Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La perizia tra potere dispositivo delle parti e iniziativa pro­ba­toria del giudice (di Danila Certosino)


Le inarrestabili evoluzioni della scienza hanno condotto, in questi ultimi anni, ad un utilizzo sempre più frequente della prova scientifica all’interno del processo penale. A trovare particolare riscontro è la perizia, prova “tecnica” per eccellenza che il legislatore non ha, tuttavia, sempre accolto con favore. Dopo un iniziale atteggiamento di diffidenza – tipico del previgente sistema processuale – l’istituto ha conosciuto ampia valorizzazione con l’attuale codice di procedura penale, nell’ambito del quale la perizia si colloca come mezzo di prova tipico, affidato, in via predominante, all’iniziativa di parte.

 

 

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The expertise between the party’s device power and the probationary trial of the judge

The unstoppable evolution of science has led, in recent years, to an ever-increasing use of scientific evidence within the criminal process. To find particular feedback is the expertise, the “technical” excellence test that the legislator hasn’t, however, always welcomed. After an initial mistrust attitude – typical of the previous system of proceedings – the institute has been widely valued with the current Criminal Procedure Code, in which the expertise is a typical test medium entrusted, predominantly, to the party iniziative.

EXCURSUS NORMATIVO Nel corso del procedimento penale è sempre più frequente che il giudice e le parti ravvisino la necessità di avvalersi di strumenti tecnico-scientifici e dell’ausilio di esperti in determinati settori, al fine di acquisire dati di cognizione necessari per l’esercizio delle funzioni loro assegnate dal codice di rito [1]. Tali attributi conoscitivi vengono introdotti nel circuito processuale attraverso la perizia e la consulenza tecnica. La perizia rappresenta, in particolare, lo strumento processuale a cui si ricorre quando l’accer­tamento di fatti rilevanti rispetto al thema probandum presuppone conoscenze di natura tecnica, scientifica o artistica che travalicano la conoscenza del giudice [2]; essa costituisce il mezzo allestito dall’ordi­namento «per consentire l’acquisizione di dati conoscitivi e/o valutativi la cui apprensione e interpretazione richiede l’intervento di un soggetto tecnicamente qualificato in settori di competenza extra-giuridica» [3]. Nell’ambito del codice di rito del 1930, di stampo inquisitorio, l’istituto della perizia non godeva del favore del legislatore, che si mostrava piuttosto restio ad ammettere nel processo penale contributi di scienze non giuridiche. Come rilevato, alla base di questo atteggiamento vi era, da un lato, una specie di «diffidenza verso la pretesa delle scienze non “esatte” di fornire spiegazione o giustificazione di fatti costituenti reato» e, dall’altro, il timore che la forza precettiva della norma penale e soprattutto la sua applicazione in concreto potessero «conoscere una grave compromissione» [4]. L’ art. 314 c.p.p. abr., nella sua originaria formulazione [5], prevedeva una mera “facoltà del giudice di procedere a perizia”, pur in presenza della necessità di un’indagine implicante «particolari cognizioni di determinate scienze ed arti» [6]. Il dettato normativo appariva legato ad una visione evidentemente ingenua ed irrealistica, volta ad individuare nel magistrato «una sorta di soggetto onnisciente, non costretto, dunque, ad avvalersi degli apporti specialistici provenienti da altri rami dell’umano sapere» [7]. Tale impostazione è mutata con l’entrata in vigore della legge 18 giugno 1955, n. 517, il cui articolo 15, sostituendo l’indicativo “dispone” al verbo modale “può disporre”, ha assegnato natura doverosa all’accertamento peritale [8]. La formula prescelta è stata voluta dal legislatore del 1955 proprio per ridurre all’apprezzamento dell’esistenza della “necessità” quella “facoltà del giudice di procedere a perizia” che l’art. 314 c.p.p. continuava a menzionare nella rubrica, nonostante [continua..]

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Fascicolo 5 - 2017