Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il patteggiamento: gli obblighi restitutori depotenziano le finalità deflattive (di Francesco Vergine)


Il patteggiamento viene reso sempre meno appetibile dagli interventi legislativi che condizionano l’accesso al rito speciale alle restituzioni integrali, accentuandone ulteriormente la connotazione di condanna. In particolare, il com­ma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. impone all’imputato, che intenda accedere al patteggiamento per i delitti contro la pub­blica amministrazione, la restituzione del prezzo o del profitto del reato. Non si tratta di una riconfigurazione del rito alternativo, ma di una variante rispetto al sistema tradizionale. La condizione di ammissibilità del comma 1-ter, unitamente all’imperfetta scelta lessicale – che aggrava il peso degli obblighi restitutori – contribuisce a mortificare l’appeal del rito e disvela il probabile intento legislativo: impedire forme di premialità per taluni reati, rendendo il percorso più tortuoso, senza incorrere in frizioni costituzionali, possibili nel caso in cui si fosse esclusa dal rito una categoria di delitti.

The plea bargaining: the obligations of refund defuse the purposes of deflation

The plea bargaining is becoming less and less attractive because of the legislative interventions that affect the access to the special procedure, to the full restitution, further increasing the connotation of conviction. In particular, item 1-ter of the article 444 p.p.c. impose to the defendant, who want to ask for the plea agreement if he had done a crime against public administration, the reimbursement of the price or of the profit of this crime. It is not an alternative procedure, but it is a variant of the traditional method. The condition of admissibility of the item 1-ter, together with the imperfect wording choice – that increase the restitutionary obligations – contributes to mortify the appeal of this procedure and reveals the probable legislative intent: that is to prevent forms of rewards for some crimes, making more tortuous the path, without incurring in Constitutional clutches, which can occur if it was excluded from this procedure a category of crime.

SOMMARIO:

Il patteggiamento: gli obblighi restitutori depotenziano le finalità deflattive - La restituzione del profitto o del prezzo del reato come condizione di ammissibilità all’ap­plicazione della pena concordata per i reati contro la Pubblica Amministrazione - I problemi applicativi della norma sull’obbligo di restituzione del profitto - Un rito premiale poco appetibile - NOTE


Il patteggiamento: gli obblighi restitutori depotenziano le finalità deflattive

Nel rito di applicazione della pena concordata, ove le parti decidono di definire il procedimento rinunciando all’accertamento e accordandosi sull’entità della pena, vi è un controllo da parte del giudice che si dipana nella verifica dell’ortodossia dell’accordo, oltre che in quella negativa al fine di scongiurare che esistano elementi probatori idonei ad addivenire ad una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. [1]. Un ulteriore controllo spettante al giudice è quello volto alla verifica che, nel compromesso sulla pena raggiunto tra le parti in ordine ai delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322 c.p., indicati nel comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. [2], si sia dato corso alla “restituzione” integrale del prezzo o del profitto del reato. L’assenza di tale adempimento comporta la dichiarazione di inammissibilità della richiesta, configurando un vero e proprio obbligo restitutorio ex lege per poter accedere al rito pre­miale. La previsione di un accesso al patteggiamento solo a seguito di una «restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato» si inserisce nella linea di tendenza della giustizia riparativa, certamente acutizzata per i reati commessi dai pubblici ufficiali. La restituzione integrale prevista dal citato comma 1-ter deve, infatti, avvenire a cura esclusiva dell’imputato e non può essere sostituita da adempimenti di terzi estranei al reato [3]. Si tratta, dunque, di una di quelle misure che restano nell’alveo di un approccio di rigore al tema del malaffare [4], ancora inidonea, però, a delineare un nuovo patteggiamento, che coinvolga il danneggiato al punto di prevedere il risarcimento del pregiudizio da reato come condicio sine qua non al negozio sulla pena. Diversamente operando si andrebbe disincentivando l’accesso al rito premiale anche per quei reati di minore allarme sociale, elidendo, significativamente, l’effetto deflattivo dell’accordo sulla pena che continua a rappresentare, nelle variegate dinamiche processuali, la più utilizzata “bretella” di decongestione del sistema. Siamo, quindi, al cospetto di una variante rispetto allo schema tradizionale, il quale nega al giudice del patteggiamento la possibilità di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, [continua ..]


La restituzione del profitto o del prezzo del reato come condizione di ammissibilità all’ap­plicazione della pena concordata per i reati contro la Pubblica Amministrazione

