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Continua il legislatore a “punzecchiare” il libro IV del codice di procedura penale, questa volta con un intervento ad ampio raggio – che coinvolge l’attività del “primo” giudice e quella del tribunale del riesame – finalizzato non tanto a colmare deficienze intrinseche al sistema cautelare prefigurato dal codice bensì a supplire ad una constatata rinuncia alla sua interpretazione, innalzando, ex professo, il livello delle garanzie de libertate.
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The reform of the precautionary measures The lawmaker is carry on reforming the Book IV of the Criminal Procedure Code, this time with a farreaching intervention – involving both the activities of the “first” judge and the activities of the Court of review – aimed not only to bridge deficiencies inherent to the system of the precautionary measures but also to take care of a renounce of its interpretation, raising, ex professo, the level of de libertate guarantee.
RILIEVI INTRODUTTIVI
Il male endemico del sovraffollamento carcerario, che, pur con intensità diverse, si è abbattuto da tempo sul sistema penitenziario italiano, sino a determinare una situazione non più tollerabile – certificata dalla celebre sentenza Torreggiani [1]–, data la sua attitudine a pregiudicare i connotati costituzionalmente inderogabili dell’esecuzione penale e ad incidere, comprimendolo, sul “residuo” irriducibile della libertà personale del detenuto [2], ha messo a dura prova il nostro legislatore, il quale, muovendosi nella assoluta certezza che alla causazione del fenomeno contribuisce in maniera certamente decisiva l’uso “spasmodico” della custodia in carcere, è intervenuto animato dal buon proposito di ridimensionare l’orbita applicativa della cautela più estrema.
E, ancora una volta, deludendo le aspettative dei molti, si è affidato a timide opere di restyling: con ritocchi sparsi qua e la, in poco più di tre anni, con decreti d’urgenza e leggi di conversione, ha inciso, non sempre in maniera armonica e coerente, su singoli aspetti della disciplina contenuta nel libro IV del codice di rito [3], anziché realizzare una più coraggiosa opera di rinnovamento sistemico dell’intero impianto cautelare.
Ultima nata – figlia, come le altre, di una gestazione troppo sbrigativa – è la legge 16 aprile 2015, n. 47 [4], sul cui «pennone campeggia la bandiera della lotta contro gli abusi della prassi» [5].
Sorretta da una matrice “reattiva” rispetto agli orientamenti consolidatisi sulla disciplina vigente nella giurisprudenza di legittimità – troppo spesso incurante del principio secondo cui “il carcere è extrema ratio”, che echeggia dal dettato costituzionale e dalle varie norme disseminate nell’intero impianto codicistico –, la novella si muove lungo quattro direttrici [6]: 1) fissa nuovi “paletti” che limitano il ricorso, in generale, allo strumento cautelare; 2) attribuisce maggiore concretezza ai principi di adeguatezza e gradualità della misura custodiale; 3) rafforza la motivazione del provvedimento restrittivo; 4) incide, in maniera radicale, sul giudizio di riesame, con previsioni che attengono tanto al procedimento quanto ai poteri del tribunale distrettuale.
Riflettere sugli obiettivi perseguiti e sui risultati raggiunti e interrogarsi sui risvolti applicativi della riforma è lo scopo del presente lavoro, elaborato – va precisato – con l’inevitabile sommarietà di una primissima lettura.
L’ART. 274 C.P.P.: CAMBIA NELLA FORMA MA POCO NELLA SOSTANZA
Partiamo dal duplice e “simmetrico” intervento sulle lett. b) e c) dell’art. 274 c.p.p. [7], realizzato attraverso una [continua..]