Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Digital evidence, cybercrime e giustizia penale 2.0 (di Sergio Lorusso)


La rivoluzione digitale ha inciso profondamente sul processo penale e, in particolare, sull’orizzonte probatorio. Alla ba­se, la possibilità di fruire di strumenti d’accertamento di grande efficacia ma, al contempo, di inconsueta invasività. Affrontare le numerose questioni che il “nuovo mondo” tecnologico suscita significa approcciarsi in maniera bilanciata al tema delle sinergie tra universi apparentemente inconciliabili. L’iter di adeguamento del nostro ordinamento alla nuova realtà è stato caratterizzato da ritardi e da scarsa consapevolezza delle peculiarità del fenomeno, che hanno prodotto adattamenti forzati di istituti tradizionali e supplenze (talora divenute derive) giurisprudenziali, nonostante gli inputs sovranazionali che – specie di recente – hanno mostrato di comprendere l’irrinunciabilità di una regolamentazione ad hoc della digital evidence, vero e proprio archetipo della “prova globale” che costituisce un dato fondante della giustizia penale 2.0. Da qui la necessità di un mutamento di prospettiva, di un cambio di passo che riconosca le ricadute in ambito processuale della società digitale, pervasivaormai di ogni aspetto della vita quotidiana del terzo millennio.

Digital evidence, cybercrime and criminal justice 2.0

The impact of digital revolution on criminal justice is strong, in particular on law of evidence. Basically, the chance to use investigation tools which are very effective but, at the same time, dangerously intrusive. Facing the numerous questions that the technological "new world" raises means approaching in a balanced way to the issue of synergies between apparently irreconcilable universes. The process of adapting the existing rules to the new reality was characterized by delays and scarce awareness of the issue, which have produced forced adaptations of traditional institutions and confused case law, despite the supranational inputs that – especially recently – have shown to understand the indispensability of a specific regulation of digital evidence, a true archetype of the "global evidence" which characterizes the criminal justice system 2.0. Hence the need for a change of perspective, to understand the impact of digital society on criminal justice.

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SOMMARIO:

Uomini e macchine di fronte alla giustizia penale - Colpevoli ritardi e incertezze normative - Digital evidence tra novità e criticità - Giustizia penale 2.0 - NOTE


Uomini e macchine di fronte alla giustizia penale

«Computers are incredibly fast, accurate and stupid;humans are incredibly slow, inaccurate and brilliant; together they are powerful beyond imagination» “I computer sono incredibilmente veloci, precisi e stupidi; gli esseri umani sono incredibilmente lenti, imprecisi e brillanti; insieme sono potenti oltre l’immaginazione”: l’affermazione, tradizionalmente (ed erroneamente) attribuita ad Albert Einstein ma presumibilmente ascrivibile all’economista statunitense Leo Cherne, può costituire un valido punto di partenza per affrontare la tematica delle interazioni tra rivoluzione digitale e sistema penale, nelle sue declinazioni sostanziali e processuali. L’irruzione dell’universo informatico nella realtà quotidiana, difatti, ha determinato – al contempo – ricadute nel catalogo delle fattispecie penali (ampliandolo talora nel senso della specificazione di figure di reato esistenti e in altri casi originando nuove fattispecie in precedenza neanche ipotizzabili perché legate all’innovazione tecnologica) e riverberi nell’orizzonte probatorio, fornendo strumenti d’accerta­mento dall’inusitata efficacia ma dall’altrettanto inedita e non facilmente governabile invasività. Con tutto quello che ne consegue in termini di tutela (effettiva) delle garanzie individuali, presidio irrinunciabile almeno fino a che le stesse continueranno ad essere il perno attorno al quale gira il sistema giustizia in ragione della sua vocazione liberale. La citazione iniziale fornisce, o dovrebbe fornire, la traccia corretta – sotto il profilo concettuale e gnoseologico, prima ancora che giuridico – per affrontare e risolvere le delicate questioni che il “nuovo mondo” ad alto tasso tecnologico (e fortemente orientato verso la tecnocrazia) inevitabilmente pone. Perché le norme, com’è noto, non sono delle monadi, non vivono in maniera indipendente rispetto al contesto (sociale, politico e culturale) che le esprime. Anche in un’ipotetica società del futuro dominata da macchine create dall’uomo le regole rifletterebbero la Weltanschauung condivisa (liberamente o forzatamente) dal relativo gruppo sociale, magari elaborata da un sistema binario sulla base di bit. Da qui la necessità di fondere le peculiarità e le inclinazioni (verrebbe da dire, i talenti) di due universi [continua ..]


