Il dibattito relativo al tema della natura e dei limiti del sindacato del giudice dell’udienza preliminare è ancora aperto. Secondo la sezione V della Suprema Corte, la valutazione rimessa al giudice suddetto investe necessariamente il merito della questione; pertanto, egli è tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti appaiono talmente insignificanti da rendere inutile il vaglio dibattimentale, in quanto non idonei a determinare la condanna dell’imputato.
Uncertainties about the nature of the nonsuit still persist The debate about the nature and the limits of the judge’s discretion in the preliminary hearing is still open. According to the fifth Chamber of the Supreme Court, the assessment entrusted to the above-mentioned judge inevitably gets into the matter itself; therefore, he must enter a nonsuit even when the attached elements appear so insignificant to make useless trial examination, since they are not suitable to implicate the conviction of the accused.
PREMESSA
Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte interviene nuovamente nell’annosa querelle relativa al tema della corretta regola di giudizio cui deve improntarsi l’attività decisionale del giudice dell’udienza preliminare. Nonostante siano trascorsi diversi anni dall’ultimo intervento legislativo modificativo dell’art. 425 c.p.p. – ad opera della l. 16 dicembre 1999, n. 479 – il dibattito circa la natura della sentenza di non luogo a procedere e i limiti del sindacato del giudice dell’udienza preliminare risulta ancora aperto e non sembra volgere al termine.
Due schieramenti giurisprudenziali si contendono la partita. Un primo schieramento sposa un orientamento – che potrebbe definirsi “conservatore” – tendente a preservare la natura originaria della sentenza di non luogo a procedere quale pronuncia di carattere meramente processuale. Un secondo schieramento, invece, ha recentemente proposto un orientamento – che potrebbe definirsi “progressista” – tendente ad ammettere che nell’attività decisionale del g.u.p. possano trovare spazio anche valutazioni di merito, aventi ad oggetto l’essenza degli elementi probatori raccolti dal p.m. e da quest’ultimo proposti a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 c.p.p.
La sentenza in commento cavalca l’onda di quest’ultimo orientamento “progressista”. Essa risulta particolarmente concisa, ma non per questo priva di interessanti riflessioni, che possono, tuttavia, esser pienamente comprese solo se si ha un chiaro quadro delle pregresse vicende, legislative e giurisprudenziali, che hanno riguardato l’art. 425 c.p.p.
LA DECISIONE
La riflessione della Suprema Corte può essere sintetizzata nei termini che seguono [1]. Considerata l’attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p. – risultante dall’intervento del 1999, ad opera della l. 16 dicembre, n. 479 – al giudice dell’udienza preliminare è attribuito il potere/dovere di pronunciare sentenza di non luogo a procedere non solo quando dagli atti forniti dalle parti (p.m. e difensore dell’imputato) emerge una situazione che esclude inequivocabilmente l’esistenza del fatto di reato, ma anche nel caso in cui «gli elementi acquisiti siano talmente poco significativi da rendere inutile il vaglio dibattimentale, perché non idonei a determinare la condanna dell’imputato»; e ciò in quanto al medesimo giudice «è rimessa una valutazione di merito, da condurre nel rispetto della funzione attribuita, pacificamente, dal legislatore all’udienza suddetta: quella di fare da filtro rispetto ad imputazioni “azzardate”, prive dei requisiti minimi richiesti dall’ordinamento per l’instaurazione del processo, il quale rappresenta, esso stesso, una [continua..]