Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La legge sui testimoni di giustizia: non più figli di un Dio minore (di Nicola Russo)


La legge n. 6 del 21 febbraio 2018 ha attribuito un’autonoma considerazione alla figura dei testimoni di giustizia, cioè a quelle persone che, per effetto delle dichiarazioni rese in procedimenti penali soprattutto di criminalità organizzata, si trovano esposte ad un serio pericolo. La considerazione, attraverso strumenti concreti, offerta ai diversi ambiti della vita dell’individuo (economico, lavorativo, sociale ecc.) rende questa legge uno strumento efficace non solo per la protezione dei testimoni e del loro nucleo familiare ma anche per la promozione di scelte civiche così importanti per il contrasto al crimine.

The law on the witnesses of justice n. 6 of 2018: no more children of a minor God

The law 11 January 2018, n. 6 gave independent consideration to witnesses of justice, that is to people who, due to the statements in organized crime proceedings, are exposed to serious danger. The consideration, through concrete tools, for the different spheres of an individual’s life (economic, work, social, etc.) makes this law an effective tool not only for the protection of witnesses and their family nucleus but also for promoting civic choices so important for the fight against crime.

SOMMARIO:

Premessa - La struttura della legge - a) Le condizioni soggettive - b) Le condizioni oggettive - (segue:) La fondata attendibilità intrinseca delle dichiarazioni - c) Gli organi del procedimento ed i loro compiti - d) Le misure di protezione - Segue: Le misure di tutela - Segue: Le misure di sostegno economico - Segue: Le misure di reinserimento sociale e lavorativo - Le vicende del procedimento: modifica, proroga e revoca delle misure di protezione - Gli adattamenti della legge processuale conseguenti all’entrata in vigore della legge n. 6 del 2018 - NOTE


Premessa

In data 21 febbraio 2018 è entrata in vigore la legge n. 6, intitolata “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia” (in G.U. del 6 febbraio 2018, n. 30). Dopo una lunga e non semplicissima gestazione, portata a termine in Senato soprattutto grazie al sapiente lavoro di ricucitura compiuto dalla Commissione Parlamentare antimafia tra i disegni pendenti nei due rami del Parlamento, ha trovato approvazione con consensi trasversali questa legge da lungo tempo attesa. Il Legislatore si è fatto carico, finalmente, di dettare una disciplina specifica ed autonoma volta a procedimentalizzare il trattamento di coloro che, estranei alla commissione del reato, ne siano stati vittima o che, pur senza assumere la qualità di persone offese, comunque abbiano fornito un significativo contributo testimoniale e che per questa ragione si trovino esposti ad un rischio particolarmente elevato. Dunque, un deciso passo in avanti rispetto alla scelta compiuta nel 2001 con la legge n. 45 che dedicava un’unica disposizione (l’art. 12, sostanzialmente di rinvio) ai testimoni di giustizia nell’ambito di una previsione generale riferita al sistema di protezione dei collaboratori di giustizia [1]. La disposizione appena richiamata si limitava all’inserimento, nel corpo del decreto legge n. 8 del 1991, degli artt. 16bis e 16ter. Il rilievo di queste due norme si racchiudeva tutto nel fatto di fornire una disciplina definitoria e sintetica della figura di testimone di giustizia e delle misure di sostegno e di protezione allo stesso applicabili. In particolare, si definivano espressamente testimoni di giustizia “coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone”. A questa definizione, ritagliata sulla base dello status processuale del dichiarante, si aggiungeva la condizione che il soggetto non fosse sottoposto a misura di prevenzione o ad un procedimento volto alla sua applicazione. La legge n. 6 del 2018 ha inteso disancorare del tutto la posizione del testimone dallo statuto di tutela del collaboratore di giustizia sulla scorta del rilievo, avanzato soprattutto in sede di relazione della Commissione parlamentare antimafia [2], che la pregressa disciplina finiva per considerare solo determinate [continua ..]


