Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Le c.d. indagini 'anfibie': linee di fondo sul controverso legame tra attività ispettive e processo penale (di Matteo Rampioni)


Sin dall’esperienza codicistica previgente, il tema relativo all’utilizzabilità degli atti assunti in sede ispettiva e di vigilanza ha determinato la formazione di numerose questioni interpretative di cui oggi, nonostante le numerose pronunce della Corte costituzionale e la coniazione di una normativa ad hoc, ancora si discute.

Amphibious investigations: considerations on the controversial relationship between administrative inspections and criminal trial

Since the experience of pre-existing code, the theme on the usability of the acts drafted during administrative investigations has determined the creation of several interpretive issues that today, altough numerous judgments of the constitutional Court and the creation of an ad hoc legislation, are still discussed

 
SOMMARIO:

Prologo - Evoluzione normativa - Il (dibattuto) significato della formula «indizi di reato» - La convivenza tra le funzioni di polizia amministrativa e di polizia giudiziaria - Dubbi sulla natura del materiale raccolto in sede amministrativa: atto procedimentale o prova precostituita? - Il diverso regime stabilito per le analisi di campioni: una ingiustificata disparità di trattamento - L'impiego processuale (illimitato) della documentazione redatta in sede ispettiva - NOTE


Prologo

È noto come la materia regolata dall’art. 220 disp. att. c.p.p., per un verso, presenti aspetti anfibi, riguardando aree giuridiche differenti (amministrativo e penale), e per altro, nonostante l’apparente chia­rezza della disciplina, rivela notevoli profili di incertezza. Come spesso accade, i settori giuridici regolati da una pluralità di fonti normative, sono equivoci, risultando complicato stabilire quale è il confine che segna il passaggio da un ambito all’altro. Tali criticità si rinvengono, per l’appunto, anche nell’ambito tematico tracciato dall’art. 220 disp. att. c.p.p. che tenta di disciplinare il rapporto tra attività amministrativa di accertamento e procedimento penale. Nell’esperienza originaria del codice Rocco, priva di una normativa specifica al riguardo, l’incertez­za del confine tra attività amministrativa e giudiziaria veniva sfruttata al fine di acquisire, senza alcuna limitazione di efficacia probatoria, le risultanze degli accertamenti svolti in sede extra-penale. Perciò ampi poteri erano conferiti all’organo inquirente che, in sintonia con l’impostazione inquisitoria, risultava il solo soggetto legittimato a stabilire sia il passaggio da un tipo di accertamento all’altro, sia il momento applicativo delle garanzie difensive. Di qui la prassi giudiziaria diffusa all’epoca, di svolgere per le cd. materie di confine, quand’anche avessero assunto connotati di tipo penale, l’indagine nella sola preistruzione (o istruzione preliminare) la quale, esorbitando dal procedimento penale, non prevedeva l’applicazione di alcuna tutela partecipativa dell’incolpato. Con l’entrata in vigore della Costituzione e, dunque, con la cristallizzazione dell’art. 24, comma 2, che sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa, si rese necessario un radicale ripensamento della materia al fine di adeguarne la disciplina ai principi informatori dettati dalla Carta fondamentale. A partire da allora si sono alternate differenti prospettive, dapprima grazie ai numerosi spunti offerti dai giudici della Consulta [1], poi anche in forza di alcuni interventi legislativi [2]; tuttavia, solo con la promulgazione del codice attuale si affrontano mediante una previsione ad hoc – appunto, l’art. 220 disp. att. c.p.p. – le problematiche insorte fino a quel [continua ..]


