La riforma Orlando opera la distinzione tra capacità reversibile e irreversibile dell’imputato, modificando l’art. 71 c.p.p., che subordina la sospensione del procedimento all’accertamento dell’incapacità temporanea, e introducendo il nuovo art. 72-bis c.p.p. Tale previsione disciplina la definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato, segnando il definitivo tramonto della logica degli “eterni giudicabili”. L’unico ostacolo alla declaratoria d’improcedibilità per incapacità permanente è l’applicazione delle misure di sicurezza, diverse dalla confisca, nei confronti dell’imputato socialmente pericoloso.
The conclusion of the criminal proceedings for defendant’s irreversible incapacity The Orlando reform distinguishes between reversible and irreversible capacity of the defendant, by modifying the art. 71 c.p.p., which subordinates the suspension of proceedings to the verification of temporary incapacity, and by introducing the new art. 72-bis c.p.p. Such a provision governs the conclusion of the proceedings for the irreversible incapacity of the accused, marking the definitive sunset of the logic of the “eternal defendants”. The only obstacle to the declaration of permanent incapacity is the application of security measures, other than confiscation, for the socially dangerous accused.
PREMESSA
La l. 26 giugno 2017, n. 103, nota come “riforma Orlando” [1] introduce significative modifiche al codice penale e al codice di procedura penale [2]. Tra le innovazioni più importanti, spicca la disciplina della definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato, ai sensi dell’art. 72-bis c.p.p., che segna il definitivo tramonto della logica degli “eterni giudicabili”, sottoposti a procedimento perenne perché incapaci di stare in giudizio [3]. Si tratta di un cambio di passo già preannunciato dalla Corte costituzionale, che, relativamente alla sospensione del processo per incapacità dell’imputato e alla prescrizione del reato, aveva richiamato l’interesse verso il tema della capacità a stare in giudizio.
Un primo tentativo di rimedio alle incoerenze della disciplina previgente era stato rappresentato dalla sentenza costituzionale n. 23 del 2013, che, pur senza dichiarare l’illegittimità delle nome censurate, aveva rivolto un monito al legislatore, riaprendo un dibattito ventennale in materia [4]. Successivamente, nel 2015 la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della sospensione sine die della prescrizione del reato, come disciplinata dall’art. 159, comma 1, c.p. una volta accertata l’incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo [5].
Pertanto, sulla base di tali presupposti interpretativi, il legislatore del 2017, spinto da ragioni di economia processuale, opera una netta distinzione tra capacità reversibile e irreversibile dell’imputato. È modificato, in primo luogo, l’art. 71 c.p.p. che subordina la sospensione del procedimento all’accertamento dell’incapacità temporanea e reversibile. Si introduce, poi, il nuovo art. 72-bis c.p.p. a norma del quale: «Se, a seguito degli accertamenti previsti dall’art. 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».
La l. n. 103 del 2017 novella anche l’art. 345 c.p.p., consentendo di instaurare un procedimento penale nei casi in cui, dopo la conclusione, emerga che un soggetto prosciolto per incapacità irreversibile sia stato dichiarato tale per errore o venga meno la sua incapacità e, quindi, risulti in condizione di partecipare coscientemente al rito.
LA CAPACITÀ DI STARE IN GIUDIZIO
Il codice del 1988 opera la distinzione teorica fra [continua..]