La Corte di legittimità si è pronunciata proprio sulla natura del comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. che, con riguardo ad alcuni reati contro la P.A., subordina l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato, affermando la sua natura processuale e non sanzionatoria [8]. Sul punto rileva che, in materia di patteggiamento, l’art. 444, comma 1-ter, c.p.p., per il chiaro riferimento a condotte riparatorie – per un verso volontariamente adottate anche al di fuori di qualsiasi intervento giudiziale prescrittivo e per l’altro temporalmente precedenti la richiesta di applicazione pena – enuncia, in realtà, una condizione meramente processuale di ammissibilità del rito speciale in argomento, e si colloca, conseguentemente, nell’ambito delle norme a natura esclusivamente procedimentale. Nel suo argomentare, la Corte di legittimità ha evidenziato che non si è di fronte ad una disposizione di tipo sanzionatorio, assimilabile alla confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato commesso in danno della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 322-ter c.p. [9], ma ad una condizione di ammissibilità del rito. Il pregio dell’arresto giurisprudenziale richiamato risiede nell’aver svolto alcune considerazioni sistematiche sul rapporto tra la norma sulla confisca e quella che prevede obblighi risarcitori ex lege in caso di patteggiamento per reati contro la P.A., difettando una disciplina espressa di raccordo tra di esse. Invero, secondo la Sesta Sezione, l’adempimento della condizione processuale di ammissibilità al pat­teggiamento dell’integrale restituzione del profitto o prezzo del reato, avrebbe come effetto l’esclu­sione della confisca ex art. 322-ter c.p., che pure la norma prevede anche in caso di patteggiamento, nonché l’esclusione della riparazione pecuniaria prevista (nei soli casi di sentenza di condanna) dall’art. 322-quater c.p. a favore dell’amministrazione di appartenenza [10]. Tale indicazione appare non secondaria, giacché le norme in esame nulla dicono sul tema [11]. Del resto, appare contrario ad una logica di sistema immaginare che, dopo aver restituito integralmente il prezzo o il profitto del reato per poter patteggiare, [continua ..]


I problemi applicativi della norma sull’obbligo di restituzione del profitto

Nella sua applicazione pratica, la norma che ha introdotto gli obblighi risarcitori in capo all’autore del reato contro la pubblica amministrazione il quale chieda di accedere al patteggiamento, pone dei dubbi interpretativi di non poco momento. In effetti, non sempre il profitto del reato è determinato o facilmente determinabile. Si immagini, ad esempio, una ipotesi di peculato d’uso, oppure il caso in cui la remunerazione del pubblico ufficiale imputato venga effettuata mediante utilità differenti dal denaro (prestazioni sessuali, godimento di beni altrui, etc.). In questo senso, il comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. mostra una assenza di duttilità, necessaria per la sua applicazione ai casi concreti che via via si presentino [13]. Invero, neanche si prevede la possibilità di restituzione del profitto per un valore da quantificare nell’ambito dell’accordo tra le parti e da sottoporre ad un controllo del giudice in ordine alla congruità della restituzione. Sicché deve concludersi che, in tutte quelle ipotesi in cui non sia apprezzabile il provento nella sua essenza quantitativa economica, l’imputato non potrà accedere al rito. Detta esclusione, però, cagionata dall’impossibilità di determinare con esattezza il quantum del profitto da restituire (rectius, il suo valore), è totalmente illogica, oltre che in contrasto con l’art 3 Cost. [14]. Solo, infatti, facendo ricorso ad una interpretazione estensiva che, quindi, consenta la restituzione anche per equivalente, si potrebbe superare l’impasse. Tanto più che, paradossalmente, potrebbero verificarsi dei casi in cui una condotta (ad esempio, il peculato d’uso) di minore gravità non consenta l’ac­cesso al rito, a dispetto di altro delitto che, pur ben più grave ma avente l’indicazione del profitto, permetterebbe la soluzione patteggiata. Ed ancora, in relazione al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità – reato che tutela l’imparzialità e il buon andamento – non può (sempre) individuarsi un danno patrimoniale diretto alla pubblica amministrazione; come anche per la concussione, ove il reo percepisce utilità da un terzo, sfruttando la propria qualità di pubblico ufficiale [15]. Da tanto discenderebbe che l’imputato che acceda al [continua ..]


Un rito premiale poco appetibile

Nonostante in relazione al patteggiamento, e più in generale nei riti premiali, in considerazione della loro finalità deflattiva, fossero state riposte molte delle speranze di successo della riforma del 1988, detta “scommessa” [21] parrebbe persa in relazione agli obblighi restitutori previsti dal comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. Appare, infatti, consistente l’erosione della premialità nell’ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione che rende poco attraente la opzione del patteggiamento [22]. Lo scarso appeal acquisito dal rito – nei reati contro la pubblica amministrazione – sembrerebbe non solo previsto dal legislatore del 2015 ma probabilmente voluto. L’aver sensibilmente aggravato le condizioni ed i contenuti dell’accordo denota l’intenzione, agli effetti pratici, di sottrarre quei particolari delitti al rito premiale. Solo che, per evitare possibili problematiche di compatibilità costituzionale, non si è potuto intervenire escludendo espressamente dal novero dei reati “patteggiabili” anche quelli di cui al comma 1-ter dell’art. 444 c.p.p. Si è fatto ricorso ad un marcato appesantimento dei contenuti per giungere al medesimo risultato: i reati contro la pubblica amministrazione non devono godere di regimi premiali. Del resto, l’eventualità di estendere l’adempimento risarcitorio o restitutorio anche per gli altri reati sembra lontana dalla eziologia del rito deflattivo: nato come mezzo per favorire la diminuzione del carico giudiziario, oggi il patteggiamento rappresenta un rimedio importante, così ponendosi al legislatore il problema se mantenere gli attuali requisiti di accesso al rito e i vantaggi che ne derivano o se, invece, individuare nuovi e più stringenti elementi costitutivi dell’accordo sulla pena, con il pericolo, però, di disincentivare le iniziative difensive volte a definire anticipatamente il giudizio secondo gli artt. 444 ss. c.p.p. Allo stato attuale, l’obbligo per l’imputato di “restituire” prima di sottoscrivere l’accordo con il pubblico ministero è previsto solo per i reati richiamati nel comma 1-ter. Tale norma appare, però, funzionale a sopire le istanze di preoccupazione della pubblica opinione, di massima severità nei confronti degli autori di reati contro la P.A., [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019