Con una pronuncia destinata ad alimentare un significativo contrasto giurisprudenziale, i giudici di legittimità hanno sostenuto come la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, che non dispone e/o non valuta l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato prevista dal Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, possa essere impugnata dal pubblico ministero con ricorso in Cassazione. Si osserva, infatti, come a tale posizione interpretativa non sia di ostacolo la norma del codice di rito, introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che individua le ipotesi tassative per proporre siffatta impugnazione avverso la sentenza di patteggiamento (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.). Dunque, prendendo le mosse proprio dalla questione delineata e analizzandone la possibile soluzione, l’Autore mira a formulare alcune riflessioni sulle tematiche concernenti la riforma dell’impugnabilità oggettiva della sentenza di patteggiamento e, correlativamente, la garanzia costituzionale del ricorso in Cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale.
The essay deals with a judicial decision able to feed a significant contrast in case law. According to the Supreme Court, the application of penalty upon request of the parties, which does not decide and/or evaluate the expulsion of the foreigner for a drug crime from the territory of the State, can be challenged by the public prosecutor with appeal to the Court of Cassation. In fact, the Supreme Court believes that this interpretative position is not in contrast with the rule of the Code of Criminal Procedure, introduced by the Law N. 103, June 23, 2017, which identifies the specific hypotheses to appeal in Cassation against the Italian ‘patteggiamento’ (art. 448, par. 2-bis, c.c.p.). Therefore, starting from the question outlined above and analysing the achievable solution, the Author aims to formulate some reflections on the issues related both to the possibility of appeal before the Supreme Court against the ‘patteggiamento’ and to the constitutional guarantee of the appeal in Cassation against personal freedom measures.
La genesi e il percorso di formazione della pronuncia - La riforma dell'impugnabilità oggettiva della sentenza di patteggiamento e l'illegalità della misura di sicurezza: profili di criticità - (Segue): L'indefettibilità della garanzia costituzionale del ricorso in Cassazione contro i provvedimenti sulla libertà personale - Riflessioni conclusive - NOTE
La rilevante questione sottoposta alla Suprema Corte scaturisce da un processo in cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, con sentenza di patteggiamento del 4 luglio 2018, ha applicato all’imputato la pena di anni 3 e mesi 9 di reclusione, insieme alla multa di € 14.000,00, con riguardo ai reati di cui all’art. 73, comma 1, T.U. stup., unificati con la continuazione, disponendo altresì confisca, con distruzione della droga in sequestro. Il giudice di merito, tuttavia, non ha ordinato l’espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato a pena espiata, come espressamente previsto dalla norma di cui all’art. 86, T.U. stup., né ha motivato sull’assenza di pericolosità che avrebbe potuto legittimare l’omessa applicazione della misura di sicurezza pur con una simile condanna a pena superiore ai due anni. L’imputato, peraltro, si trovava illegalmente sul territorio dello Stato, senza occupazione, nonché pienamente inserito nel circuito dello spaccio di diverse sostanze stupefacenti. A tal riguardo, dunque, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 86, T.U. stup.), proprio per l’omessa applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione. Sono stati, quindi, chiamati a pronunciarsi sulla questione i giudici di legittimità, i quali hanno, anzitutto, evidenziato la presenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla ricorribilità per cassazione della sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre una misura di sicurezza e segnatamente l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati previsti dall’art. 86 d.p.r. n. 309 del 1990. Invero, secondo il diverso orientamento richiamato nella pronuncia de qua, tale sentenza “negoziata” non è impugnabile dal p.m. con il ricorso per cassazione, ostandovi il comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p., introdotto dalla l. n. 103 del 2017, la quale individua delle ipotesi tassative per la proponibilità di tale impugnazione, tra cui l’illegalità della misura di sicurezza, che richiederebbe, però, l’effettiva adozione della stessa. La decisione in esame, di contro, non rinviene nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. alcun ostacolo [continua ..]
