L’adozione di un provvedimento abnorme non produce conseguenze solo sul piano strettamente processuale, in termini di invalidità dell’atto, ma integra anche per il magistrato un’ipotesi di illecito disciplinare, denotando una “grave caduta di professionalità”, che compromette il credibile esercizio della funzione giudiziaria.
L’abnormità, dunque, si connota per due profili – uno “processuale” ed uno “disciplinare” – i quali, tuttavia, non paiono sovrapponibili, distinguendosi per elementi tipizzanti ed evoluzione.
The double side of abnormality: the procedural profile and the disciplinary profile to compare Beyond being a pathology of the criminal procedure act, the Abnormality integrates a hypothesis of a disciplinary offense for the magistrate who has adopted the measure affected by it, and it signifies a serious lack of professionality, that compromises the credible exercise of judicial function.
Therefore, the Abnormality consists of two profiles – the “Procedural” one and the “Disciplinary” one; however, they do not seem to overlap each other, distinguishing themselves for characteristic elements and evolution.
Introduzione
Oltre ad integrare una patologia atipica dell’atto processuale penale, l’abnormità costituisce un’ipotesi tipica di infrazione disciplinare per il magistrato che abbia adottato il provvedimento da essa affetto.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. ff) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, infatti, costituisce illecito disciplinare «nell’esercizio delle funzioni» «l’adozione di provvedimenti al di fuori di ogni previsione processuale ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza ovvero di atti e provvedimenti che costituiscono esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi costituzionali».
Appare, quindi, di particolare interesse un approfondimento della tematica, volto innanzitutto a comprendere se la nozione di “abnormità processuale” coincida o meno con quella di “abnormità disciplinare” e se le stesse abbiano avuto nel corso del tempo un’evoluzione analoga.
Questione, all’evidenza, densa di ricadute di ordine sistematico, vuoi per i rapporti tra accertamento penale e disciplinare (che si riflettono anche sul potere cognitivo della apposita sezione del CSM, giudice di prima istanza nella procedura domestica [1]), vuoi per la circostanza che in entrambe le ipotesi menzionate un ruolo fondamentale è svolto dalla Corte di legittimità, al tempo stesso fonte dell’elaborazione delle nozioni in discorso e giudice di ultimo grado – nella sua suprema composizione – nei procedimenti disciplinari [2]
L’abnormità processuale
Come è noto, la categoria dell’abnormità processuale è il frutto di un lungo percorso di elaborazione dottrinale [3] e giurisprudenziale [4] avviato nel periodo di vigenza dell’abrogato codice di rito al fine di soddisfare ragioni eminentemente equitative [5].
Si trattava, in sostanza, di dare una risposta a quella ricerca di “giustizia senza commi” [6] – cioè basata su “principi”, e non su “fattispecie” – volta ad individuare un rimedio di chiusura del sistema che, aggirando il principio di tassatività delle impugnazioni, consentisse di reagire agli «abusi» ed alle «stravaganze processuali» [7].
Una sorta di “terapia fuori canone” [8], deducibile dalla logica del sistema, intesa ad espungere quei provvedimenti che per la loro eterodossia giuridica si collocassero ai margini, se non addirittura al di fuori, dell’ordinamento, integrando una «violazione delle regole fondamentali della grammatica giudiziaria che disegnano la morfologia dell’esercizio della giurisdizione» [9].
In assenza di un’espressa [continua..]
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