CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 15 NOVEMBRE 2017, N. 239 – PRES. GROSSI; RED. LATTANZI
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 360 c.p.p., ove non prevede che le garanzie difensive previste da detta norma riguardano anche le attività di individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA, sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione. Il solo fatto che un atto d’indagine concerna rilievi o prelevamenti di reperti utili per la ricerca del DNA non ne modifica la natura e non ne giustifica, di per sé, la sottoposizione ad un regime complesso come quello previsto dall’art. 360 c.p.p.
> < [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d’assise d’appello di Roma, con ordinanza del 25 ottobre 2016 (r.o. n. 16 del 2017), ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 360 del codice di procedura penale, «ove non prevede che le garanzie difensive previste da detta norma riguardano anche le attività di individuazione e prelievo di reperti utili per la ricerca del DNA». Il giudice a quo premette di essere investito del giudizio di rinvio in seguito alla pronuncia della Corte di cassazione che, su impugnazione del Procuratore generale, aveva annullato la sentenza della Corte d’assise d’appello di Roma del 21 maggio 2013, per l’avvenuta derubricazione in concorso anomalo, ai sensi dell’art. 116 del codice penale, dell’originaria imputazione di omicidio volontario. Il collegio rimettente ricorda che l’imputato, per il reato di omicidio aggravato, ai sensi degli artt. «61 nn. 2 e 5, 575, 576 n. 1, c.p.», e per quello di tentata rapina aggravata, ai sensi degli artt. «81, 56 – 628 commi 1 e 3 nn. 1 e 3-bis, 61 n. 5 c.p.», era stato condannato alla pena di 22 anni di reclusione e che la decisione era stata riformata dalla Corte d’assise d’appello di Roma, che aveva rideterminato la pena in 12 anni di reclusione. Nell’udienza del 29 maggio 2015, in sede di rinvio, la Corte d’assise d’appello aveva sollevato delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 360 cod. proc. pen. uguali a quelle oggetto del presente giudizio, e questa Corte, con ordinanza n. 118 del 23 marzo 2016, le aveva dichiarate manifestamente inammissibili. Ripreso il giudizio di rinvio, su sollecitazione dell’imputato, la Corte d’assise d’appello ha riproposto le medesime questioni, rilevando che la pronuncia di inammissibilità non era preclusiva, perché era stata determinata da una carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione. Secondo quanto riferisce il collegio rimettente, la sentenza della Corte d’assise d’appello del 21 maggio 2013 aveva posto a base della derubricazione in concorso anomalo dell’originaria contestazione di omicidio volontario «la nullità (con conseguente inutilizzabilità ai fini della decisione) degli atti di ispezione e prelievo eseguiti il 5 maggio 2010 e delle successive analisi che avevano accertato la presenza del DNA della vittima in una traccia di sangue nell’appartamento abitato dall’imputato il giorno del delitto (appartamento sito al piano superiore di quello della vittima), nonché la presenza congiunta del DNA della vittima e di quello dell’imputato nelle tracce di sangue rinvenute sul parapetto della scala che portava dall’appartamento della vittima a quello abitato in quei giorni» [continua..]