Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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I decreti 'Salvini': profili di diritto penale sostanziale, processuale e sicuritari (di Orietta Bruno)


Emergenza, sicurezza e immigrazione sono il fulcro della politica dell’ex Esecutivo: non esistono equivoci sul fatto che i nuovi nemici da combattere siano gli stranieri. Si colloca, in primo piano, la tutela granitica della collettività messa a repentaglio anche da altri fenomeni diffusi: gli episodi di violenza legati a manifestazioni sportive, quelli che turbano l’assetto sociale, il dilagare del crimine organizzato. Tuttavia, le forme di contrasto si avvalgono della decretazione d’urgenza, rimessa, in sede di conversione, al voto di fiducia, con seguente allontanamento del dibattito parlamentare. Emerge, in linea di fondo, la pratica del controllo penale.

New Criminal Provisions on Public Security

What threatens public security most for Conte’s prior Administration is immigration, violent uprisings related to sports events and ever-widening organized crime. Addressing these problems with decree-Laws (as too oftenly occurs in legislation of recent times) is a questionable choice, especially when the conversion into the Law is the result of the Confidence of the Parliament.

SOMMARIO:

Premessa - Le frontiere dell’emergenza - Gli eccessi nel diritto penale sostanziale - I cambiamenti al codice di procedura penale: Obblighi di comunicazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni - (segue:)compiti della polizia giudiziaria - (Segue): … in tema di esecuzione delle pene - (segue:) Funzioni del personale del corpo di polizia penitenziaria in materia di sicurezza - (segue:) Misure cautelari personali - (segue:) Una piccola ma significativa novità: le intercettazioni - Il Daspo - (Segue): il Daspo urbano - (Segue:) Altri cambiamenti al decreto ‘Minniti’ - Ritocchi al c.d. Codice antimafia - Riordino dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata - Decreto sicurezza: la seconda tranche - (Segue): come mutano le norme di diritto sostanziale e processuale in materia penale - (Segue:) … e il Daspo “sportivo” - Riflessioni conclusive - NOTE


Premessa

Il 4 ottobre 2018, su proposta del Ministro degli Interni, on. Matteo Salvini, viene varato dal Consiglio dei Ministri, con atteggiamento non immune da fervori encomiastici, il “decreto sicurezza” [1]. Pochi giorni dopo, inizia l’esame in Parlamento della legge di conversione: il primo passaggio è in Commissione affari costituzionali del Senato. Gli originari articoli, da 40 [2], diventano quasi il doppio, con l’aggiunta di numerosi nuovi commi e, soprattutto, una delega da implementare [3]. La strada eletta non è quella della edificazione di un autonomo corpus normativo, ma dell’incorporazione, nelle singole trame dell’ordinamento, delle varie disposizioni specializzanti. Ai fini della approvazione in Senato, l’Esecutivo “mette” la questione di fiducia. Il provvedimento viene sottoposto, nel prosieguo, al vaglio della Camera che, sempre sotto voto blindato, concede il proprio beneplacito, senza apportare emendamenti o integrazioni. In un breve lasso di tempo, si predispone la legge di conversione, l. 1° dicembre 2018, n. 132 [4], che, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 3 dicembre stesso anno, entra in vigore il giorno seguente [5]. Al decreto ‘Salvini’ atto primo, segue un’altra incursione di calibro sicuritario a salvaguardia della collettività: ci si avvale della icastica nomenclatura “bis” per definirla. L’azione emergenziale e di settore che contraddistingue la politica del Paese in alcuni frangenti storici affiora, lampante, pure dalla approvazione, da parte del Viminale – con un certo frastuono e sotto l’etichetta del populismo [6] –, l’11 giugno 2019, del d.l. 14 giugno 2019, n. 53 («Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica»). Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 138, di pari data, è entrato in vigore il giorno successivo, assistendosi, in un ristretto lasso di tempo, ad una stratificazione di leggi sui temi dell’immigrazione, dell’or­dine e sicurezza pubblici, la lotta alla violenza in occasione di manifestazioni sportive e del potenziamento del ruolo dell’amministrazione a supporto delle scelte politiche dell’Esecutivo. Non senza dissapori, provenienti dalla stessa compagine di maggioranza, quasi allo scadere del tempo utile, si addiviene alla conversione del [continua ..]


