CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 1 DICEMBRE 2014, N. 213 – PRES. NAPOLITANO; REL. FRIGO
È costituzionalmente illegittimo, ex artt. 3 e 24 comma 2 Cost., l’art. 516 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale.
>< [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 13 novembre 2013, la Corte d’appello di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di chiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale. La Corte rimettente, investita dell’appello avverso una sentenza del Tribunale di Brindisi, riferisce che i due imputati appellanti erano stati tratti originariamente a giudizio per rispondere di tentata estorsione aggravata continuata, in concorso tra loro e di altro coimputato. Nel corso del giudizio di primo grado, il pubblico ministero aveva modificato l’imputazione ai sensi dell’art. 516 c.p.p., contestando – limitatamente ad una delle condotte intimidatorie per le quali si procedeva – la forma consumata, anziché quella tentata del delitto di estorsione: ciò, sulla base delle dichiarazioni rese in dibattimento dal coimputato, stando alle quali l’offeso avrebbe nell’occasione ceduto alle pressioni, versando agli imputati una somma di denaro. A seguito della modifica, lo stesso pubblico ministero aveva chiesto l’ammissione di una nuova prova, rappresentata dall’esame di un collaboratore di giustizia, mentre i difensori avevano chiesto ed ottenuto la concessione di un termine a difesa. Alla successiva udienza, i difensori di tutti gli imputati avevano chiesto che il processo fosse definito con giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 516 c.p.p., interpretato alla luce della «lettura combinata» delle sentenze della Corte costituzionale n. 333/2009 e n. 237/2012. In subordine, ove tale interpretazione non fosse ritenuta praticabile, avevano eccepito l’illegittimità costituzionale del citato articolo per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Tanto la richiesta di rito alternativo che l’eccezione di illegittimità costituzionale erano state disattese dal Tribunale, che aveva quindi condannato il primo degli attuali appellanti alla pena di cinque anni di reclusione ed euro 2.500 di multa, ritenendolo responsabile di uno solo degli episodi di estorsione tentata; il secondo alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione ed euro 3.000 di multa, dichiarandolo colpevole di tutti i fatti oggetto di giudizio, compreso quello di estorsione consumata. Nel giudizio di appello, i difensori degli imputati avevano riproposto l’eccezione. Ciò premesso, la Corte leccese rileva che la fattispecie oggetto del giudizio a quo resta estranea alle dichiarazioni di illegittimità costituzionale di cui alle citate sentenze n. 333/2009 e n. [continua..]