La struttura della legge

a) Le condizioni soggettive

L’art. 2 detta una disciplina definitoria della qualità di testimone di giustizia. Sebbene la disposizione abbia un’architettura a catalogo che farebbe pensare a categorie soggettive concorrenti, in realtà la diversità di contenuto della previsione delle varie lettere (alcune incidenti su profili soggettivi, altre invece su quelli oggettivi) indica che i requisiti devono cumulativamente essere sussistenti ai fini dell’appli­cazione della tutela prevista dalla legge [3]. In base alla disposizione in commento, possono essere sottoposti allo speciale programma di protezione ed assistenza previsto per i testimoni di giustizia le persone offese oppure coloro che, non rivestendo questa qualità, abbiano reso informazioni nel procedimento o testimonianza nel processo. Non basta, però, che il soggetto considerato (vittima o meno) abbia reso delle dichiarazioni, bensì occorre che queste abbiano il carattere di «fondata attendibilità intrinseca» e che siano rilevanti per lo svolgimento delle indagini o per l’accertamento dei fatti in dibattimento. Ciò che però determina l’attivazione del meccanismo di tutela è la circostanza indicata alla lett. e) dell’art. 2: «una situazione di grave, concreto e attuale pericolo, rispetto alla quale risulti l’assoluta inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza». La rilevanza dell’esposizione a rischio deve essere valutata alla stregua di criteri predeterminati sui quali più innanzi ci si soffermerà. Solo ricorrendo queste condizioni positive potrà essere considerata l’applicazione dei meccanismi di protezione e sostegno descritti dalla legge. Sempre l’art. 2 enuclea alcuni requisiti “in negativo”, cioè condizioni che non devono ricorrere. Innanzitutto, il proponendo non deve essere stato condannato per reati non colposi connessi con quelli per cui si procede. Il secondo requisito è descritto con terminologia meno consueta. Si dice, infatti, nel secondo punto della lett. c), che il soggetto non deve aver «rivolto a proprio profitto l’essere venuto in relazione con il contesto delittuoso su cui rende le dichiarazioni». L’espressione utilizzata sembrerebbe aver riguardo a tutte le situazioni di vantaggio [continua ..]


b) Le condizioni oggettive

Sul versante oggettivo è, poi, necessario che il testimone versi in una «situazione di grave, concreto e attuale pericolo, rispetto alla quale risulti l’assoluta inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza». Si tratta, quindi, di situazioni eccezionali che, pur tuttavia, possono prescindere (almeno sul piano della considerazione diretta) dall’eventuale adozione di misure cautelari nei confronti dell’autore o degli autori del reato. Infatti, la disposizione fa riferimento alle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente (quindi, non in esecuzione di un ordine dell’A.G.) dalle autorità di pubblica sicurezza. Tuttavia la concorrenza (eventuale) di misure cautelari potrà essere oggetto di considerazione indiretta al fine di escludere la necessità del ricorso al programma di protezione, tenuto conto che vi è la possibilità di valutare «ogni utile elemento» che, combinato con l’adozione delle ordinarie misure di pubblica sicurezza, sia idoneo a non far considerare queste ultime come del tutto (“assolutamente”) inidonee. Sempre nella lett. e) dell’art. 2 è, però, indicata una serie di parametri (il catalogo è solo esemplificativo) cui può essere agganciato l’apprezzamento sull’inadeguatezza e sul suo carattere assoluto. Si tratta di specificazioni di differente contenuto. Alcune sono di ordine oggettivo (rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, natura del reato e stato e grado del procedimento), altre di carattere soggettivo (caratteristiche di reazione dei singoli o dei gruppi criminali oggetto delle dichiarazioni). Dunque, è la combinazione dei requisiti e condizioni indicati nell’art. 2 a descrivere lo status del testimone di giustizia ed a influenzarne nel prosieguo le eventuali modifiche (successive rivalutazioni sull’ammissione ai benefici o sulla revoca degli stessi).