Le frontiere dell’emergenza

I cambiamenti più significativi apportati dal decreto ‘Salvini’ del 2018, anche per la risonanza mediatica provocata, si snocciolano in quattro Titoli, come anticipato, incrementati nella fase di conversione: il I («Disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale e di immigrazione»)[8]; il Titolo II attiene alle «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa»)[9]. Il III, contiene le norme «per la funzionalità del Ministero nonché sull’organizzazione e il funzionamento dell’Agen­zia Nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Il Titolo IV, infine, è dedicato alle previsioni «finanziarie e finali»[10]. Il filone di analisi (gli aspetti sostanziali e processuali riguardati in relazione alle problematiche delle correnti migratorie e dei contraccolpi sulla sicurezza pubblica, dell’incessante lotta al crimine organizzato, sempre più attrezzato, e della piaga del terrorismo internazionale) non consente di uscire dal seminato; nondimeno, risultano ancestrali alcune considerazioni. Da una visuale teorica, esistono due possibili approcci alla problematica: si può partire dalla premessa per cui gli odierni flussi migratori sono inevitabili e cercare di affrontarla nella maniera più funzionale possibile, approntando le procedure migliori per individuare gli stranieri che hanno il diritto di essere accolti nell’Unione europea; in tal caso, il ricorso allo strumento detentivo diventa eccezionale. In alternativa, si può usare la privazione della libertà come meccanismo di deterrenza per impedire o ridurre le partenze dai Paesi di origine. Non v’è chi non veda come il passato Governo, abbia optato per il secondo metodo, adottando una strategia che, a lungo andare potrebbe non essere proficua: oltre che radicale nelle soluzioni offerte, agisce ancora secondo la legislazione dell’emergenza, ostinandosi nel seguire una prassi consolidata: nel tentativo di stagnare questioni che affliggono il Paese da anni e rabbonire un malcontento diffuso, evita la normazione primaria, emanando regole espressione di un’ideologia [continua ..]


Gli eccessi nel diritto penale sostanziale

Nella passata campagna elettorale – accanto ad altri temi di forte impatto sull’opinione pubblica – entrano anche quelli di politica del diritto penale: tra le parole-chiave, si pone, paradossalmente, una seconda osmosi, sicurezza-certezza/severità della pena[39]. Infatti, ove si scrutino le previsioni che concernono, nello specifico, la tranquillità pubblica e ci si interroga sulla loro portata applicativa, il lettore si accorge dell’uso quantomeno pretestuoso dello strumento penale. Ma, la miopia del passato Governo rischia di appesantire ancora i carichi gravanti sulla giustizia penale [40]. La trattazione, oltre a non risultare distonica rispetto agli intenti iniziali, si intreccia, su vari fronti, con quella attinente le novità in campo processuale e si profila, anzi, centrale per affrontare quest’ul­tima. Sul piano sostanziale, che funge da coltura per sentimenti di astio verso gli stranieri, i poveri e i facinorosi, le principali direttrici di marcia si concretano nella trasformazione di ipotesi contravvenzionali o di illeciti amministrativi in corrispondenti fattispecie delittuose e nell’introduzione di aggravanti ulteriori a delitti già esistenti. Vengono, poi, reintrodotti istituti accantonati dalla Corte costituzionale o, persino, da un legislatore più accorto per le ricadute, sul piano esecutivo della pena, stante il latente allarme del sovraffollamento carcerario. Anche circa i limiti edittali, v’è un impulso ad una corsa al rialzo: si rinviene un balzo delle sanzioni verso l’alto, tanto che si può discorrere di aumento febbrile del compasso edittale sbalorditivo rispetto al quantum genetico. Insomma: un Enforcement efficiente e aggressivo quanto al diritto penale sostanziale in grado di segnare il culmine delle battaglie ingaggiate dallo Stato contro gli immigrati, i reietti e gli individui faziosi in occasione delle gare agonistiche (pur se la tendenza, lungi dal segnare un netto distacco con quelle precedenti, è principiata ben prima della XVIII legislatura). Nondimeno, le profusioni penalistiche del Governo del cambiamento sembrano esprimere una contraddizione di fondo: da un lato, vi sono le declamazioni pubbliche dal sapore rivoluzionario, tutte orientate a ribadire, in maniera ossessiva, la rottura rispetto al passato (indefinito e onnicomprensivo) additato come portatore di vizi insanabili; [continua ..]


