Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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L'inappellabilità della sentenza di patteggiamento applicativa di sanzioni amministrative accessorie (di Giuseppe Della Monica)


Il regime di impugnazione della sentenza di patteggiamento, ulteriormente limitato dalla recente “riforma Orlando”, preclude, di fatto, un controllo effettivo sulle statuizioni collaterali rispetto all’accordo sulla pena. Le sanzioni amministrative accessorie sono, infatti, talvolta applicate e determinate nel quantum dal giudice attraverso l’esercizio di un potere discrezionale oggi non più sindacabile in sede di impugnazione. In funzione dell’esigenza di assicurare un adeguato controllo su tali statuizioni, sarebbe stata opportuna una diversa scelta normativa, introducendo la possibilità di proporre appello avverso la sentenza di patteggiamento, sia pure limitatamente alle sanzioni accessorie applicate con potere discrezionale, e circoscrivendo il successivo ricorso per cassazione ai soli motivi di legittimità, secondo il modello già adottato dal legislatore della riforma per la sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare.

The plea bargain sentence that applies accessory administrative sanctions is not appealable

The system of appeals against the plea bargain sentence, furtherly restricted by the “Orlando” reform, prevents any control on the provisions different from the principal punishment. The accessory administrative penalties («sanzioni amministrative accessorie») are sometimes autonomously applied and established by the judge, who determines discretionally the extent of the sanction, today not anymore to be criticized in front of the appeal judge. To fulfill the necessity of an appropriate control on those provisions it would have been correct a different choice, providing for the possibility of appeal of merit against the plea bargain sentence, even though with limits to accessory administrative penalties discretionally applied, and containing the legality appeal exclusively at law-violation causes, abiding by the example of the no further action sentence («sentenza di non luogo a procedere») delivered at the end of the preliminary hearing.

 
IL REGIME DI IMPUGNABILITÀ DELLA SENTENZA DI APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI La generale inappellabilità della sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è stabilita dall’art. 448 c.p.p. Solo quando il pubblico ministero oppone il suo dissenso alla definizione consensuale del processo e il giudice del dibattimento recupera comunque l’istanza di applicazione della pena formulata dall’im­putato, alla parte pubblica viene riconosciuto il potere di proporre appello, per consentire, eventualmente, di censurare anche l’avvenuta concessione all’imputato della diminuente di cui all’art. 444 c.p.p. Al di là di tale ipotesi, la sentenza che applica la pena concordata dalle parti è impugnabile esclusivamente con ricorso per cassazione. Le ragioni della scelta legislativa vanno chiaramente individuate nella struttura negoziale e nella finalità deflattiva del patteggiamento [1], che è forma di definizione del processo fondata, quando vi è accordo tra le parti, su una valutazione condivisa del fatto contestato, della sua qualificazione giuridica e della sanzione ritenuta rispondente – tenuto conto anche delle eventuali circostanze e della diminuente del rito – all’effettivo grado di offensività della condotta. Il raggiunto accordo tra le parti inevitabilmente limita gli spazi cognitivi e decisori del giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di pena, che non dispone di poteri istruttori e può apprezzare i dati probatori acquisti in atti solo nei limiti dell’evidenza richiesta ai fini del proscioglimento ex art. 129 comma 2, c.p.p. È possibile affermare, quindi, che il giudice investito della richiesta di pena concordata sostanzialmente esprime – sia pure con le dovute differenze – un giudizio assimilabile, per limiti istruttori e cognitivi, a quello di mera legittimità proprio della Corte di cassazione. L’esclusione della facoltà di proporre appello può ritenersi, quindi, in linea con l’evidenziata peculiarità del rito, poiché sarebbe stato illogico affidare il controllo sulla sentenza resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. ad un giudice – come quello di secondo grado – che dispone di maggiori poteri cognitivi rispetto a chi ha emesso la pronuncia impugnata. Tra le innovazioni introdotte di recente dalla legge n. 103 del 2017, nota come “riforma Orlando” [2] , alcune hanno interessato anche il rito dell’applicazione della pena concordata. Il legislatore, su questo fronte, ha operato modifiche volte a ridurre ulteriormente le possibilità di impugnazione della sentenza di patteggiamento [3], prevedendo, da un lato, una più agile procedura di correzione degli errori materiali per rimediare a vizi non essenziali di tale sentenza e circoscrivendo, [continua..]

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