(segue:) La fondata attendibilità intrinseca delle dichiarazioni

Appare opportuno un approfondimento sulla nozione utilizzata nella lett. a), dell’art. 2. La previgente disciplina contenuta nella legge del 2001, limitava la caratteristica delle dichiarazioni al requisito dell’attendibilità intrinseca (art. 16-bis, comma 2, d.l. n. 8 del 1991 introdotto dall’art. 12, legge n. 45 del 2001), non richiedendo che esse presentassero necessariamente anche le connotazioni descritte nell’art. 9, comma 3, d.l. n. 8 del 1991 [7] né che concernessero i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero che fossero tra quelli ricompresi nell’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. L’espressione attualmente utilizzata nell’art 2, lett. a) è rafforzativa del requisito dell’attendibilità intrinseca, richiedendo che essa risulti “fondata”. La locuzione “fondata attendibilità intrinseca” è utilizzata dal Legislatore senza distinzioni per la fase processuale in cui le dichiarazioni del testimone di giustizia vengono rese. Una precisazione di fondo va fatta: la legge in commento disciplina un procedimento di natura amministrativa, senza inferenze in termini di utilizzabilità sul piano dell’accertamento della responsabilità penale. È alla luce di questo orizzonte che va, dunque, intesa l’espressione contenuta nella disposizione della lett. a). Iniziamo a compiere una possibile esegesi della norma. L’attendibilità della dichiarazione va, innanzitutto, valutata in sé stessa, senza necessità di ricorrere all’individuazione di elementi esterni di conferma. Questo, ovviamente, non esclude la possibilità di avvalorare la credibilità del testimone verificando la tenuta delle sue dichiarazioni anche alla luce delle altre risultanze (investigative o probatorie, a seconda della fase in cui si operi). Tuttavia questo supporto “esterno” (volutamente non si fa ricorso in questa esposizione all’aggettivo “estrinseco”, normalmente evocativo di altri scenari) non è indispensabile per l’ammissione del soggetto al programma. Certo è, però, che deve trattarsi di propalazioni convincenti. L’attendibilità deve essere, infatti, “fondata” (cioè basata su una validazione) e le [continua ..]


c) Gli organi del procedimento ed i loro compiti

Occorre, poi, chiedersi a chi spetti effettuare questa valutazione sull’apporto dichiarativo del proponendo. Poiché, come si è detto, si tratta di un procedimento di natura amministrativa (sia pur originato dalla circostanza che le dichiarazioni vengono rese nell’ambito di un procedimento penale) la valutazione è necessariamente rimessa agli organi che intervengono nel suo ambito. In questo contesto i due termini di riferimento sono: l’autorità proponente e la commissione centrale. La prima è individuata nell’art. 10 della legge in commento attraverso il rinvio compiuto all’art 11, d.l. n. 8 del 15 gennaio del 1991, convertito nella legge n. 82 del 15 marzo 1991 [9]. Quest’ultima disciplina l’analoga procedura di ammissione al programma di protezione e sostegno per i collaboratori di giustizia. Dunque, organo proponente (in via ordinaria) è il «procuratore della Repubblica il cui ufficio procede o ha proceduto sui fatti indicati nelle dichiarazioni». Il riferimento in parola consente ancor più di avvalorare la tesi secondo cui il ricorso al programma di protezione sia attivabile anche per fronteggiare un pericolo non discendente necessariamente da reati di criminalità organizzata di stampo mafioso. Laddove, poi, si tratti di delitti di questa specifica tipologia, la proposta dovrà provenire dal Procuratore della Repubblica del distretto oppure, ove questo abbia conferito una delega ad altro magistrato per i reati di competenza distrettuale, la proposta dovrà essere formulata da quest’ultimo. Un’ulteriore ipotesi riguarda i casi di reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale per i quali più Procure distrettuali procedano ad indagini collegate. In tal caso, la richiesta sarà formulata dal Procuratore della Repubblica di uno di questi uffici, d’intesa con gli altri, e dovrà essere comunicata al Procuratore nazionale antimafia, cui spetta pure la risoluzione di eventuali conflitti al riguardo. Infine, la proposta può essere formulata anche dal Capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza previa acquisizione del parere del procuratore della Repubblica che, se ne ricorrono le condizioni, è formulato d’intesa con le modalità appena sopra descritte. Così individuato il soggetto proponente, occorre [continua ..]


