Ribaltando le conclusioni cui era pervenuta la sentenza Varvara c. Italia, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza GIEM c. Italia, ha reputato compatibile al canone di legalità una confisca penale disposta a seguito di una declaratoria di prescrizione del reato.
La pronuncia europea si allinea, in tal modo, a quanto affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 49/2015), nonché, in larga parte, dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza c.d. Lucci).
L’allineamento alle indicazioni interne non è però pedissequo, ma anzi va oltre; la sentenza della Grande Camera infatti, ammette, a differenza di quanto affermato dalla Corte di cassazione, la confisca senza un giudicato formale anche per le misure stricto sensu “penali”.
Unica condizione di tale confisca è la presenza di un accertamento nel merito circa la colpevolezza del soggetto.
Efficienza dell’ordinamento penale e lotta contro l’impunità sono i fondamenti posti alla base del self-restraint della Grande Camera della Corte europea, che, sfocando fortemente il c.d. diritto all’oblio dell’imputato, rafforza decisamente le istanze efficentiste del diritto penale sul piano della politica criminale patrimoniale.
Overturning the conclusions reached by the Varvara judgment c. Italy, the Grand Chamber of the European Court of Human Rights, with the judgment GIEM v. Italy, has deemed compatible with the “rule of law” a criminal confiscation ordered following a declaration of the prescription of the offense.
The European ruling thus aligns with the Constitutional Court’s judgment (No. 49/2015), as well as, to a large extent, with the Court of Cassation S.U. (c.d. Lucci).
The alignment with internal indications is not however slavish, but rather goes beyond; the ruling of the Grand Chamber, in fact, admits, contrary to what is stated by the Court of Cassation, the confiscation without a formal judgment also for the confiscated stricto sensu “penal”.
The only condition of such confiscation is the presence of an assessment on the merits of the guilt of the subject.
Efficiency of the criminal law and the fight against impunity are the foundations underlying the self-restraint of the Grand Chamber of the European Court, which, strongly blurring the c.d. the right to be forgotten by the accused, decisively reinforces the efficentist demands of criminal law in terms of criminal property policy.
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A) I profili sostanziali – Substantial aspects - Premessa - La confisca "senza procedimento" viola il principio di legalità (il caso G.I.E.M. s.r.l., Hotel Promotion Bureau s.r.l. e R.I.T.A. Sarda s.r.l.) - La confisca senza (un giudicato formale di) condanna. Verso un rafforzamento dell'actio in rem? - B) I profili processuali – Procedural aspects - L'antiformalismo della condanna e del procedimento necessari per l'applicazione della confisca penale - La sentenza sostanziale di condanna e le presunzioni probatorie - L'accertamento incidentale di colpevolezza con l'applicazione della confisca in Cassazione viola la presunzione d'innocenza - Una soluzione ermeneutica? - NOTE
(di Marco Lo Giudice)
A distanza di otto anni dalla ben nota sentenza Sud Fondi s.r.l. [1] e a cinque dalla sentenza Varvara [2], la Corte europea, è tornata a pronunciarsi sulle questioni inerenti alla confisca edilizia per lottizzazione abusiva, concentrando in un’unica decisione la soluzione di due dirimenti sotto-tematiche. La sentenza in analisi, infatti, per dirla con l’opinione concordante del Giudice Motoc, è sezionabile in due marcati “momenti”: un primo riguardante la questione dell’estensibilità della confisca a terzi soggetti non partecipanti al procedimento applicativo e un secondo inerente alla c.d. “confisca senza condanna” [3], cioè la possibilità di disporre l’ablazione dei beni anche nel caso di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Background comune ai due distinti profili di doglianza, sottoposti al vaglio autorevole della Grande Chambre: il principio di legalità, sub specie del principio di colpevolezza, la cui emersione in ambito euro-convenzionale è, non a caso, coincisa con l’individuazione della natura giuridica della confisca ordinata in materia urbanistica per lottizzazione abusiva [4]. Pur affrontando due distinte sotto-tematiche, la decisione assume rilievo, principalmente, in ragione del revirement operato in tema di confisca urbanistica e prescrizione del reato. Sempre più spesso, nella materia penale, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata, melius re perpensa, a una “riscrittura” o a una “spigolatura” del contenuto delle proprie decisioni giudiziarie. Tre appaiono le principali ragioni di siffatto necessitato procedimento di overruling europeo: 1) l’insofferenza interna per statuizioni in grado di minare la c.d. law enforcement e cioè il rispetto e quindi il funzionamento dei sistemi interni [5]; 2) l’approccio casistico della Corte, spesso incentrata su aspetti secondari del caso specifico e la conseguente mancanza di sistematicità della giurisprudenza europea; 3) l’apoditticità motivazionale, che unitamente alle condizioni precedentemente indicate, genera sul piano interno rilevanti ripercussioni. La necessità di rivedere alcune affermazioni contenute nelle sentenze della Corte non poteva non riguardare anche il [continua ..]