Evoluzione normativa

Come anticipato già, il codice Rocco nella sua formulazione originaria non contemplava una norma specifica in materia di attività ispettiva e di vigilanza; le ragioni di tale lacuna vanno ricondotte essenzialmente alla natura inquisitoria del codice previgente che, fondandosi sul cd. principio di autorità [4], soprattutto in fase d’indagine, da un lato, concedeva all’organo inquirente poteri pressoché illimitati; dall’altro, non era prevista alcuna garanzia alla difesa. Gli accertamenti di natura ispettiva si eseguivano nella fase cd. istruttoria (sede preposta all’assun­zione delle prove e volta alla verifica relativa alla necessità di disporre il rinvio a giudizio), più precisamente, nella preistruzione [5]. La preistruzione, rubricata dal libro II del codice «atti preliminari all’istruzione», trovava il suo nucleo fondamentale negli artt. 219, 231, 232 e 234 c.p.p. abr.; scopo della fase era quello di ricevere immediate informazioni volte a dare una prima configurazione alla notizia di reato e, dunque, a stabilire se si potesse proseguire con il giudizio oppure si dovesse optare per l’archiviazione [6]. Il codice Rocco non prevedeva – diversamente dal precedente codice del 1913 [7] agli artt. 162 ss. – alcuna garanzia difensiva optando per un sistema votato alla totale segretezza delle risultanze processuali [8]. In tema di garanzie difensive la “svolta” è segnata dall’entrata in vigore della Costituzione. L’even­to, invero, rappresenta uno dei momenti in cui con maggiore consapevolezza e determinazione si sono concretate le esigenze di democrazia e di tutela della persona [9]. Tra i numerosi postulati sanciti nella Carta fondamentale rileva (ai fini del tema oggetto di trattazione) l’introduzione dell’art. 24, comma 2, Cost. I presupposti storici e la ratio della norma emergono con chiarezza dagli atti dell’Assemblea Costituente, nei quali si affermava, non soltanto che il principio «segnava una precisa direttiva al legislatore», garantendo «in termini lapidari e perentori la presenza e l’esperimento attivo» del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo; ma che essa recava in sé come ulteriore intento quello di cancellare gli abusi, le incertezze e le deficienze, che nel passato regime lo [continua ..]


Il (dibattuto) significato della formula «indizi di reato»

Si è scritto che «pur nell’incertezza che la caratterizza sotto molteplici aspetti, la figura degli indizi nel processo penale non assume una connotazione statica, ma si modella diversamente a seconda del progredire del procedimento ed in funzione dei provvedimenti da adottare [36]». Talvolta, infatti, l’in­ferenza presuntiva che caratterizza l’indizio può integrare una prova critica (prova indiziaria) [37], la quale, come è noto, si distingue da quella cd. “diretta” o “rappresentativa” sulla base del diverso rapporto tra elemento probatorio e relativo risultato (thema probandum) [38]; altre volte, invece, può presentare in maniera velata alcuni degli elementi costitutivi di una notitia criminis. Solo nel primo caso è richiesto che gli indizi siano gravi, precisi, concordanti (art. 192 c.p.p.), nel secondo, invece, (gli indizi) devono essere presi in considerazione nel momento della loro insorgenza. Si tratta, in sostanza, di indizi “semplici”. A quest’ultima categoria è, per l’appunto, ispirato l’art. 220 disp. att. c.p.p. Il verbo «emergere» utilizzato dall’art. 220 disp. att. c.p.p. indica, già di per se, che l’indizio non dev’essere formato nella sua totalità, ma è sufficiente che si trovi in uno stato, per così dire, “embrionale”; sarà (necessariamente) l’operatore a valutare caso per caso il momento della sua insorgenza [39]. In letteratura, numerosi sono i significati attribuiti al concetto di indizio di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p. Alcuni affermano che esso si profila allorché si evidenzi una sufficiente specificazione sia del fatto che del soggetto cui il fatto medesimo è attribuibile [40]; altri sostengono che la previsione mutui il suo contenuto dall’art. 55 c.p.p. e che l’indizio rilevante, in tal caso, equivalga all’emergere della notitia criminis, la quale deve essere in qualche modo circostanziata nei suoi essenziali elementi fattuali [41]; altri ancora, ritengono che l’indizio vada inteso nella sua accezione più ampia e, pertanto, che non è necessario un determinato grado di specificazione, costituendo la disciplina in questione una norma di garanzia [42]; inoltre, si ipotizza che l’indizio di cui [continua ..]