I cambiamenti al codice di procedura penale: Obblighi di comunicazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni

Il novum colpisce in abbondanza – sulla falsariga di un (oramai) consueto atteggiamento olistico – anche in materia processuale e penitenziaria, alterando un settore già vessato da riforme compulsive e ondivaghe, incalzate dal ritmo incessante di uno spirito emergenziale e univocamente ispirate dall’ir­rigidimento dell’ossatura repressiva secondo un trend diffuso [86]. Seguendo la cronologia delle previsioni e una prospettiva diacronica, ci si imbatte con la prima avente rilievo procedurale, l’art. 15 bis della l. 1° dicembre 2018, n. 132; quest’ultimo denota, palesemente, che, nel decreto sicurezza, si registra un profluvio di norme molte delle quali poco o nient’affatto intessute all’impianto basico del provvedimento e non incorniciabili nella loro rubrica legis. L’impressione è che l’Esecutivo si sia lasciato sfuggire, per mera dimenticanza o scarsa ponderatezza, la previsione al momento della manovra penitenziaria dell’ottobre 2018 e che, dunque, abbia recuperato in corsa con l’atto in disamina di poco successivo. Inserito nel comparto normativo a seguito dell’approvazione del maxi-emendamento governativo su cui il Senato ha espresso il voto di fiducia, l’art. 15 bis l. n. 132 del 2018 si compone di due commi, contenenti, rispettivamente, modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e al codice di rito penale. Più esatta­mente, introduce una serie di cambiamenti orientati alla istituzione di puntuali obblighi di comunicazione a favore del procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minorenni. L’intervento nel circuito penitenziario si traduce nell’innesto, in seno alla l. n. 354 del 1975, dell’art. 11 bis dalla icastica rubrica «Comunicazioni al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni». Esso si snoda in tre commi che, pur avendo contenuti eterogenei, perseguono il medesimo obiettivo di allestire doveri comunicativi in caso di minori collocati in istituto penitenziario (IPM) o in stabilimenti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM): sussiste il dovere per tali architetture restrittive di inoltrare al procuratore della Repubblica in parola [87] l’elenco di tutti i minorenni collocati presso la struttura. Sarà onere di costui investire, poi, il tribunale per i minorenni. [continua ..]


(segue:)compiti della polizia giudiziaria

Nel suo incedere frammentario, il decreto sicurezza è incisivo pure nel codice di rito penale. L’in­tentio legis ab origine, non tradita dalla pratica, è quella di un sostanziale accomodamento sullo status quo ante, ponendo mano a quelle previsioni che si attagliano meglio a colpire il fenomeno migratorio, con conseguente garanzia di sicurezza. Con la tradizionale tecnica chirurgica, si è intervenuti, con le lett. a), b) e c) dell’art. 15 bis, comma 2, l. n. 132 del 2018, rispettivamente, in materia di misure pre-cautelari, vincoli personali e di esecuzione penale. È stato inserito, innanzitutto, l’art. 387 bis c.p.p., rubricato «Adempimenti della polizia giudiziaria nel caso di arresto o di fermo di madre di prole di minore età»: allorché il soggetto ex art. 55 c.p.p. procede all’arresto o al fermo di una madre avente una prole in giovane età, deve darne notizia, senza ritardo, al pubblico ministero territorialmente competente e al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della misura (art. 15 bis, comma 2, lett. a), l. n. 132 del 2018). In questa maniera, si dilatano gli oneri informativi gravanti sulla polizia giudiziaria imposti dalla disciplina di genere [93]. Quanto alle cautele personali, l’innesto ha riguardato l’art. 293 c.p.p.: un comma 4 bis si accorpa al resto della norma. Esso concerne solo i casi di custodia cautelare in carcere ed è destinato ad operare negli spazi lasciati sguarniti dall’art. 275, comma 4, c.p.p. nel quale si enuncia il divieto di disporre o mantenere tale misura restrittiva nei confronti di una donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni «salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». A mente del nuovo disposto, quando il destinatario del provvedimento restrittivo è una madre di prole di minore età, una copia dell’ordinanza che dispone la misura spetta al procuratore della Repubblica individuato all’inter­no dell’art. 293, comma 4 bis, c.p.p. (art. 15 bis, comma 2, lett. b), l. n. 132 del 2018). Data esecuzione al vincolo, dell’ordinanza applicativa dovrà essere data conoscenza al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del [continua ..]


