Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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'L'eterno ritorno': vacilla l'autonoma valutazione in sede cautelare (di Annalisa Mangiaracina)


Con la l. n. 47/2015, il legislatore ha affermato la necessità che la valutazione sui presupposti fondanti la misura cautelare sia autonoma, al contempo escludendo un potere di integrazione da parte del Tribunale de libertate. Tuttavia, alcune pronunce relative ad ordinanze cumulative manifestano un “ritorno al passato”. Ciò richiede una presa di posizione da parte della Suprema Corte al fine di riaffermare i valori costituzionali sottesi all’autonoma valutazione.

'The eternal return': the autonomous assessment of precautionary measures is wavering

By law no. 47/2015, the legislator has stated that the assessment on conditions of applicability of precautionary measures has to be autonomous, also excluding a power of integration by the judicial review Tribunal. However, some judgments regarding cumulative judicial orders reveal a “return to the past”. This latter requires a clear position by the Supreme Court aimed at reaffirming constitutional values underlying the autonomous assessment.

SOMMARIO:

La trama della motivazione cautelare - L’autonoma valutazione - Autonoma valutazione, provvedimento cautelare cumulativo e graduazione della misura cautelare - La motivazione per relationem - Riflessioni conclusive - NOTE


La trama della motivazione cautelare

La motivazione, intesa come “discorso giustificativo” dei provvedimenti giurisdizionali [1], negli ultimi anni è stata al centro di un rinnovato interesse del legislatore animato dal fine di rendere effettivo il diritto al controllo, tradizionalmente declinato nella duplice dimensione di controllo endoprocessuale ed extraprocessuale. Una parabola iniziata, sul versante cautelare, ad opera dell’art. 9, l. 8 agosto 1995, n. 332 [2], con l’integrazione dell’art. 292 c.p.p. e proseguita, rispetto alle sentenze di merito, con la modifica all’art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p., per mano dell’art. 1, comma 52, della l. 23 giugno 2017, n. 103 [3]. Centrando l’attenzione sulla materia cautelare, il legislatore del 1988, nel quadro di un sistema costituzionale che in virtù del combinato disposto degli artt. 13, comma 2 e 111, comma 6 Cost. pone un obbligo di motivazione “rafforzato” per i provvedimenti che incidono sulla libertà personale, ha costruito un modello “autonomo” di motivazione rispetto a quella dettata per gli altri atti giurisdizionali che, tuttavia, nel corso degli anni, è progressivamente mutato, finendo a tratti per avvicinarsi allo schema della sentenza di merito [4]. L’ordinanza applicativa della misura cautelare dovrà tenere conto, a pena di nullità, anzitutto, dei presupposti stabiliti dagli artt. 273 e 274 c.p.p., secondo una rigida sequenza che non ammette “sovrapposizioni”. Rilevano, in primo luogo, quale condizione dell’intervento coercitivo, gli «indizi che giustificano in concreto la misura disposta», anche in rapporto al grado della loro consistenza, «con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali assumono rilevanza» [5], tenuto conto altresì «del tempo trascorso dalla commissione del reato». Esaurito questo primo vaglio occorrerà poi accertare la sussistenza dei pericula libertatis. Per effetto della l. n. 332 del 1995, con l’aggiunta nell’art. 292 c.p.p. di un nuovo comma c-bis, presidiato anch’esso dalla nullità, rilevabile ex officio, si è poi prescritto al giudice di esporre anche le ragioni per le quali siano stati ritenuti irrilevanti «gli elementi forniti dalla difesa», così recependo un modello [continua ..]