Come anticipato, la sentenza in disamina ha affrontato la questione dell’omessa partecipazione delle ricorrenti, società incise dalla misura ablatoria, al procedimento penale, riscontrando la violazione del principio di legalità. È noto che l’affermazione europea di tale canone preminente aveva riguardato il dato testuale dell’art. 19, l. 28 febbraio 1985, n. 47, poi ricalcato dall’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nell’interpretazione fornita dai giudici interni. Siffatta disposizione, infatti, prevede che: «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite». Una lettura ermeneutica di tale norma aveva dato vita a un formante giurisprudenziale interno secondo cui il requisito per poter disporre la confisca – ritenuta amministrativa – e la conseguente ablazione al patrimonio del comune dei terreni, è una sentenza definitiva che accerta una lottizzazione abusiva, non essendo richiesta espressamente una “condanna” promanante dal giudice penale. Da tale considerazione interpretativa, la giurisprudenza interna aveva escluso la possibilità di confiscare i terreni lottizzati abusivamente solo nei casi di insussistenza del fatto-reato sotto il profilo oggettivo, ritenendo irrilevante l’eventuale sentenza di proscioglimento per insussistenza dell’elemento soggettivo e per estinzione del reato e invocando a sostegno la conferma letterale proveniente dall’art. 7, ultimo comma, l. n. 47/1985 (poi confluito nell’art. 31, comma 9, del d.P.R. citato), che, invece, in materia di ordine di demolizione, testualmente, richiede una sentenza di condanna (ubi lex voluit dixit). Approccio esegetico che però si mostrava poco in linea con la rubrica dell’art. 44 del testo unico edilizia che, riportando la dizione “sanzioni penali”, suggeriva che la confisca dei terreni fosse da ricondurre all’accertamento del reato in tutti i suoi elementi (oggettivo e soggettivo). Contrariamente a tale indicazione letterale introdotta nel 2001, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la natura “amministrativa” [7] della confisca urbanistica [8] con evidenti e non irrilevanti implicazioni pratiche; su tutte: la conferma della non [continua ..]