d) Le misure di protezione

L’art. 3 della legge in commento descrive le tipologie di misure di protezione, distinguendole in a) misure di tutela, b) misure di sostegno economico, c) misure di reinserimento sociale e lavorativo. La scelta deve essere, ovviamente, orientata non secondo categorie generali ma in base alla specifica situazione ed al grado di rischio. In linea di massima, deve essere evitata qualsiasi limitazione nel godimento dei diritti se non in maniera del tutto contingente e per ragioni di tutela dell’incolumità personale. L’obiettivo fondamentale da perseguire nella selezione delle misure di protezione è quello di garantire la permanenza del testimone nel luogo di origine e la prosecuzione delle attività dallo stesso ivi svolte. Dunque, in primo luogo, vuole evitarsi che l’esigenza di protezione – ove non sia assolutamente necessario – si trasformi in una “condanna” del soggetto e dei suoi familiari allo sradicamento dalla realtà sociale in cui sono inseriti e nel quale hanno il proprio centro d’interessi affettivi e professionali. È lo stesso art. 4, al comma 2, a precisare che «le misure del trasferimento nella località protetta, dell’uso di documenti di copertura e del cambiamento di generalità sono adottate eccezionalmente, quando le altre forme di tutela risultano assolutamente inadeguate rispetto alla gravità e all’attualità del pericolo, e devono comunque tendere a riprodurre le precedenti condizioni di vita, tenuto conto delle valutazioni espresse dalle competenti autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza». In ogni caso, va assicurata al testimone una esistenza dignitosa. Si tratta di una presa di posizione impegnativa e coraggiosa da parte del Legislatore che punta a dare un segnale che va ben oltre il fine della tutela del testimone. Quest’ultimo deve essere difeso dallo Stato nel luogo in cui vive. In questo modo si punta a dare a tutta la comunità circostante il segnale della vicinanza e della presenza delle Istituzioni nel territorio e a spingere altri individui a seguire l’esem­pio civico del testimone di giustizia. Le speciali misure di protezione, ai sensi dell’art. 8, sono soggette ad un termine massimo di durata di sei anni. Il termine è fissato dalla Commissione centrale cui spetta, però, procedere a verifiche periodiche sulla gravità e [continua ..]


Segue: Le misure di tutela

L’art. 5 elenca le misure denominate “di tutela”, racchiudendo in un’unica disposizione – rispetto alla differente scelta del legislatore del 1991 – quelle destinate ad operare nel luogo di residenza del testimone e quelle previste in caso di suo trasferimento in località protetta. L’elenco è organizzato secondo un ordine di gravità ed attualità della situazione di pericolo da fronteggiare; tuttavia si tratta di misure che possono operare anche cumulativamente. Il catalogo delle misure si conclude con una previsione di tipo “aperto” che contempla «ogni altra misura straordinaria, anche di carattere economico» che sia eventualmente necessaria. Ovviamente, un siffatto intervento non tipizzato deve rispettare le direttive impartite dal Capo della Polizia. Le misure tipiche previste sono: a) la predisposizione di misure di vigilanza e protezione; b) la predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per le aziende di pertinenza dei protetti[11]; c) l’adozione delle misure necessarie per gli spostamenti nello stesso comune e in comuni diversi da quello di residenza; d) il trasferimento in luoghi protetti; e) speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico; f) l’utilizzazione di documenti di copertura; g) il cambiamento delle generalità ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, autorizzato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, garantendone la riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione. Ai sensi di quanto previsto dall’art. 8 della legge in commento, fermo restando il termine massimo stabilito, le misure di tutela devono essere mantenute finché il pericolo per il testimone risulti grave, concreto ed attuale, pur essendo previsto in via generale che esse vadano gradualmente affievolite ove possibile.


