La Corte costituzionale ritorna sul rapporto tra diritto di difesa e modifica dell’imputazione, consentendo all’imputato di accedere al giudizio abbreviato anche a seguito della contestazione in dibattimento del fatto diverso. La sentenza, però, non chiude definitivamente la questione e lascia aperti molti interrogativi difficilmente risolvibili sul piano interpretativo.
Different event and summary trial: towards a new form of rewarding trial? The Constitutional Court expresses itself again on the relationship existing between right to defence and modification of the indictment and it authorizes the defendant to be able to benefit from summary trial also after that a different event has been raised during the hearing. However, the judgment does not clarify the matter once for all and leaves many questions unanswered.
I PRECEDENTI
La Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha ripreso il tema della possibilità di accedere ad un rito premiale in caso di modifica dell’imputazione in dibattimento.
Si tratta di una questione complessa, alla quale la Corte si è sempre avvicinata con estrema prudenza, limitandosi a decidere sul petitum di volta in volta proposto dal giudice rimettente [1]. Il risultato è una serie di interventi additivi ciascuno dei quali presupposto del successivo ma nessuno, di per sé, definitivo [2]. Del resto il nodo problematico comporta una difficile sintesi dei valori costituzionali, compresi tra la possibilità per il pubblico ministero di modificare l’imputazione e le facoltà difensive concesse all’imputato [3].
Il punto di partenza risale ad un impianto normativo piuttosto rigido che, nell’originaria disciplina codicistica, consentiva di emendare l’imputazione ma attribuiva all’imputato il mero diritto di chiedere un termine per ricalibrare la difesa. Anche la possibilità di ottenere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, infatti, era subordinata alla valutazione del giudice ed ai canoni dell’art. 507 c.p.p. [4]. Del tutto prevedibile, allora, che la normativa si sarebbe scontrata con la dinamica dei riti a contenuto premiale, essendo la loro instaurazione vincolata alla perentorietà dei termini introduttivi.
L’impossibilità di accedere al giudizio abbreviato (o al patteggiamento) in caso di modifica dell’imputazione ha, infatti, sin dai primi anni di vigenza del codice, rimesso alla Corte costituzionale numerosi rilievi di illegittimità degli artt. 516 e 517 c.p.p., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. [5]. Le prime pronunce, però, avevano avallato tale normativa, facendo leva sulla preclusione legata al termine [6]. L’imputato, quindi, introdotto il rito ordinario, non aveva più la facoltà di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato [7]. La scelta del processo, infatti, postulava, secondo tale ricostruzione, l’implicita accettazione del rischio che, in corso di giudizio, il pubblico ministero potesse modificare l’imputazione [8].
La giurisprudenza dava particolare enfasi al binomio deflazione-premialità facendo ricadere sull’imputato tutta l’alea della scelta [9]: l’interesse a beneficiare del rito premiale sarebbe stato tutelabile solo se avesse consentito una più rapida definizione del processo. La possibilità di innestare il rito alternativo nel dibattimento sarebbe stato, pertanto, in contrasto con le finalità di economia processuale e, per questo, incompatibile con la ratio della disciplina.
Una prima apertura nella giurisprudenza costituzionale si è avuta con riferimento al [continua..]