La soluzione interpretativa adottata con la sentenza Varvara c. Italia (sentenza spin-off della sentenza Sud Fondi s.r.l. c. Italia [20]), in materia di confisca urbanistica ordinata contestualmente alla declaratoria di prescrizione del reato, è stata oggetto di ripensamento da parte della Grande Camera. La sentenza della Camera, nell’interpretare l’art. 7 della Convenzione europea, aveva affermato l’esistenza di una preclusione all’applicazione della confisca edilizia nei casi di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Sillogismo portante di quella dibattuta pronuncia era il seguente: se nessuna condanna può essere pronunciata senza accertamento di responsabilità ergonessuna pena può essere disposta senza una condanna che accerti la responsabilità [21]. Siffatta declinazione del principio di legalità è stata oggetto, con la decisione in commento, e seppur a maggioranza ristrettissima, di un self-restraint da parte della Grande Camera. La sentenza Varvara, muovendo dalla giurisprudenza precedente, aveva ritenuto che l’emersione del principio di colpevolezza in materia penale, susseguente alla sentenza Sud Fondi s.r.l. avrebbe reso contradditorio e incoerente la validazione di una sentenza interna, applicativa di una confisca penale, allorquando la «responsabilità non era stata accertata» [22]. Nel vasto e multiforme “arcipelago” delle confische, la sentenza Varvara c. Italia aveva, in ragione della innovatività della statuizione, a tacere della sua apoditticità, acceso un vibrante dibattito dottrinale e giurisprudenziale di dimensioni tali da richiedere l’intervento della Corte costituzionale. Intervento che, muovendo dalla questione specifica della dubbia ostatività all’applicazione della confisca penale di una sentenza di non doversi procedere per prescrizione, era giunto fino al punto di mettere in discussione il valore stesso delle sentenze emanate dalla Camera della Corte europea. In vero, fin da subito, la migliore dottrina aveva rilevato l’esistenza, in tale discussa pronuncia europea, di una evidente “interpolazione” [23] sul tessuto giurisprudenziale europeo, in punto di «identificazione tra accertamento di responsabilità e pronuncia di condanna ai fini della integrazione del [continua ..]
(di Antonino Pulvirenti) La decisione in commento, nel chiarire che la legittima applicazione di una pena sostanzialmente intesa richiede non già una sentenza “formale” di condanna, bensì un provvedimento giurisdizionale accertativo, in concreto, della penale responsabilità, pone talune questioni giuridiche di matrice processuale. Anzitutto, l’Autore, muovendo dalla non compiutezza delle argomentazioni svolte dalla Grande Camera, analizza le possibili ricadute sulla normativa interna in merito al minimum probatorio e alle regole di giudizio richiesti per la suddetta pronuncia. Successivamente, l’attenzione ricade sull’affermazione, da parte dei giudici europei, della incompatibilità con la presunzione d’innocenza dell’accertamento incidentale di colpevolezza compiuto dalla Corte di cassazione. Frizione quest’ultima, che derivante dall’assenza nel giudizio di legittimità di pieni poteri di accertamento, sollecita la ricerca di soluzioni idonee a garantire l’adeguamento della disciplina nazionale al dictum della Grande Camera. The decision in comment, in clarifying that the legitimate application of a penalty substantially understood requires not a “formal” judgment of conviction, but a judicial review, specifically, of the criminal liability, poses certain legal issues of procedural origin. First of all, the Author, moving from the non-completeness of the arguments made by the Grand Chamber, analyzes the possible effects on the internal regulations regarding the minimum evidence and the rules of judgment required for the aforementioned pronouncement. Subsequently, the attention debates about the affirmation, by the European courts, of the incompatibility with the presumption of innocence of the incidental assessment of guilt made by the Court of Cassation. This last one, which derives from the absence of full assessment powers in the judgment of legitimacy, solicites the search for suitable solutions to guarantee the adaptation of the national regulations to the dictum of the Grand Chamber.
