Prendendo le mosse dall’analisi del quadro normativo e dei principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di soglie di punibilità, l’Autore si sofferma sulla natura giuridica di questo problematico istituto, esaminando nel dettaglio le molteplici soluzioni ipotizzabili.
Starting from the analysis of the normative context and the main doctrinal and jurisprudential guidelines in the field of the limits of penal liability, the Author studies the juridical nature of this legal concept, examining in particular the many hypothetical solutions.
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Premessa - Lineamenti della punibilità - Le soglie di punibilità nella giurisprudenza costituzionale - Le soglie tributarie nella giurisprudenza di legittimità - Soglie e processo - NOTE
Studiare la natura giuridica delle soglie di punibilità implica, imprescindibilmente, dover richiamare le acquisizioni concettuali fondamentali in tema di teoria generale del reato (rectius: reato in generale), per poi calarle nello studio della conformazione dei reati muniti di soglia. È necessario indagare se l’elemento soglia costituisca, al pari degli altri elementi consustanziali della fattispecie criminosa, l’”in sé” del reato ovvero una semplice condizione funzionale a scelte di opportunità. Ciò che va investigato è il ruolo della soglia, sia quale elemento (eventuale) di scomposizione analitica all’interno della struttura dell’illecito inteso come proposizione formale, sia come caratteristica peculiare del reato, idonea a plasmare, essa soltanto, l’offensività del medesimo, pur asservita ad una altalenante coerenza della politica criminale [1]. Implicazione di grande impegno teoretico ha la punibilità: il reato è indubbiamente quello tra i fatti giuridici connotato dall’inflizione di una sanzione specifica conseguente all’inosservanza del precetto. Si tratta di pena che si caratterizza per un quid pluris rispetto alle altre tipologie di sanzioni: lo stigma sociale. Deve esser chiaro fin dalla premessa che la soglia non potrà essere semplicisticamente ridotta al rango di elemento condizionante la punibilità. Da qui, allora, la necessità di valutare la percorribilità di una teoria analitica entro la quale sistemare adeguatamente la punibilità, ammesso che essa abbia la dignità di elemento del reato. Due le chiavi di lettura che saranno proposte, ipotizzabili in termini di mutua esclusione: la prima, valorizzando la radice etimologica di ‘soglia’ per descriverla come zona cangiante di status, da poter essere illuminata dal fuoco del dolo ed esposta così alle sirene dell’errore; la seconda, immaginandola come soluzione di continuo che scinde il tutto dell’illecito per isolarne la componente penale (aprendo varchi alla responsabilità oggettiva).
Che la natura della soglia non si lasci docilmente sistemare entro sicuri recinti dogmatici è problematica nota, bisognosa d’esser risolta, soprattutto per le rilevantissime esigenze pratiche che ne seguono. Non può del pari negarsi che l’elemento soglia vale a contrassegnare l’ingresso in un’area che rappresenta l’anticamera dell’esecuzione. Deve allora essere chiaro se la punibilità nel nostro ordinamento ha contorni definibili (individuabili) e come detto fenomeno possa essere spiegato o valorizzato dalle teorie analitiche di concezione del reato. Con particolare riguardo al primo aspetto, il legislatore ha usato i termini riferiti al perfezionamento dell’illecito penale (“è punito”) con una disinvolta polisemia, quasi imprimendo un approccio rinunciatario nei confronti di qualsiasi tentativo definitorio del reato. Del resto, il tema della pena risulta denso di incertezze e criticità, sì che gli spazi scoperti vengono occupati per entropia da speculazioni intellettuali tese a lastricare sul piano dei fondamenti il viatico per la giustificazione delle eccezioni alla punibilità medesima. È proprio su questo territorio di occupazione concettuale, che, non a caso, i tentativi tassonomici restituiscono una deludente incertezza di fondo [2]. Ma l’aver ripreso il legislatore penale la denominazione corrente del fenomeno in oggetto da quella scarna e sparuta dottrina che ne aveva intravisto un elemento da elevare a dignità di studio per le conseguenze dell’assoggettamento ad uno tra i possibili regimi, induce a ricercare se della punibilità possa essere predicata una categoria ordinante, quando non ad accarezzare tentazioni idealistiche di ribattezzare il fenomeno in soglie di “rilevanza penale” [3]. Sul rinnovato interessamento della punibilità può aver plausibilmente giocato la suggestione, esercitata dalla formidabile funzione delle soglie di contrassegnare con precisione l’integrazione del fatto da punire, di ovviare sic et simpliciter alle difficoltà ricostruttivo-probatorie della regiudicanda, salvo resistere all’obiezione critica che il problema, così, è solo trasferito, filtrato dalle regole di altra scienza, sul perito giudiziale e da questi dipanato a favore del giudice. Va sul punto ricordata la riflessione scientifica di aspirazione [continua ..]