Segue: Le misure di sostegno economico

Più articolato è sicuramente l’iter di applicazione delle misure di sostegno economico descritte dal­l’art. 6 della legge. Esse sono riconosciute al testimone di giustizia ed agli altri protetti. A differenza di quanto era previsto dall’art. 16-ter, d.l. n. 8 del 1991, le misure di sostegno economico sono adottate anche nei casi in cui il testimone o il beneficiato non sia costretto a trasferirsi dal luogo di residenza [12]. Un deciso superamento di prospettiva ha rappresentato la previsione secondo cui la condizione economica da assicurare al testimone di giustizia deve essere equivalente a quella preesistente. In precedenza, si faceva riferimento al diverso parametro dell’assicurazione di un tenore di vita non inferiore a quello antecedente alle dichiarazioni. La differenza sostanziale sta nell’abbandono del generico parametro del “tenore di vita” in favore dell’adozione del ben più concreto richiamo alla “condizione economica”. A quali elementi occorre fare riferimento per determinare la condizione economica pregressa, soprattutto nei casi – tutt’altro che infrequenti – in cui il testimone di giustizia svolgeva un’attività lavorativa di tipo imprenditoriale? La risposta è da cercarsi nello stesso testo dell’art. 6 che, ai fini della determinazione dell’assegno periodico (lett. b), fa richiamo alle entrate ed al «godimento di beni pregressi, determinati attraverso il reddito e il patrimonio risultanti all’Agenzia delle entrate per l’ultimo triennio ed escluse le perdite cagionate dai fatti di reato oggetto delle dichiarazioni». Questo sostegno corrisponde, in termini più dettagliati, all’assegno di mantenimento che era già previsto dall’art. 8, comma 5, lett. d), d.m. n. 161 del 2004 per i collaboratori ed i testimoni di giustizia. L’assegno in argomento, secondo quanto previsto dall’art. 7 della legge, può essere – in casi stabiliti – capitalizzato. Più precisi sono anche i criteri di individuazione delle caratteristiche dell’alloggio che deve essere attribuito in caso di trasferimento in altra località. Esso, infatti, deve rientrare nella medesima categoria catastale della dimora originaria e deve essere idoneo a garantire la sicurezza e la dignità del testimone e degli altri [continua ..]


Segue: Le misure di reinserimento sociale e lavorativo

A completare il quadro degli interventi a sostegno dei testimoni di giustizia e degli altri protetti intervengono le misure – per lo più costruite sull’ipotesi dell’allontanamento dalla residenza originaria – volte a consentire la prosecuzione di un impegno lavorativo (art. 7). Alcune previsioni ribadiscono il quadro di tutele previgente, altre sono di nuova introduzione. Viene, innanzitutto, ribadito il diritto del testimone alla conservazione del proprio posto di lavoro. Laddove ragioni di sicurezza lo richiedano, il soggetto potrà ottenere di essere trasferito presso altra sede o altre amministrazioni. A queste possibilità si è aggiunta, se queste non sono idonee a garantire la sicurezza del testimone, di ottenere l’attribuzione di un nuovo posto di lavoro, anche temporaneo, con mansioni e posizione equivalenti a quelle che il testimone di giustizia (o gli altri protetti) ha perso in conseguenza delle sue dichiarazioni o che non può essere più svolto in ragione delle misure di sicurezza. La legge tiene conto anche dell’eventualità che il testimone svolgesse (o svolga) un’attività imprenditoriale. In tal caso – sia pur con previsione generica – è previsto il sostegno all’attività secondo modalità rimesse alla specifica determinazione in sede di regolamento di attuazione. Nei limiti della loro compatibilità, possono trovare applicazione le disposizioni del codice antimafia relative alle aziende confiscate alla criminalità organizzata. È stata mantenuta ferma nella nuova legge pure la previsione della possibilità, in alternativa alla capitalizzazione dell’assegno di mantenimento, dell’accesso a un programma di assunzioni presso la Pubblica amministrazione con chiamata nominativa e con attribuzione di una qualifica corrispondente ai titoli posseduti, nei limiti dei posti vacanti. Tale diritto è riconosciuto pure ai testimoni di giustizia usciti dal programma di protezione e non più sottoposti alle speciali misure di protezione così come ai testimoni che, prima della riforma attuata con la legge n. 45 del 13 febbraio 2001, erano ammessi alle misure o al programma di protezione in quanto in possesso dei requisiti previsti dalla normativa previgente. Anche il coniuge, figli e fratelli del testimone ammessi al programma di protezione e stabilmente [continua ..]