La Corte europea, così come in un recente passato aveva elaborato un «concetto antiformalistico» di materia penale [35], rinvenendo la natura di pena nella confisca applicabile in conseguenza del reato di lottizzazione abusiva [36], adesso, muovendosi in linea con una precedente statuizione del nostro Giudice delle leggi [37], ha aderito a un concetto, altrettanto informale, di «sentenza di condanna». O, meglio, di quel provvedimento giudiziale che, vertendosi per l’appunto in materia penale, è condizione imprescindibile perché si possa applicare a un soggetto una sanzione penale. Muovendo dal presupposto dell’estrema eterogeneità tipologica delle sentenze penali, la Corte di Strasburgo ha sottolineato come quel che rileva non è la formale ascrivibilità della dichiarazione giudiziale al genus “condanna”, bensì il fatto che il provvedimento giurisdizionale, quale che sia la sua denominazione, contenga un concreto accertamento sulla responsabilità, il quale, a sua volta, sia stato effettuato sulla base di un procedimento “equo” [38]. Una tale equiparazione si iscrive perfettamente nell’usuale logica decisoria della Corte europea, volta a tutelare il “nucleo forte” delle guarentigie convenzionali, così che le stesse possano essere protette in modo effettivo e non semplicemente “cartolare” [39]. Proprio per ciò quel che emerge preminentemente, nella decisione in commento, non è tanto l’affermazione secondo cui un accertamento e un procedimento devono necessariamente precedere l’applicazione della pena (sostanzialmente intesa), quanto la specificazione in ordine al contenuto minimo che il primo deve avere e ai parametri minimi che il secondo deve rispettare. Specificazioni minimali che, però, come si dirà successivamente, non si sono poi evolute in elaborazioni concettuali compiute e facilmente intellegibili [40]. Sotto il primo profilo, la decisione, ribadendo la tesi già esposta nella “sentenza Sud Fondi”, puntualizza come il principio di legalità penale esige che l’accertamento presupposto della pena riguardi non soltanto «l’elemento oggettivo del reato», ma anche l’esistenza di un «legame di natura intellettuale» (mental link) tra detto elemento e «la [continua ..]
Un punto, ad esempio, che la decisione accenna ma – per le ragioni sopra dette – non esplica fino in fondo attiene ai profili probatori propri dell’accertamento incidentale sugli elementi oggettivi e soggettivi della lottizzazione abusiva, che il giudice è tenuto a effettuare nel caso in cui, sopravvenuta una causa estintiva di tale reato (prescrizione), debba ugualmente verificare l’applicabilità della confisca. Si muove, correttamente, dallo stretto nesso che sussiste tra il principio sostanziale e quello processuale: l’esigenza di prevedibilità della norma penale, insita nell’art. 7 Cedu, e la conseguente «tutela del diritto di una persona di non essere sottoposta ad una pena senza che la sua responsabilità personale, compreso un nesso di natura intellettuale con il reato, sia stata debitamente accertata» [49], sottintende un legame funzionale con l’art. 6 § 2 della Convenzione, nella parte in cui (implicitamente, ma pacificamente) impone che l’accusato, in quanto presunto innocente, abbia il diritto all’ammissione delle prove finalizzate alla dimostrazione della propria discolpa [50]. Ciò riconosciuto, però, l’argomentare della Corte diviene “torbido”, in ordine sia al riparto dell’onere della prova sia allo standard probatorio che l’affermazione incidentale di colpevolezza deve raggiungere. Quelli che nella lettura unanimemente condivisa dell’art. 27, comma 2, Cost. sono corollari ineliminabili e rafforzativi della presunzione di non colpevolezza, qui sembrano trasformarsi in presidi molto più fluttuanti e manipolabili, quasi a voler giustificare la possibilità che, in nome di essi, la sentenza “sostanziale” di condanna assuma, rispetto alla sentenza “formale” di condanna, un rango qualitativo inferiore [51]. La Grande Camera, infatti, non esclude, anzi ammette espressamente che «the Contracting States may, under certain conditions, penalise a simple or objective fact as such, irrespective of whether it results from criminal intent or from negligence». Il che, dal punto di vista probatorio, si traduce nella possibilità di utilizzare, ai fini dell’affermazione giudiziale di responsabilità penale, delle «presumptions of fact or of law», sebbene – raccomanda la Corte [continua ..]