(Segue): … in tema di esecuzione delle pene

Gli oneri conoscitivi istituiti dalla l. n. 132 del 2018 si estendono sino a lambire la normativa sul­l’esecuzione penale e, segnatamente, l’art. 656 c.p.p. («Esecuzione delle pene detentive») che si premura di scandire gli adempimenti connessi all’emanazione dell’ordine di esecuzione di una sentenza di condan­na a sanzione restrittiva. Il dovere di notiziare, posto a carico del pubblico ministero, mediante l’esan­gue interpolazione della legge di conversione, è previsto a tutela dei figli minori di madri detenute. Si tratta, quella dell’art. 656 c.p.p., di una previsione soggiogata da una certa mutevolezza; già scalfita dalla riforma penitenziaria del 2018, viene nuovamente limata: seguendo la stessa logica promossa nelle lett. a) e b) del comma 2 dell’art. 15 bis d.l. n. 113 del 2018 («Obblighi di comunicazioni a favore del Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni»), accluso in sede di conversione, il legislatore ha previsto che la limitazione della libertà personale attinente una donna con figli in tenera età non possa rimanere affare limitato all’interessata (al suo difensore) e al magistrato, ma debba tangere anche le autorità incaricate di salvaguardare il minore. Così, il comma 3 bis, di nuovo congegno, aggiunto nel­l’art. 656 c.p.p., sancisce che l’ordine di esecuzione – contemplante le generalità della madre, l’imputa­zione, il dispositivo del provvedimento e le direttive necessarie all’esecuzione –, oltre ad essere notificato al difensore della condannata, andrà comunicato «al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di esecuzione della sentenza» (art. 15 bis, comma 2, lett. c), l. n. 132 del 2018). Si spiega in letteratura che «La misura», la quale «opera indipendentemente dall’entità della pena detentiva e dal fatto che questa rientri nell’ipotesi di sospensione di cui al comma 5, fa parte di una più ampia serie di inediti adempimenti [informativi]» (artt. 293, comma 4 bis, 397 bis c.p.p.; art. 11 bis l. 24 giugno 1975, n. 354) «collegati ai diversi possibili titoli di restrizione della libertà personale relativi a madri di» prole di minore età [continua ..]


(segue:) Funzioni del personale del corpo di polizia penitenziaria in materia di sicurezza

Proseguendo lungo la strada della trasfigurazione in tema di sicurezza, ci si imbatte con l’art. 15 ter l. n. 132 del 2018, anch’esso introdotto a seguito della approvazione del maxi-emendamento governativo su cui il Senato ha espresso il voto di fiducia. La disposizione modifica il Titolo I, Capo II del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, e cioè le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, congegnando l’art. 4 ter disp. att. (dislocato nella parte relativa alle cosiddette sezioni di polizia giudiziaria). Accompagnato dall’intestazione «Nucleo di polizia penitenziaria a supporto delle funzioni del procuratore nazionale antimafia», afferma, in un unico comma, che il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nell’esercizio delle funzioni di cui all’art. 371 bis, commi 1 e 2, c.p.p., possa giovarsi di un apposito nucleo costituito nell’ambito del Corpo di polizia penitenziaria [96]; ciò, con specifico riferimento all’ac­quisizione, all’analisi e all’elaborazione dei dati e delle informazioni provenienti dall’ambiente carcerario. Il ruolo attribuito al procuratore nazionale ai sensi dell’art. 371 bis, commi 1 e 2, c.p.p. si esprime in attività di coordinamento investigativo, esercitate in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia e antiterrorismo, nonché a quelli instaurati per i gravi reati indicati nell’art. 51, comma 3 bis e 3 quater, c.p.p. [97]. Tali ultime fattispecie rappresentano illeciti di notevole allarme sociale: associazione mafiosa e delitti commessi avvalendosi delle condizioni di intimidazione previste dal vincolo mafioso, reati associativi finalizzati alla tratta, all’immigrazione clandestina, al traffico di droga e tabacchi, al traffico di rifiuti, alla prostituzione minorile e al turismo sessuale, scambio elettorale politico-mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione (comma 3 bis); reati con finalità di terrorismo (comma 3 quater). Allo scopo di condurre in sincronia le investigazioni e di garantire il proficuo impegno delle varie articolazioni della polizia giudiziaria, il procuratore esercita poteri di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali, assicurando la completezza e la tempestività delle indagini. Ebbene, è in questo ambito che si inserisce la [continua ..]