L’autonoma valutazione

In qualsiasi itinerario argomentativo giurisdizionale i due momenti, quello espositivo e valutativo, sono imprescindibili, ma il legislatore del 2015 nel riferire “l’autonomia” alla valutazione del giudice della cautela ha voluto sottolineare come quest’ultima sia l’elemento realmente qualificante [25]. Dietro a quello che potrebbe apparire un mero restyling lessicale [26] vi è un’articolata trama di valori costituzionali che richiedono di essere tutelati, secondo la logica del “minor sacrificio necessario della libertà personale”. Cosicché la motivazione improntata a quel paradigma rappresenta la condizione per l’esercizio della facoltà d’impugnazione dell’imputato e per dare concreta attuazione al diritto di difesa che nella fase cautelare è tutto proiettato ex post. Ed è sulla valenza semantica di questi due termini che occorre anzitutto fermare l’attenzione. La valutazione consiste in «una considerazione critica dei dati disponibili» e in una spiegazione «che procede per gradi e che tra l’altro, riguarda l’indicazione dei fatti che si ricavano dai dati dimostrativi e il perché da certi dati dimostrativi o dalla loro combinazione si trae l’esistenza o la conformazione di certi fatti, il collegamento cronologico, spaziale e logico tra i vari fatti, la complessiva ricostruzione delle condotte, l’enucleazione della valenza giuridica di tali condotte» [27]. In particolare, questa deve avere ad oggetto tutti i presupposti che legittimano l’applicazione della misura: dai gravi indizi, alle esigenze cautelari [28] sino alla giustificazione sull’inadeguatezza di misure meno afflittive di quella applicata. L’au­tonomia rinvia ad un concetto di “relazione” che, nel caso di specie, è costituito dalla domanda cautelare, incipitdel procedimento, della quale sono parte integrante gli atti d’indagine compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, ivi inclusi gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali memorie difensive e deduzioni già depositate a sostegno della richiesta (art. 291, comma 1 c.p.p.) [29]: come si è osservato, da questa e dalle conclusioni in essa contenute il giudice deve dare dimostrazione di essersi [continua ..]


Autonoma valutazione, provvedimento cautelare cumulativo e graduazione della misura cautelare

L’effettività dell’autonoma valutazione dell’ordinanza applicativa sin qui appena tratteggiata rischia di essere messa in crisi laddove ci si soffermi ad analizzare alcune pronunce della Suprema Corte relative alla motivazione dell’ordinanza cautelare, sia personale o reale, che provvede su una richiesta cumulativa, riguardante più posizioni soggettive e/o oggettive. In alcune decisioni i giudici di legittimità hanno affermato che «il parziale diniego opposto dal giudice costituisce di per sé indice di una valutazione critica e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne». Sviluppando questo approccio ne deriva che l’onere motivazionale deve dirsi assolto «quando l’ordinanza, benché redatta con la tecnica del c.d. “copia e incolla” accolga la richiesta del pubblico ministero solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati» [37], in quanto «il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure costituiscono, di per sé, indice di una valutazione critica e non meramente adesiva della richiesta cautelare nell’intero complesso delle sue articolazioni interne» [38]. Allo stesso modo in tema di misure cautelari reali la sussistenza di un apprezzamento indipendente da parte del giudice, rispetto agli atti valutativi espressi dai diversi attori processuali, degli elementi posti a fondamento della richiesta può ritenersi dimostrato anche quando, pur facendo ricorso alla tecnica del copia-incolla, questi abbia solo in parte accolto le richieste dell’accusa (nella specie la richiesta cumulativa di misura era stata rigettata per quella personale e accolta per quella reale), poiché la scelta operata presuppone necessariamente un’analisi critica della domanda cautelare [39]. Siamo al cospetto di un modus argomentandi in chiaro contrasto con la ratio che ha condotto all’inter­vento riformatore e nel considerare le singole posizioni processuali e incolpazioni come legate da una sorta di fungibilità, finisce per ignorare che il nostro sistema è governato dai principi della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.) e della presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.), in forza del quale [continua ..]