Preliminarmente, va detto che l’esame delle pronunce della Consulta non deve indurre a stabilire una sorta di gerarchia di autorevolezza tra supremi organi interpretanti, bensì offrire ulteriori chiavi di lettura che solo è possibile cogliere in un giudizio di costituzionalità, con i suoi stilemi e funzioni peculiari, come lo sono i principi e gli interessi coinvolti. Si rivela necessario non trascurare questo aspetto, anche alla luce della constatazione che raramente il giudizio sulle soglie di punibilità ne ha riguardato in via principale la natura. Cioè a dire che l’oggetto del giudizio difficilmente potrà riguardare direttamente la morfologia della soglia, ma, più plausibilmente, la determinatezza della sua formulazione, la ragionevolezza della sua quantità, se non della sua previsione. In altre parole, la Corte potrà affermare che non è possibile intendere il limite, che il valore espresso dalla soglia è incongruo rispetto ad altre soglie, non già che la fattispecie è illegittima a causa dell’illegittima natura di un suo elemento. Più difficile è immaginare una censura al di fuori del contrasto diretto con principi come il diritto di difesa e di colpevolezza, quest’ultimo fino a quando permangono nell’ordinamento forme di responsabilità oggettiva. Il fondamento dei giudizi sulle soglie è rappresentata dalla sentenza n. 247/1989 [60] nella quale la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla la fondatezza delle censure di insufficiente determinatezza mosse all’espressione “misura rilevante” che qualificava l’alterazione del risultato della dichiarazione nei casi di frode fiscale. La Corte ha riconosciuto fin da subito che tale espressione era in grado di condizionare in concreto la punibilità, e ha affidato a consapevoli considerazioni il giudizio circa la natura delle soglie. La ratio decidendi che ha fatto concludere per la sufficiente determinatezza dell’espressione censurata si è incentrata sull’asserita e indimostrata natura di elemento estraneo al fatto tipico di reato propria della soglia. Il realizzarsi della frode integra, secondo il pensiero della Corte, già il disvalore interiorizzato dalla norma, servendo la soglia, soltanto, a selezionare tra i fatti (tutti meritevoli di pena) quelli (in base ad [continua ..]
La ricerca di indizi utili alla determinazione della natura della soglia tributaria deve essere opportunamente completata da un esame della giurisprudenza della Cassazione, nel tentativo di cogliere, ammesso che vi sia, un orientamento che possa dirsi quantomeno coerente, se non prevalente. A fronte di pronunce di segno altalenante non è ovviamente corretto decretare l’imporsi di un orientamento in base alla frequenza delle decisioni che verso di esso convergono, ma solo intravedere quali siano i fattori (giuridici o extragiuridici) che possono aver determinato un certo tipo di decisione, salvo convenire che anche la Suprema Corte può farsi artefice di una “giurisprudenza degli interessi” e latrice di messaggi di intolleranza dell’evasione fiscale, specie in tempi di crisi come quelli che imperversano ultimamente [67]. Una delle ultime pronunce pubblicate [68] afferma (motivando con la citazione di un precedente [69]) che il superamento delle due soglie previste dalla fattispecie di dichiarazione infedele è condizione obiettiva di punibilità. In altra pronuncia [70] dopo aver chiarito la natura del reato di omesso versamento dell’i.v.a., la Cassazione statuisce che l’evento deve identificarsi nel danno erariale prodotto a seguito del mancato versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione. La componente commissiva della condotta è riconducibile alla presentazione della dichiarazione (altrimenti restando la condotta assorbita dalla fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione). La motivazione richiama l’arresto delle Sezioni Unite [71] che aveva inteso il superamento della soglia di punibilità quale elemento costitutivo del reato [72]. In quella occasione, chiamato a risolvere il contrasto insorto in merito all’applicabilità di una norma penale (l’articolo 10-bis in tema di omesso versamento di ritenute certificate dovute in base alla dichiarazione annuale) la cui condotta si sovrappone a quella integrante singoli illeciti amministrativi (cioè i mancati versamenti mensili delle ritenute effettuate da parte del sostituto d’imposta), il Giudice di legittimità ha affermato che il concorso di norme è apparente e di conseguenza non può ovviarsi all’applicazione congiunta delle due specie di sanzioni. Per motivare l’ontologica [continua ..]
La preferita opzione delle soglie quali elemento costitutivo del reato rende necessario l’approfondimento sulle conseguenze processuali della scelta. E infatti, i tentativi di inquadramento sistematico rischiano di rimanere un puro esercizio di art pour l’art se non calati nell’agone processuale. L’esperienza insegna che le più mirabili suddivisioni – che tanto aiutano la memoria e la chiarezza mentale dei concetti – si dissolvono, spesso, nella disarmante genericità di un capo di imputazione che il pubblico ministero formula in maniera volutamente imprecisa per riservarsi la libertà di sostenere una regiudicanda da plasmare in funzione della più efficace utilizzazione del materiale probatorio a disposizione. Nel caso delle soglie di punibilità, è probabile che la pubblica accusa tenda a far discendere il dolus in re ipsa dalla dimostrazione del mero superamento del valore numerico di soglia, secondo un ragionamento di questo tipo: se il legislatore ha fissato i valori soglia di imposta evasa affinché segnassero il discrimine tra l’amministrativamente illecito e il penalmente rilevante, una volta escluso che la condotta rivelatrice di un ammanco erariale non sia ascrivibile ad una causa diversa dall’evasione di imposta (limitatamente alle fattispecie non costruite su illeciti omissivi propri) sarà agevole poter dimostrare che proprio quell’importo di sensibile quantità che segna l’ingresso nel mondo penale vale per ciò stesso a rappresentare lo scopo della condotta, ossia non versare quanto effettivamente dovuto. L’accertamento del valore limite, a prescindere dalla natura che se ne voglia cogliere, si pone come imprescindibile oggetto di prova. Laddove venga in rilievo la necessità di acquisire valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche (per dirla con l’articolo 220 c.p.p.) il mezzo di prova di elezione sarà certamente la perizia. È questa un’evenienza non infrequente in tema di accertamento dei reati tributari che implica una riliquidazione delle imposte dovute secondo la corretta applicazione delle norme che disciplinano la determinazione del reddito o del volume d’affari. Se, normalmente, il giudice riterrà provata la soglia di punibilità sulla base di elementi documentali (ad esempio, l’esistenza di fatture non [continua ..]