Colpevoli ritardi e incertezze normative

L’era digitale esiste. Ormai è una realtà, che si riverbera su ogni segmento della vita quotidiana, ed ignorarla sarebbe un errore. Occorre quindi collocarla in un contesto adeguato, che non stravolga l’essenza della giurisdizione. In questo, per la verità, il legislatore italiano raramente ha operato con tempestività, procedendo “a traino” e spesso solo quando necessitato dagli inputs di derivazione sovranazionale. Non regolamentare equivale a lasciar spazio a prassi devianti o ad improbabili letture giudiziarie più o meno marcatamente estensive della normativa vigente, piegata ad un adattamento forzato e spesso inadeguato imposto proprio dall’immobilismo del legislatore. Paradigmatica è la vicenda relativa al captatore informatico, che solo con il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, peraltro soggetto a un ininterrotto flusso normativo procrastinatore tuttora in corso, ha ottenuto un riconoscimento legislativo, non senza falle e deboli soluzioni foriere di dubbi e incertezze, che quantomeno – però – ha segnato i confini entro cui è possibile avvalersi di uno strumento investigativo tanto efficace quanto invasivo e in grado di frantumare la sfera personale di privatezza, fornendone al contempo un adeguato – pur se non del tutto soddisfacente – inquadramento sistematico [2]che supera la lettura giurisprudenziale secondo cui la captazione informatica altro non sarebbe se non un’“intercetta­zione ambientale itinerante” [3] e dunque, in sostanza, un’intercettazione atipica priva di una sua autonomia concettuale. Centrale, in questo ambito, è l’iter di ratificadella Convenzione di Budapest sulla criminalità informatica del 23 novembre 2001, perfezionato con la l. 18 marzo 2008, n. 48 [4] (e dunque a distanza di oltre sette anni). Una Convenzione che, com’è noto, ha esplorato e regolamentato per la prima volta – tracciandone le coordinate fondamentali e scandendo così una road map indirizzata ai singoli ordinamenti nazionali – l’area dell’impiego contra legem dei sistemi informatici (nelle loro componenti hardware e/o software), quale fonte di illeciti penali, unitamente all’utilizzazione in chiave investigativa e probatoria delle tecnologie informatiche. Quest’ultimo profilo [continua ..]


Digital evidence tra novità e criticità

Digital evidence è espressione – largamente condivisa a livello internazionale [11] – con la quale si racchiude all’interno di un’area omogenea l’insieme degli strumenti investigativi e probatori suscitati e alimentati dalla rivoluzione informatica. L’oggetto di prova (o di indagine), difatti, è indissolubilmente legato al mondo virtuale, non potrebbe esistere senza di esso, dal quale è stato generato e nel quale trova ospitalità. Si tratta, peraltro, della prima area probatoria in assoluto nata e consolidatasi in un ambito sovranazionale: è la stessa impalpabilità della digital evidence, insieme all’assenza di coordinate spaziali – il suo formarsi in un “non-luogo” qual è il cyberspazio [12] – che contraddistingue il dato digitale ad aver imposto ab initio tale evoluzione (la mancanza di fisicità comporta giocoforza la necessità di superare i confini dei singoli Stati), consentendo presumibilmente a siffatta categoria di assurgere storicamente ad archetipo della “prova globale” destinata a contrassegnare il terzo millennio, diventandone il simbolo, così come in passato è accaduto, ad es., per la confessione e per la testimonianza, considerate le “proveregine” in un mondo nel quale l’uomo e la sua corporeità erano al centro della vita quotidiana [13]. Non è un caso che la tortura, degenerazione della prova dichiarativa in auge nel Medioevo, facesse leva sui corpi – dai quali si voleva “estrarre” l’anima dell’inquisito – per ottenerne risultati probatori. Vi è anzi chi, in maniera estrema, profetizza una “dittatura” prossima ventura della digital evidence, un’epoca in cui assisteremo al monopolio delle fonti di prova digitali [14]. Scenario futuribile o improbabile vaticinio? Sarà il tempo a dircelo, ma è certo che se pensiamo alla travolgente e inarrestabile corsa di cui è stato protagonista il mondo digitale, che ha finito per affiancarsi e fondersi con la realtà preesistente dando vita a un “mondo nuovo” fino a qualche decennio fa del tutto inimmaginabile, non possiamo ridurre a mere elucubrazioni le argomentate riflessioni di chi prova a vedere in proiezione gli assetti sociali derivanti dalla pervasività [continua ..]


Giustizia penale 2.0

Mutuando l’espressione dal linguaggio informatico, ed adattandola all’universo giuridico, è possibile oggi parlare di Giustizia penale 2.0. Di una giustizia, cioè, scandita dalle ricadute normative e applicative – ma anche concettuali – della digitalizzazione della società. Se ne è fornito fin qui un quadro, seppur parziale (e sintetico), con riferimento alle dinamiche probatorie, sicuramente le più importanti (e delicate) all’interno del processo penale. L’area d’incidenza del web, di internet e dell’apparato informatico in genere (nelle sue componenti hardware e software), difatti, è assai più ampia e contribuisce a creare una sorta di struttura processuale parallela, naturalmente con molteplici intersezioni con l’assetto tradizionale e priva (allo stato) di una sua autonomia: una struttura verosimilmente destinata ad avere un peso sempre maggiore nell’eco­nomia complessiva del processo penale. A risentirne potrebbero essere proprio i canoni costituzionali, forse destinati – se non ad essere sovvertiti – ad essere rimodellati. Contribuisce a tale rivoluzione sottile il c.d. “processo penale telematico”, divenuto oramai una realtà. Certo, si tratta del profilo meno destabilizzante, destinato ad incidere fondamentalmente sui profili ordinamentali, ma sintomatico di un apparato giudiziario sempre più orientato alla smaterializzazione (un po’ come sta accadendo, progressivamente, nella quotidianità di ciascuno di noi). Emergono anche in questo ambito le differenze (culturali e) strutturali con altri rami della giurisdizione, ove l’iter di digitalizzazione risulta più avanzato, che rendono più ardua la realizzazione di un progetto teso a digitalizzare una serie di dati e di flussi informativi alcuni dei quali coperti da segreto. Naturalmente tale itinerario pone questioni di non poco conto in relazione alla possibilità di penetrare nei sistemi informatici che conservano e gestiscono tali dati da parte di hacker che attraverso malware mettano a repentaglio il diritto alla riservatezza dei titolari dei dati medesimi e gli esiti stessi dell’attività investigativa in ragione di possibili fughe di notizie. In ambito sovranazionale, poi, emerge una precisa linea di tendenza tesa ad implementare l’utilizzo [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2019