Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La legge “Pinto”: profili critici tra diritto intertemporale e disciplina a regime dopo la l. n. 134 del 2012 (di Francesco Vitale)


La l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto) ha disciplinato il diritto a chiedere l’equa riparazione per il danno patito a causa dell’irragionevole durata del processo, recependo la giurisprudenza di Strasburgo in materia di equo indennizzo per la violazione dell’art. 6, § 1, Cedu.

Il contributo affronta le incompiutezze della disciplina, ponendo in risalto alcuni rischi di ineffettività.

The Law of 24 March 2001, n. 89 (so-called legge Pinto) set the right to seek fair compensation for the damage suffered because of the unreasonable length of the trial, transposing the Strasbourg jurisprudence on the field of fair compensation for the violation of art. 6 § 1 ECHR.

The article deals with the incompleteness of the discipline, highlighting some risks of ineffectiveness.

L’ATTUALE QUADRO NORMATIVO E IL CONTESTO GIURIDICO EUROPEO Con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 sono state introdotte novità e modifiche normative con riferimento alla disciplina dell’equa riparazione dovuta a fronte della durata irragionevole dei processi. Quest’ultima, racchiusa nella c.d. legge “Pinto” del 24 marzo 2001, n. 89, è di fondamentale importanza; il suo fine è insito nella propria rubrica e si radica in principi cardine dell’ordinamento costituzionale italiano ed europeo: essa, infatti, fu introdotta nel 2001 per dare concreta attuazione alla legge costituzionale n. 2 del 1999 in tema di “Giusto Processo” [1]. Tale principio, si radica nel contenuto dell’art. 6 Cedu (ma anche dell’art. 14, comma 3, lett. c) del Patto internazionale sui diritti civili e politici; dell’art. 47, comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) quale, per l’appunto, regola il c.d. “due process”, e cioè un vero e proprio “manifesto” delle norme di “civiltà processuale” frutto dell’elaborazione di decenni di cultura giuridica europea e anglosassone [2]. In particolare, il paragrafo 1 della disposizione convenzionale stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti». La riforma del 2012 ha investito profondamente la normativa di riferimento, incidendo in modo decisivo sulle concrete possibilità di azionare il ricorso per l’irragionevole durata dei processi tramite l’inserimento di una serie di “disposizioni-filtro” e di barriere evidentemente dirette ad un generale risparmio della spesa pubblica, pur a detrimento delle giuste pretese individuali, considerando i notevoli esborsi connessi all’equo indennizzo per l’irragionevole durata del processo [3]. Se da un lato, quindi, il nuovo regime sembra regolare più analiticamente la procedura per l’otteni­mento dell’equo indennizzo, scansionandone meglio le fasi, dall’altra pone veri e propri “paletti” al ricorso, limiti al riconoscimento del petitum (con l’attribuzione, al giudice, di indici di discrezionalità non previsti dalla legislazione europea), prevedendo gravi conseguenze per il ricorrente nei casi di inammissibilità. Tra le varie novità, infatti, spiccano alcuni interventi, come ad esempio la riformulazione dell’art. 2, comma 2 [4], col quale è stato ex novoimposto al giudice del procedimento di [continua..]

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Fascicolo 1 - 2016