Considerazioni autonome merita il “caso Gironda”. Come anticipato, il suddetto è il solo ricorrente contro il quale la confisca è stata ordinata all’interno di un procedimento penale. Nei suoi confronti, in particolare, il giudizio di primo grado per il reato di lottizzazione abusiva si concluse con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato più contestuale confisca del terreno e delle opere realizzate; in appello, con la riforma della decisione del Tribunale in sentenza di proscioglimento per insussistenza del fatto e conseguente annullamento della confisca; infine, in Cassazione, con l’ulteriore “riforma” della sentenza, questa volta in peius: annullamento senza rinvio della sentenza di non doversi procedere, declaratoria di prescrizione del reato e applicazione della confisca dei terreni. Qui, pertanto, la causa della violazione della presunzione d’innocenza non risiede nella mancanza di un procedimento né, tantomeno, nel difetto di una sentenza sostanzialmente accertativa della colpevolezza per il reato di lottizzazione abusiva, atteso che una tale verifica risulta essere stata compiuta una prima volta dal Tribunale e una seconda volta dalla Cassazione. Quel che, anche questa volta con una motivazione essenziale, la Corte europea dei diritti dell’uomo censura è la specifica sede processuale in cui il suddetto accertamento è stato effettuato ed è divenuto irrevocabile: «il ricorrente è stato dichiarato sostanzialmente colpevole dalla Corte di cassazione, nonostante il fatto che l’azione penale per il reato in questione fosse prescritta. Questa circostanza ha violato la presunzione di innocenza» [57]. Volendo tentare di comprendere se, al di là dell’applicazione fattane nel caso concreto, il pensiero della Corte contiene anche un’indicazione di carattere generale e, in caso affermativo, se questa è destinata ad avere riflessi sulla vigente disciplina codicistica, appare necessario prendere le mosse dalle specifiche doglianze del ricorrente, così come sintetizzate dalla stessa Corte europea: il «ricorrente fa rilevare che la Corte di cassazione non si è limitata a censurare l’errore di diritto commesso dal giudice di appello», bensì «sostituendosi irritualmente a quest’ultimo (…) ha constatato la presenza di tutti gli [continua ..]
Rimane da chiedersi se il vigente dato codicistico si presti a essere adeguato al suddetto principio per via ermeneutica o se l’allineamento del nostro ordinamento alla sentenza della Grande Camera implichi necessariamente che esso sia modificato per mano legislativa o, in difetto di ciò, espunto con intervento della Corte costituzionale. A prima lettura, nell’art. 620, comma 1, lett. a), c.p.p., è presente un ostacolo letterale, stabilendo, la disposizione citata, che «la corte pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio (…) se il reato è estinto». Il dato codicistico, insomma, non sembra ammettere provvedimenti di natura interlocutoria, prevedendo che, in caso di prescrizione del reato (o di altra causa estintiva), l’epilogo sia pronunciato direttamente nel giudizio di legittimità. L’ostacolo, però, non sembra insormontabile, anche in considerazione del fatto che già in passato la nostra Cassazione, alla ricerca di interpretazioni convenzionalmente orientate, ha “forzato” gli argini letterali dell’ermeneutica e, pur di colmare i vuoti di tutela determinati dalle pronunce della Corte europea senza attendere l’intervento correttivo del legislatore o la scure della Corte costituzionale, è addivenuta a soluzioni fortemente creative [63]. Occorre muovere da un presupposto, vale a dire che l’art. 620, comma 1, lett. a), c.p.p., è disposizione concepita in un contesto codicistico originario al quale è estraneo il binomio estinzione del reato-pena. Essa, quindi, non disciplina il rapporto tra la sentenza sostanziale di condanna e l’applicazione della pena/confisca semplicemente perché, ab origine, non riconosce paternità giuridica alla prima ed esclude che un reato prescritto possa ugualmente condurre a una conseguenza pregiudizievole annoverabile tra le sanzioni penali. Da qui, l’esigenza che, introdotto per via pretoria il suddetto binomio anche nel nostro ordinamento, il tenore della disposizione sia rivisitato, al fine di adattarne, fin dove possibile, il significato alla nuova realtà normativa [64]. In tale direzione, potrebbe trovare spazio una lettura congiunta delle lettere a) e l) dell’art. 620 c.p.p., in virtù della quale il contenuto della seconda non configuri necessariamente una fattispecie processuale autonoma ma abbia, [continua ..]