La l. 23 giugno 2017, n. 103 – nota comunemente come “Riforma Orlando” – ha introdotto alcune rilevanti modifiche alla disciplina del patteggiamento, focalizzando l’attenzione sui motivi di ricorso per cassazione e sulla correzione degli errori materiali, al chiaro scopo di garantire una più celere definizione del procedimento penale, nonché di scoraggiare iniziative meramente dilatorie. In realtà, l’originario progetto di riforma (contenuto nel disegno di legge n. 2798, presentato alla Camera dei deputati il 23 dicembre 2014) era animato dal ben più ambizioso intento di ridisegnare l’intera fisionomia del rito speciale de quo, mirando fondamentalmente – come si legge nella relazione di accompagnamento – ad «eliminare l’incongruenza, evidente soprattutto nei casi di cosiddetto patteggiamento allargato, […] dell’irrogazione di una pena senza accertamento pieno di responsabilità». Tuttavia, nel corso dei lavori parlamentari, è stata abbandonata l’idea di approvare una riforma organica dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, mentre i conditores hanno preferito focalizzarsi ad affrontare e risolvere la delicata questione della troppo ampia impugnabilità per cassazione della sentenza di patteggiamento [1]. Invero, per circa trent’anni il codice di rito penale non ha dettato alcuna disposizione specifica in tema di ricorribilità per cassazione delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti. La mancata creazione di una serie di motivi di ricorso ad hoc, parametrati sulle indubbie peculiarità del rito “contrattato”, ha fatto sì che alle pronunce “negoziate” si potesse applicare la sola disciplina “comune” in materia di giudizio di legittimità, prevista nel libro IX del codice di procedura penale, e che, di conseguenza, competesse direttamente agli interpreti ed operatori del diritto l’arduo compito di individuare in quale delle eterogenee ipotesi stabilite dall’art. 606 c.p.p. le sentenze di patteggiamento fossero concretamente impugnabili [2]. Molto probabilmente, tale scelta di politica criminale fu dovuta alla volontà del legislatore del codice di optare per una lettura particolarmente rigida della disposizione contenuta [continua ..]
Secondo quanto già osservato, con riferimento alla pronuncia in esame la Suprema Corte, nell’individuare la ricorribilità per cassazione della sentenza di patteggiamento nel caso in cui il giudice abbia omesso di disporre e/o di valutare l’applicabilità della misura di sicurezza prevista per legge, ha opportunamente sottolineato come tale interpretazione sia l’unica soluzione in grado di assicurare la costituzionalità dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., in considerazione del dato testuale dell’art. 111, comma 7, Cost., per cui contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Un diverso orientamento sostiene, invece, che sia perfettamente conforme ai parametri costituzionali la ricostruzione interpretativa opposta, ossia tesa a configurare l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. come una norma preclusiva del ricorso in Cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di pronunciarsi sull’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell’art. 86 del d.p.r. n. 309 del 1990 [33]. Proprio a tal riguardo, si ritiene, infatti, che la scelta del rito alternativo, sempreché sia immune da vizi per quanto concerne l’espressione della volontà dell’imputato (vizi che legittimano pubblico ministero e imputato al ricorso per cassazione ai sensi dello stesso comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p.), comporta ragionevolmente una consapevole accettazione delle parti – compresa, per quanto riguarda il caso di specie, la parte pubblica – del ristretto regime di impugnazione definito dalle nuove norme; e ciò finanche per quanto attiene ai punti della sentenza di patteggiamento che, pur non ricompresi nel perimetro dell’accordo sulla pena, rientrano tuttavia in un’area di ragionevole prevedibilità. In altri termini, anche in ordine all’osservanza del predetto profilo costituzionale, rientra nel libero esercizio delle facoltà di ciascuna parte il diritto di affrontare il giudizio ordinario e di avvalersi così dei mezzi di impugnazione ad esso propri, ovvero di accordarsi sulla richiesta di patteggiamento, con i benefici ma anche con i limiti che la legge ricollega all’accordo delle parti sulla pena, [continua ..]
Alla luce delle considerazioni svolte, emerge la piena legittimità dell’interpretazione giurisprudenziale volta a sostenere l’ammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di patteggiamento in cui il giudice abbia omesso di pronunciarsi sull’applicabilità della misura di sicurezza prevista per legge. Sono molte altre e assai articolate, però, le problematiche ermeneutiche che sorgono dalla nuova disciplina della ricorribilità per cassazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Non a caso è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione se, in caso di sentenza di patteggiamento, a seguito della introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., sia ammissibile o meno, e, nel primo caso, in quali limiti, il ricorso per cassazione che abbia ad oggetto l’applicazione o l’omessa applicazione di sanzioni amministrative accessorie [41]. Tuttavia, ciò che è più importante, anche per le possibili ripercussioni sulla questione affrontata nella pronuncia in esame, è che al massimo collegio è stata rimessa anche la questione se, a seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., sia ammissibile o meno, nei confronti della sentenza di patteggiamento, il ricorso per cassazione con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale [42]. Si tratta di due questioni, peraltro, cui le Sezioni Unite hanno risposto affermativamente (nel secondo caso, solo con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell'accordo delle parti) in esito alla camera di consiglio del 26 settembre 2019, secondo quanto indicato nell’informazione provvisoria diffusa dalla stessa Suprema Corte di Cassazione, in attesa del deposito delle decisioni con le relative motivazioni. Ad ogni modo, per quanto gli interpreti potranno, se del caso, in alcune ipotesi ben determinate recuperare un ambito di ammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di patteggiamento attraverso la migliore applicazione dei canonici strumenti dell’ermeneutica, è palese che non sempre un’interpretazione estensiva, o meglio costituzionalmente orientata, dell’art. 448, comma [continua ..]