La convivenza tra le funzioni di polizia amministrativa e di polizia giudiziaria

Secondo una classificazione tradizionale, che si fonda su un criterio teleologico o finalistico, nell’am­bito della generale disciplina dell’attività di polizia è possibile distinguere tre distinte funzioni: quella di polizia amministrativa, quella di polizia di sicurezza e quella di polizia giudiziaria [57]. La funzione di polizia amministrativa è costituita dall’insieme di norme che disciplinano l’attività di vigilanza ed osservazione delle condotte, allo scopo di verificare se i loro comportamenti siano o meno rispettosi delle leggi, dei regolamenti e degli atti amministrativi in generale [58]. La funzione di polizia di sicurezza riguarda, invece, le norme che consentono agli organi pubblici di intervenire per impedire o, meglio ancora, per neutralizzare tutti i pericoli che possono danneggiare, anche solo potenzialmente, la collettività. La funzione di polizia giudiziaria, infine, per le finalità che persegue e gli strumenti giuridici di cui l’ordinamento la dota, assume natura e caratteristiche proprie, le quali la fanno partecipe, entro dati limiti, dell’esercizio della funzione giudiziaria [59]. Come accennato, la prima conseguenza che l’art. 220 disp. att. c.p.p. collega all’insorgere degli indizi di reato è la mutazione del tipo di indagine [60]. Sul punto non si dovrebbe profilare alcuna questione interpretativa. Tuttavia, poiché la norma disciplina una materia caratterizzata dalla progressione della sanzione, ed ha ad oggetto materie cd. di “confine” (es., igiene, sanità, previdenza, infortunistica, edilizia, imposte e tributi), accade non di rado, nella prassi, che la polizia amministrativa non si spogli delle indagini, quand’anche assumano connotati penali, svolgendo (di fatto) una funzione giudiziaria secondo regole non giudiziarie. La questione non è nuova, anzi. I primi tentativi risoluzione risalgono alla richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1968 che evidenziò la realtà giuridica e sociale del tempo prendendo atto del fenomeno di complesse e lunghe indagini svolte sotto forma di pre-istruzione (considerata al di fuori del procedimento penale), con l’esito di privare l’indagato delle garanzie difensive. La situazione oggi, non solo, appare immutata, ma è aggravata dal fatto che l’indebito ritardo [continua ..]


Dubbi sulla natura del materiale raccolto in sede amministrativa: atto procedimentale o prova precostituita?

Sia che l’attività d’indagine svolta abbia natura amministrativa oppure rivesta caratteristiche penali, incombe indifferentemente sull’organo procedente l’obbligo di redigere un verbale delle operazioni compiute. A seconda della funzione ricoperta dalla polizia (amministrativa o giudiziaria) muta radicalmente la natura dell’atto e la sorte ad esso riservata nell’ambito giudiziario. La soluzione è abbastanza agevole sia con riferimento agli atti compiuti al di fuori di ogni prospettiva, anche solo ipoteticamente collegabile ad un procedimento penale, sia con riferimento agli accertamenti instauratisi a seguito dell’individuazione di indizi di reato. Nel primo caso, non si pongono particolari problemi [65] nel ricollegare questi atti al genus di cui al­l’art. 234, comma 1, c.p.p.: sono considerati documenti e, dunque, conformemente a quanto stabilito dal codice di rito, possono essere utilizzati anche in dibattimento [66]. Nel secondo caso, invece, le condotte degli organi ispettivi devono essere qualificati come atti di polizia giudiziaria e, quindi, potranno trasmigrare solamente nel fascicolo del pubblico ministero diventando spendibili fuori dal dibattimento o nei giudizi alternativi, salvo l’eventuale loro irripetibilità. Il discorso si complica quando durante l’accertamento ispettivo emerge una posizione border line. Stabilito che il codice non offre spunti utili all’individuazione della natura di questa tipologia di atti, essa deve essere ricostruita dall’interprete sulla base della elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. Parte della letteratura [67], sostenendo che l’art. 238 c.p.p. sia “un punto di riferimento normativo per impostare il discorso sul valore probatorio della documentazione” amministrativa, ipotizza “l’aggan­cio” a tale disciplina; sotto tale profilo, si opera, attraverso una sorta di estensione analogica, una parificazione tra gli atti formati dalla polizia amministrativa e la prova acquisita nelle sedi giudiziarie. L’operazione, tuttavia, non è scevra da rilievi critici. La predetta norma, com’è noto, consente la trasmigrazione degli atti solo in presenza di specifiche condizioni e si riferisce a documentazione relativa a prove formate in sede giurisdizionale; presupposto che non collima con gli atti formati secondo regole di [continua ..]