Le vicende del procedimento: modifica, proroga e revoca delle misure di protezione

La disciplina procedimentale (per ciò che residua rispetto ai profili soggettivi già considerati nei paragrafi precedenti) è introdotta, all’art. 9, mediante il rinvio alle disposizioni degli artt. 10, 11 e 13, commi 1, 2, 3 e 12, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 15 marzo 1991. Come già detto, in via transitoria, fino all’adozione del nuovo regolamento di attuazione di cui all’articolo 26 si applicano, oltre alle norme richiamate dell’appena citato d.l. n. 8 del 1991, le disposizioni dei regolamenti ministeriali attuativi del suo articolo 17-bis (cioè il d.m. n. 161 del 2004 ed il regolamento per l’assunzione dei testimoni di giustizia nella Pubblica Amministrazione, contenuto nel d.m. n. 204 del 2014). Il procedimento si sviluppa attraverso l’adozione di un un piano provvisorio di protezione (nei casi previsti) e di uno definitivo. Tuttavia, l’art. 18 prevede la possibilità – in presenza di una situazione di particolare gravità ed urgenza che non consenta l’adozione di un provvedimento (anche provvisorio) da parte della Commissione – che in attesa di una tale deliberazione trovino applicazione le misure previste dall’art. 13 dall’ar­ticolo 13, comma 1, sesto e settimo periodo, del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8. In altri termini, il rinvio a questa disposizione consente che, su richiesta motivata della competente autorità provinciale di pubblica sicurezza, il Capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza – possa autorizzare detta autorità ad avvalersi degli stanziamenti riservati previsti dall’articolo 17 del medesimo decreto dando indicazioni di contenuti e destinazione dei fondi messi a disposizione. La disciplina del piano provvisorio è interamente racchiusa nella lettera dell’art. 12. Laddove ricorrano ragioni di urgenza e appaiano sussistere le condizioni legittimanti l’adozione del provvedimento, la Commissione dispone – senza formalità e senza indugio – l’adozione di un program­ma provvisorio di protezione che contempli già le misure di tutela personale e che assicuri delle condizioni di vita congrue. Trattandosi di un provvedimento di durata temporanea, il legislatore non si è pre­occupato di assicurare l’attivazione di un sistema di provvidenze [continua ..]


Gli adattamenti della legge processuale conseguenti all’entrata in vigore della legge n. 6 del 2018

La presa d’atto legislativa dell’esigenza di una tutela piena del testimone di giustizia che avesse anche la funzione “promozionale” delle rivelazioni ricostruttive di fatti di reato non poteva non manifestarsi pure in ambito processuale. È, infatti, nel momento dell’intervento nel procedimento penale che la posizione del testimone risulta particolarmente esposta ed è, pertanto, anche in questa sede che occorreva richiamare “in soccorso” quei meccanismi di rassicurazione/protezione della libertà delle dichiarazioni che si presentano sotto forma di cautele rivolte verso il soggetto che le rende. Il primo intervento è stato realizzato mediante l’inserimento di una ipotesi specifica di accesso all’incidente probatorio descritto dall’art. 392, comma 1, lett. d), c.p.p. Accanto ai soggetti “coinvolti nel fatto” ai sensi dell’art. 210 c.p.p. è stata, infatti, inserita anche la figura del testimone di giustizia [13]. Per l’esame del testimone di giustizia, peraltro, si procederà ad incidente probatorio sempre, ciò in quanto non operano le limitazioni descritte per la categoria dei coimputati di reato connesso, cui la disciplina dell’incidente probatorio si applica solo laddove ricorrano le condizioni descritte dalle lett. a) e b), art. 392 del codice di rito [14]. Il secondo intervento non riguarda il “quando” della dichiarazione, bensì il “quomodo”. In tal caso, la norma interessata è stata l’art. 147-bisdelle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale. La disposizione, intitolata «Esame degli operatori sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso», è ora arricchita dalla previsione casistica della lett. a-bis) che si riferisce alle ipotesi in cui «l’esame o altro atto istruttorio è disposto nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio o al programma definitivo per la protezione dei testimoni di giustizia». Dunque, l’audizione dei testimoni di giustizia dovrà avvenire, previa adozione di tutte le cautele volte a rafforzare la tutela della loro incolumità, mediante predisposizione della videoconferenza salvo che il giudice non ritenga assolutamente necessaria la presenza del soggetto in aula. [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2019