Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La disciplina del ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento (di Gian Marco Baccari - Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Siena)


Con la l. n. 103 del 2017 il Parlamento ha fortemente ridotto la possibilità di impugnare la sentenza di patteggiamento dinanzi alla corte di cassazione, accogliendo in parte le sollecitazioni provenienti dalla dottrina e i principali indirizzi giurisprudenziali. Sulla riuscita della riforma, tuttavia, pesano forti dubbi circa la sua legittimità costituzionale.

The regulation of appealing against the judgment of plea bargaining by the Supreme Court after

By Law n. 103/2017 the Parliament has lowered the chances of appealing against the judgment of plea bargaining by the Supreme Court, partially considering the academics' and the jurisprudence's solicitations. However there are significant doubts in terms of constitutionality about the success of the reformation.

 
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Accantonata la più radicale prospettiva di una riscrittura ad hoc della normativa costituzionale (art. 111 Cost., comma 7) [1], come pure l'idea di stravolgere la disciplina del “patteggiamento” [2], il Parlamento con la legge n. 103 del 2017, nel quadro di una serie di misure di segno efficientista, ha voluto limitare in modo rigoroso la ricorribilità per cassazione della sentenza di “patteggiamento”, al fine di smaltire i carichi di lavoro della Suprema Corte. Come noto, infatti, negli ultimi anni i ricorsi presentati dalle difese avverso tale tipologia di pronunce sono stati numerosi, anche se molto spesso sono sfociati in declaratorie di inammissibilità da parte della Corte [3]. Con l'intervento riformatore, dunque, si è inteso, da un lato, scoraggiare i ricorsi meramente defatigatori e, da un altro lato, accelerare la formazione del giudicato sulla sentenza di “patteggiamento” [4]. Per conseguire tali fini si è proceduto ad una significativa riduzione dell'area di ricorribilità oggettiva delle decisioni negoziate [5]. Si è trattato del sostanziale recepimento del “diritto vivente”, che però desta non pochi dubbi, tenuto conto dell'inappellabilità della sentenza “negoziata” e della presenza nell'ordinamento processuale della così detta ipotesi allargata di “patteggiamento”. Ad essa si è affiancata un'altra importante novità “collaterale”, rappresentata dalla definizione in via generale e astratta dei casi in cui alle parti è consentito chiedere la mera rettificazione della sentenza [6]. Più in particolare, recependo un indirizzo giurisprudenziale già formatosi in passato [7], si è inserito un comma 1-bis all'art. 130 c.p.p., in base al quale è il giudice “del patteggiamento” che deve provvedere, anche d'ufficio, a rettificare gli errori di denominazione o di calcolo nella specie e nella quantità di pena [8] irrogata con la sentenza ex art. 444 c.p.p.; in caso di impugnazione del provvedimento, alla rettifica dovrà provvedervi la Corte di cassazione a norma dell'art. 619 c.p.p., comma 2 c.p.p., ossia senza che vi sia bisogno di pronunciare annullamento della sentenza [9]. L'intero meccanismo, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe contribuire a realizzare le esigenze deflattive avute di mira, ma non mancano le perplessità, a cominciare dalla natura del rapporto – se di “specialità” [10] o piuttosto di “complementarietà” [11] – tra il nuovo capoverso e il primo comma dell'art. 130 c.p.p. Ovviamente, però, l'intervento principale è quello realizzato con l'inserimento del comma 2-bis all'art. 448 c.p.p. Tale [continua..]

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Fascicolo 6 - 2018