Il diverso regime stabilito per le analisi di campioni: una ingiustificata disparità di trattamento

Gli artt. 220 disp. att. e 223 c.p.p., seppur apparentemente simili, offrono all’interessato, nell’eserci­zio di indagini amministrative, garanzie estremamente diverse; la più importante delle quali è, certamente, l’obbligo di avvisare anche oralmente l’interessato, del giorno, dell’ora e del luogo dove verranno effettuate le analisi (non revisionabili) di campioni. Anche in tema di analisi di campioni la disciplina è mutata nel corso degli anni. Nell’esperienza codicistica previgente si sono alternati orientamenti giurisprudenziali che, talvolta, escludevano la necessità del preavviso del compimento dell’atto al difensore di fiducia [73]; talaltra, lo consideravano elemento indispensabile ai fini della sua validità [74]. La questione è stata risolta, in un primo momento, dall’intervento delle Sezioni Unite secondo cui le garanzie difensive non trovavano cittadinanza fino a quando non emergevano indizi di reato [75]; successivamente, dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 248 del 1983, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 225 c.p.p. abr. nella parte in cui non prevedeva l’avviso al soggetto interessato del compimento dell’accertamento amministrativo (nel caso di specie si trattava di prelievi ad uno scarico da parte del laboratorio provinciale) [76]. Solo con l’entrata in vigore del codice attuale e, dunque, con l’art. 223 disp. att. c.p.p. si assiste al­l’espressa estensione, per di più anticipata, delle garanzie in sede di analisi di campioni. Il legislatore, in accoglimento della proposta proveniente dalla Commissione interparlamentare [77], anticipò, solo in rapporto a questo specifico settore, alcune garanzie proprie dell’accertamento penale già prima dell’insorgere della notizia di reato, laddove non è prevista una revisione dell’atto (l’avviso alla persona interessata del giorno, dell’ora e del luogo dove verranno effettuate le analisi e la possibilità di avvalersi di persona di fiducia e di un consulente tecnico); tutto ciò sulla base dell’idea secondo cui il terreno delle analisi di campioni fosse quello dove con più evidenza si manifesta la necessità di disporre in sede penale dei verbali degli atti compiuti in fase amministrativa, in quanto si [continua ..]


L'impiego processuale (illimitato) della documentazione redatta in sede ispettiva

Come si è anticipato, l’uso della documentazione redatta in sede ispettiva (i cd. “verbali di constatazione”) dipende dal momento di esercizio della funzione amministrativa: bisogna, cioè, verificare se l’attività sia compiuta prima o dopo l’emersione di indizi di reato. Si è stabilito che se l’accertamento amministrativo è compiuto anteriormente all’insorgenza di indizi non trovano applicazione i congegni normativi processual-penalistici. Pertanto, da un lato, non si applicheranno le garanzie difensive (fatta eccezione per quanto stabilito dall’art. 223, comma 1, disp. att. c.p.p.); dall’altro, i verbali redatti durante l’accertamento avranno natura “documentale” e, come tali, potranno essere sempre acquisiti ed utilizzati in ogni fase giudiziaria ai fini della decisione. Discorso diverso deve essere fatto qualora contestualmente all’attività di accertamento amministrativo emergano indizi di reato. Da questo momento in poi, si produce in capo agli organi pubblici il dovere di condurre le indagini nell’osservanza delle norme del codice di rito, con la naturale conseguenza che tutto ciò che emerge nelle indagini preliminari potrà essere utilizzato, solamente, in specifici casi. Innanzitutto, nelle indagini preliminari ai fini, sia dell’applicazione di misure cautelari, sia della richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. Poi, in sede di udienza preliminare dove, come è noto, il giudice fonda il proprio convincimento sugli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero di cui all’art. 433 c.p.p. Infine, nel giudizio abbreviato [81] che, costituendo un’espressa deroga (ai sensi dell’art. 111, comma 5, Cost.) al principio del contraddittorio nella formazione della prova, consente al giudice, anche in questo caso, di decidere sulla base del materiale raccolto in indagine nel cui ambito rientrano certamente anche i verbali redatti in seguito all’emersione degli indizi. Non è prevista invece, almeno in linea teorica, alcuna utilizzabilità dibattimentale della documentazione sorta in seguito all’emersione di indizi di reato, non solo, per via dell’inutilizzabilità cd. “fisiologica” delle fonti investigative  [82]; ma anche alla luce del fatto che il verbale di constatazione (specie per i reati cd. tributari), [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2019