L’Autore analizza il testo della direttiva 2011/99/UE e della legge di attuazione al fine di evidenziarne ratio, pregi e criticità.
The European protection order and the Italian law complying with the Directive 2011/99/EU: an analysis and some questions The Author analyses the text of the Directive 2011/99/EU and the implementing law in order to highlight itsratio, strengths and weaknesses.
INTRODUZIONE. LA DIRETTIVA SULL’ORDINE DI PROTEZIONE EUROPEO
Ai sensi dell’art. 21, Direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo, gli Stati membri avrebbero dovuto dare attuazione alla direttiva entro l’11 gennaio 2015 [1]. Il legislatore italiano vi ha provveduto, con un mese di ritardo, con il d.lgs. 11 febbraio 2015, n. 9 [2], in forza della legge di delegazione europea del 2013 [3].
Per comprendere contenuto e limiti del provvedimento interno è necessario preliminarmente ricostruire struttura e contenuto della Direttiva.
Come è noto, invero, dopo l’abolizione del sistema a pilastri, tutte le direttive, analogamente a quanto avveniva, prima di Lisbona, per le decisioni quadro, pongono agli Stati membri dei vincoli di risultato (cfr. art. 288 TFUE), che i singoli ordinamenti devono soddisfare attraverso la normativa nazionale di attuazione, nel rispetto delle peculiarità di ognuno ed entro il termine previsto da ciascuna direttiva. Dopo la scadenza del termine [4] per il recepimento della direttiva, però, qualora, come in parte sembra avvenuto nel caso in esame, si sia provveduto all’adozione di una normativa nazionale parziale od insufficiente, le eventuali omissioni o imprecisioni nella fase di attuazione producono ulteriori effetti. Da un lato il cittadino può convenire lo Stato membro avanti il proprio giudice nazionale per vederlo condannato al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento degli obblighi comunitari. Dall’altro le norme europee che riconoscono specifiche posizioni soggettive e sono caratterizzate dalla chiarezza e dalla precisione sono direttamente applicabili nei c.d. rapporti verticali (ovvero con le autorità pubbliche) e possono quindi comportare la disapplicazione del diritto interno difforme.
La Direttiva [5] si compone di 42 considerando, 25 articoli e 2 allegati.
Nella parte iniziale, dopo l’enunciazione dell’obiettivo di «conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia» e della base giuridica del provvedimento (l’art. 82, par. 1 TFUE), sono richiamate le sollecitazioni del c.d. programma di Stoccolma al fine di «migliorare la normativa e le misure pratiche di sostegno per la protezione delle vittime» e le analoghe riflessioni di Parlamento e Consiglio [6]. In questa cornice la Direttiva, nel rispetto delle differente tradizioni giuridiche degli Stati Membri, non comporta alcuno specifico obbligo di innovazione [7].
L’intervento dell’UE è volto a consentire, nel rispetto del principio del mutuo riconoscimento [8], la circolazione dei provvedimenti di carattere penale [9] diretti a «proteggere una persona da atti di rilevanza penale di un’altra persona tali da mettere in [continua..]