(segue:) Misure cautelari personali

In attesa di una «riforma epocale della giustizia penale» [103], evocata, a più riprese, nel corso del dibattito politico-giornalistico dell’autunno 2018 e, soprattutto, negli ultimi tempi, ci si serve del provvedimento in analisi per emendare alcuni settori del codice di procedura penale: si agisce, come spesso accade, a chiazze. Non è revocabile in dubbio che si assista ad un fenomeno distante dal solito cliché: in occasione degli oramai noti pacchetti sicurezza, le modifiche processual-penalistiche sono rivoluzionarie, mentre, il d. l. n. 113 del 2018, anche a seguito della conversione, all’apparenza, non reca novità di tale carattere. Considerato che il motivo di tale self restraint, piuttosto inconsueto, potrebbe essere riconducibile (proprio) alla volontà di approntare, come appena detto, un raggruppamento di previsioni dedicate, nello specifico, al diritto processuale penale, medio tempore, si rincorrono soluzioni provvisorie da cui trasuda, appieno, lo spirito repressivo che si cela dietro la manovra in discussione, indirizzata, peraltro, come detto, ad alcune categorie di soggetti. Gli interventi sul codice hanno riguardato, tra l’altro, un restyling delle misure cautelari personali il quale, mostrandosi, d’immediato, tutt’altro che marginale, perde, a contatto con il sostrato applicativo, gran parte della sua attrattiva [104]. La prima correzione investe l’art. 282 bis c.p.p. e sembrerebbe porsi in controtendenza rispetto alla logica che impregna il provvedimento legislativo nel suo complesso. La disposizione, inserita in seno alla disciplina codicistica nel 2001, mercé la l. 4 aprile n. 154 («Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»), regolamenta l’istituto dell’allontanamento dalla casa familiare [105]. Risponde alla prioritaria esigenza di protezione delle vittime dei maltrattamenti familiari; in effetti, ha contenuti inibitori e si ispira «all’order of protection conosciuto nelle legislazioni di common law» [106]. Come ricorda la letteratura [107], «Si tratta di un modello cautelare diretto a predisporre misure giudiziarie efficaci e di natura preventiva, che assicurino una tutela immediata della vittima all’interno dei rapporti familiari, realizzando uno schermo di protezione attorno al soggetto debole». [continua ..]


(segue:) Una piccola ma significativa novità: le intercettazioni

Già riscritta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, recante «Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della legge di cui all’art. 1 commi 82, 83 e 84 lett. a), b), c), d) ed e) della l. 23 giugno 2017, n. 103» (quest’ultima legge, per i più: riforma ‘Orlando’), la materia viene intaccata ancora senza che sia affatto entrata a regime [124]. La vigenza del provvedimento (in origine coincidente con il 26 luglio 2018) slitta al 31 marzo 2019 e, poi, per mano della legge di bilancio, 30 dicembre n. 145, al 31 marzo 2019 [125]; dunque, un’altra proroga e la data promessa doveva essere quella del 1° agosto 2019. Sintomo, questo, del fatto che si tratta di una manovra contrastata, tanto che sarebbe più azzeccato l’epiteto “contro-riforma”. Il che, rileva, a maggior ragione, sol che si pensi al fatto che sono insistenti, nel sistema mediatico, le indiscrezioni secondo le quali il Ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, abbia in programma, tra le altre cose, di allestire, bloccata quella risalente al 2017 e voluta dal suo predecessore, una nuova legge sulle captazioni sonore, il cui punto di forza dovrebbe risiedere, oltre che su una svecchiata riflessione intorno al captatore informatico che rincorre l’interessato senza sosta e con punti di osservazione di straordinaria intrusività, per un verso, nella facoltà di divulgare, in tempi stretti, le carte contenenti conversazioni aventi interesse pubblico e, per l’altro, nella chiusura alla diffusione dei verbali nei quali si colgono situazioni private o estranee all’accertamento (nulla impedisce che la contezza del materiale venga escluso prima del termine dell’inchiesta – come voluto, con vigore, dal partito leghista – o che vi sia il recupero di qualche fetta del d.lgs. n. 216 del 2017). Si spiega la ragione per cui l’attuale Guardasigilli ha preteso l’inserimento, a scopi meramente dilatori, nel decreto sicurezza bis, d.l. 14 giugno 2019, n. 53 («Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica»), dell’art. 9, comma 2, secondo cui: «2. All’articolo 9 del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole «dopo il 31 luglio 2019» sono sostituite dalle seguenti: «dopo il 31 dicembre [continua ..]


