Nello scenario della sicurezza pubblica, l’esigenza di “razionalizzare” i presidi di polizia ha richiesto l’intervento del legislatore. Un’azione “d’urgenza”, con un approccio poco meditato, dove la novella (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 177) ha assunto dimensioni più late contenendo un comodo escamotage per introdurre, tra le pieghe delle norme di attuazione, una modifica che intacca il processo penale nel tratto investigativo. La disciplina rivela un gap tra l’obiettivo da perseguire (l’ottimizzazione delle Forze dell’ordine) e la tutela dei principi contrapposti (i valori inviolabili dell’individuo, il segreto investigativo e la dispersione delle notizie sull’inchiesta), oltre a manifestare profili d’irragionevolezza che mettono in dubbio la sua legittimità costituzionale.
The new legislation on police crime report Any suspected offence which comes to Criminal Police Officers’ notice shall be reported to the Police Chiefs, in spite of investigation secrecy, inviolable rights of individual and the need to prevent leaking information to occur.
Many concerns, reservations and doubts as to constitutionality of the mechanism introduced by “d.lgs. 177/2016”.
LA NOVITÀ
Nel suo incedere frammentario, è stato rimodulato, tempo addietro, anche il settore delle indagini laddove si descrivono gli obblighi che incombono sulla polizia giudiziaria. Il solito intervento “a macchia di leopardo” sull’impianto d’origine, nemmeno tradotto nel codice di rito e costruito su figure oramai superate; ciò, inevitabilmente, ha prodotto riverberi solo in apparenza settoriali: è stata data forma ad un quadro che contrasta con l’architettura in vigore e solleva pesanti dubbi di aderenza al tessuto sovraordinato. Lo scopo dell’intervento legislativo era quello di ridisegnare la cornice assiologica dell’apparato della sicurezza pubblica, ad oggi poco delimitabile nei suoi contorni e denotato da una sorta di “vischiosità”. Il proliferare di strutture e personale, delinea un panorama confuso in cui, invece di espletarsi un controllo sul territorio per assicurarne la tutela, si soddisfano le esigenze interne dei singoli Corpi in risposta, spesso, alle direttive del potere [1].
La disciplina in esame, oltretutto, è passata sotto silenzio, priva di una visione d’insieme e rinvenibile nei meandri di un provvedimento che, in fondo, si occupa di tutt’altro come si desume dalla rubrica riportata di qui a poco; eppure – non si esagera –, essa potrebbe calpestare gli assetti ordinamentali dello Stato, finendo per privilegiare le ragioni dell’Esecutivo su quelle della Magistratura. Forse, dietro il manifestato intento di “miglioramento” dei ruoli degli operatori si cela (proprio) un congegno per ricondurre, velatamente, la polizia giudiziaria sotto l’ombrello vigile del Governo. Senza tralasciare che il legislatore è incurante degli effetti della riforma sulla strategia investigativa che potrebbe essere fatalmente pregiudicata dal “cambiamento”. Del resto, le metodiche dell’inchiesta sono le “cartine di tornasole” delle modifiche prodotte, nel tempo, sul codice di rito penale: i suoi “pilastri” hanno subito tali varianti da non rendere agevole identificare i ruoli dei protagonisti giudiziari. Ci si riferisce, per tale ultimo profilo, ai nessi gerarchico-strutturale (che legano la polizia giudiziaria all’Esecutivo) e gerarchico-funzionale (che la rapportano al pubblico ministero): è il magistrato che, in virtù degli artt. 109 e 112 Cost. e, quindi, di una relazione esclusiva e permanente, dirige le indagini e dispone direttamente della polizia; pure se questa, dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa [2] in via complementare.
Così, in seno ad una (in apparenza, innocua [3]) pianificazione di rinnovamento amministrativo, il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 177, («Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e [continua..]