NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUTA DEL FATTO (D.L. 16 MARZO 2015, N. 28)
Con il d.l. 28/2015 (in G.U. del 18 marzo 2015 vigente dal 2 aprile 2015) recante Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lett. m), della l. 28 aprile 2014, n. 67 è stata data ulteriore attuazione alla parte della delega contenuta nella l. n. 67/2014 che, avendo il doppio fine di deflazionare il contenzioso e ridurre l’ambito d’intervento della sanzione penale, ha previsto quale causa generale di non punibilità dei reati (contravvenzioni o delitti) la particolare tenuità del fatto.
Più precisamente, la causa di non punibilità ricorre «quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, comma 1, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale» (art. 1, comma 2, che ha introdotto nel codice penale l’art. 131-bis).
La novella interviene sul piano del diritto penale sostanziale e su quello del diritto processuale, inserendo le sue previsioni nel rispettivo tessuto dei due codici.
Innanzitutto, in osservanza delle delega, la causa di non punibilità opera ad una doppia condizione.
La prima è che si tratti di reati per i quali è prevista «la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena».
Nel determinare il tetto sanzionatorio si è espunto l’aumento determinato dalle circostanze aggravanti comuni, limitando il computo alle circostanze ad effetto speciale ed a quelle di specie diversa da quelle ordinarie. In tal caso non si terrà conto del giudizio di bilanciamento ai sensi dell’art. 69 c.p.
Questa previsione opera anche quando la legge preveda la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
Per ragioni di continenza logica non dovrebbe potersi dubitare che la disposizione si applichi anche alle ipotesi di delitto tentato (sebbene non espressamente richiamate). Al di là dell’imprecisione revisionale, un opposto orientamento finirebbe per condurre all’assurdo esito di punire – alle condizioni poste dall’art. 131-bis c.p. – le condotte di reato arrestatesi a livello di tentativo e di mandare prosciolto chi, invece, le abbia spinte fino alla consumazione.
La seconda condizione è, invece, che l’autore non abbia «agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o (abbia: n.d.r.) adoperato sevizie o, ancora, (abbia: ndr) profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono [continua..]