Il Daspo

Il filo conduttore della sicurezza pubblica non poteva esentare da un riaggiustamento del settore della prevenzione, in particolare quella personale che assume un ruolo sempre più dominante al fine di tutelare la comunità. Il rigore – che funge da anello congiunturale tra le singole norme del decreto ‘Salvini’ – permea di sé, allora, anche la rivisitazione dell’istituto del DASPO sportivo, acronimo di divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono le manifestazioni sportive [130] e urbano (o cittadino), meccanismo integrante l’impos­sibilità di addentrarsi in aree urbane connotate da una certa esclusività. La sbandierata decisione del Governo di limare pure tali strumenti ha suscitato clamore, non solo nel mondo mediatico, ma anche politico e giuridico, pure se le finalità più vistose e gravide di corollari del provvedimento del 2018 sono, come visto, lampanti: si punta ad innalzare il muro della sicurezza, accrescere la capacità regolamentare nei macro-settori della protezione internazionale, dell’immigra­zione, a rendere più efficiente gli allestimenti e il funzionamento del Dicastero del Ministro dell’Interno e dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Sicché, per avere contezza della latitudine applicativa del cambiamento di cui si discorre, è indispensabile offrire – sebbene per sommi capi – una visione d’insieme della materia e, poi, focalizzare l’attenzione sugli epiloghi cui lo stesso è giunto. Come sovente accade, l’effetto sorpresa sul tema (il fairness del Governo riproduce, pure nell’evenienza, il gioco delle matriosche) ha generato disarmonie nelle correnti di pensiero: v’è chi ha elogiato la scelta, reputandola poderosa, e voci che, di contro, l’hanno ritenuta inadeguata, in quanto mera operazione di facciata e convenienza di genus simbolico-plebiscitaria (capace, dunque, di agglutinare facili consensi) che, verosimilmente, produrrà il solito postumo di tipo boomerang. Di conseguenza, soltanto il coevo ricorso ai parametri teleologico, letterale (il lessico legislativo ha uno spirito assiologico), storico e sistematico rappresenta la direttrice ineludibile che deve guidare nella disamina. Iniziando dal DASPO [continua ..]


(Segue): il Daspo urbano

In sede di conversione, la stretta sul tema della sicurezza, induce anche ad un ingrandimento del potere questorile di dettare misure di prevenzione “atipiche” e, dunque, a rivisitare pure il DASPO urbano, vale a dire il provvedimento di allontanamento da un luogo pubblico per un determinato periodo di tempo [161]; il cambiamento giunge, nonostante sia uno strumento di recente manifattura, ricollegandosi al d.l. 20 febbraio, 2017, n. 14, convertito, con modifiche e dietro voto di fiducia, nella l. 18 aprile 2017, n. 48, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città» (decreto ‘Minniti’ avente lo scopo di tutelare il decoro delle città e di prevenire la criminalità, soprattutto di tipo predatorio) [162].Ecco che ci si imbatte con le innovazioni sulla disciplina del «divieto di accesso in specifiche aree urbane» mercé gli artt. 21, 21 ter e 31 ter del d.l. n. 113 del 2018 [163]. Esse integrano e riscrivono la regolamentazione delle misure personali di prevenzione introdotte da tale ultimo provvedimento, determinando un consolidamento dei compiti del sindaco e un incremento dei poteri del questore nello svolgimento della funzione integrata di tutela della sicurezza urbana[164]. Eppure, è abbastanza noto il fatto che il ricorso a tale figura si è, spesso, scontrata con «“la cultura della giurisdizione” che non tollera semplificazioni e generalizzazioni. I giudici, in particolare quelli di legittimità, sollecitati da acute difese, hanno arginato tale straripamento di poteri, ricordando che presupposto indefettibile per l’applicazione delle misure di prevenzione, siano esse “tipiche” che “atipiche”, è l’attuale pericolosità sociale del proposto, da accertarsi nel contraddittorio delle parti» [165]. Dalla strutturazione della misura, riconducibile ad un proteiforme diritto punitivo municipale e di difficile catalogazione, anche se di certo impatto sui diritti costituzionali, affiora una nozione ampia di sicurezza urbana, dove, sovente, il momento repressivo non vive isolatamente, ma viene posposto a quello preventivo, di lotta al disagio sociale. Non stona, dunque, avviare l’indagine partendo da tale concetto quale si desume dall’art. 4 d.l. n. 14 del 2017; esso coincide con la garanzia del «bene pubblico che [continua ..]


