo potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l'efferatezza della loro indole».

[16] Corte cost., 2 luglio 1990, n. 313, in Giur. it., 1992, I, c. 1872.

[17] Emblematica la menzionata Corte cost., 16 marzo 2007, n. 78, in Giur. cost., 2007, n. 2, p. 745, ove si afferma: «questa Corte, nell'àmbito di giudizi aventi ad oggetto le disposizioni contenute nella legge n. 354 del 1975, con riferimento alla finalità rieducativa della pena, ha, d'altro canto, costantemente affermato che detta finalità deve contemperarsi con le altre funzioni che la Costituzione assegna alla pena medesima (vale a dire: prevenzione generale, difesa sociale, prevenzione speciale). Tale principio di armonica coesistenza deve ispirare l'esercizio della discrezionalità che in materia compete al legislatore, le cui scelte risulteranno non irragionevoli e rispettose del precetto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, allorquando, pur privilegiando l'una o l'altra delle suddette finalità, il sacrificio che si arreca ad una di esse risulti assolutamente necessario per il soddisfacimento dell'altra e, comunque, purché nessuna ne risulti obliterata». In senso conforme Corte cost., 4 luglio 2006, n. 257, cit.

[18] E. Dolcini, op. cit.

Fascicolo 6 - 2018