La motivazione per relationem

Un interrogativo che si era posto dopo la novella era se l’autonoma valutazione potesse conciliarsi con la motivazione per relationem, spesso considerata come uno strumento irrinunciabile per il giudice della cautela a fronte di richieste basate su una mole considerevole di atti investigativi [48]. In linea generale, la legittimità della motivazione per relationem si fonda sul rispetto di tre parametri elaborati dalla Suprema Corte [49] in una nota pronuncia che, pur non attinente alla materia cautelare, può essere considerata una sorta di statuto generale di questa tecnica redazionale. In particolare, occorre fare riferimento (recettizio o di semplice rinvio) ad un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; dalla motivazione deve potersi evincere che il giudice abbia effettivamente preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la propria decisione; infine, l’atto di riferimento deve essere conosciuto dall’interessato o comunque risultare ostensibile, quanto meno nel momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame. Se questo è l’articolato della motivazione per relationem, appare chiaro, da una lettura testuale, come la novella non avesse come obiettivo la sua messa al bando [50], quanto piuttosto quello di porre degli argini al “vizio” della motivazione per relationem [51], introducendo una sorta di condizione normativa di utilizzo di questa tecnica [52]. Nella sostanza, il provvedimento applicativo sarà valido a condizione che il giudice, nel riportarsi al contenuto di un atto del procedimento o ancora nell’incorporarlo, ne abbia non solo preso cognizione, ma abbia «anche soppesato la coerenza con la decisione assunta» [53]. In questa direzione la giurisprudenza della Suprema Corte successiva alla riforma ne ha riconosciuto la legittimità a condizione che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica [54], dovendo il giudice esplicitare le valutazioni sottese all’adozione della misura e che testimoniano l’esistenza di un vaglio [continua ..]


Riflessioni conclusive

Se, come si è evidenziato [60], il centro dell’iter processuale non è più il giudizio ma la fase delle indagini preliminari, con l’eventuale vicenda cautelare, ecco che la motivazione del provvedimento cautelare, a fronte del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, comma 1, Cost.), richiede un “ritorno” alla garanzia della giurisdizione. Certamente un passo in avanti è stato fatto dal legislatore nel prevedere espressamente che laddove il giudice non giustifichi il provvedimento cautelare ovvero non motivi in modo autonomo rispetto alla richiesta, non potrà più fare affidamento sul potere integrativo del tribunale del riesame: la sua decisione andrà incontro ad un sicuro annullamento. Ciò dovrebbe responsabilizzare i giudici della cautela, il cui provvedimento è immediatamente esecutivo. Tuttavia, come pronosticato in dottrina [61], era evidente che la partita si sarebbe giocata tutta sul significato che la prassi avrebbe attribuito all’autonomia della valutazione, tradotta sì in precetto normativo, ma carente di “indicatori”, per non imbrigliare il giudice. Da questo punto di vista le richiamate decisioni della Suprema Corte in tema di richiesta cumulativa dimostrano come, nel bilanciamento tra annullamento e conferma di un’ordinanza, alla fine abbia prevalso la linea meno rigorosa [62]; in tal modo riproponendo quelle distorsioni applicative che il legislatore del 2015 aveva in animo di contrastare. La questione è molto delicata, perché centro di convergenza di molteplici valori costituzionali. Senza volere spingersi fino al punto di configurare la nullità della motivazione che utilizzi la tecnica per relationem, ancorché rechi l’esplicitazione delle ragioni dell’adesione, sarebbe anzitutto auspicabile un intervento delle Sezioni unite che restituisca alla motivazione – intesa come “garanzia delle garanzie” – e, soprattutto, al carattere dell’autonomia, la sua ineludibile funzione di controllo in un sistema, quello cautelare, la cui tenuta costituzionale richiede una rigida osservanza dei precetti [63]. Rimangono nell’ombra, in attesa di un più consistente impegno da parte del legislatore, i temi della collegialità del giudice cautelare e del contraddittorio anticipato [64].


NOTE
Fascicolo 2 - 2019