(Segue:) Altri cambiamenti al decreto ‘Minniti’

Il legislatore del 2018 chiude l’intervento nel bacino della prevenzione, introducendo una nuova ipotesi di DASPO nel contesto del d.l. n. 14 del 2017 convertito, con modifiche, dalla l. n. 48 del 2017; essa è enucleata nell’art. 13 bis con la rubrica «Disposizioni per la prevenzione dei disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento»[175]. Ciò, rappresenta la conferma dell’estremo rilievo che l’istituto de quo riveste all’interno del settore della prevenzione penale, sebbene permangano diverse incertezze e lacune normative. Il precetto completa l’area di operatività di una analoga misura la cui struttura, assai similare, è contenuta nel precedente art. 13: per ragioni di sicurezza, v’è un parallelo divieto di accesso in determinati luoghi segnalati nel decreto questorile; esso (ovvero anche il limite di stazionamento nelle immediate vicinanze di tali ambienti) è previsto verso persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per la vendita o la cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990) per fatti commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico[176]. L’obiettivo che si persegue è, in tutta evidenza, quello di del rafforzamento del contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti. Sembra di poter dire, inoltre, che, attraverso l’art. 13 del decreto ‘Minniti’ si tenta di recuperare, almeno in parte, la disciplina già contemplata dall’art. 75 bis del d.p.r. n. 309 del 1990 (dichiarata incostituzionale nel 2016)[177], reintroducendo uno strumentario in qualche modo utilizzabile nell’ottica della prevenzione delle condotte in materia di sostanze stupefacenti. L’art. 13 bis, elaborato, sulla falsariga dell’art. 13, in sede di conversione del d.l. n. 113 del 2018, mediante la predisposizione dell’art. 21, comma 1 ter, recita, invece così: «Fuori dai casi di cui all’art. 13» (vendita e cessione rilevanti ex art. 13 d.l. n. 14 del 2017), «il questore può disporre per ragioni di sicurezza, nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello [continua ..]


Ritocchi al c.d. Codice antimafia

Il decreto ‘Salvini’ del 2018 non lascia indenne nemmeno il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice antimafia) [194]. Le disposizioni incise sono, in ordine, gli artt. 10, 17, 19 e 67 di tale provvedimento concernenti: la disciplina delle impugnazioni, della titolarità della proposta patrimoniale e il loro coordinamento informativo, le indagini patrimoniali e, infine, gli effetti derivanti dall’applicazione delle misure di prevenzione e la dilatazione della loro applicabilità anche in caso di condanna per determinati reati [195]. Per vero, quella compiuta, è una rifinitura minima rispetto a quanto intrapreso con la l. 17 ottobre 2017, n. 161 [196]: la quasi totalità delle disposizioni intaccate è già sensibilmente modificata da tale novella [197]; ad ogni buon conto, le recenti incisioni al d.lgs. n. 159 del 2011 giocano un ruolo di primo piano. I rinnovamenti sono piuttosto rapsodici; è bene, allora, procedere in ordine topografico, seguendo le linee dell’art. 24 d.l. n. 113 del 2018. Così, per quanto attiene i mezzi di impugnazione e, in particolare, l’appello, il nuovo comma 2 quater dell’art. 10 d.lgs. n. 159 del 2001 detta un’inedita regolamentazione in tema di spese processuali: «In caso di conferma del decreto impugnato, la corte di appello pone a carico della parte privata che ha proposto l’impugnazione il pagamento delle spese processuali». Ricadono, dunque, sull’impugnante i costi del gravame nell’evenienza in cui vi sia una conferma e, quindi, l’appello venga rigettato. Questa pianificazione, benché inserita nel contesto normativo consacrato alle confutazioni di atti personali, vale altresì per la maggior parte di quelle di carattere patrimoniale, stante il rinvio all’art. 10 contenuto nell’art. 27, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 [198]. L’intervento si pone sulla falsariga di quanto già disposto per il primo grado di giudizio dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161: essa, agganciando il comma 10 quinquies all’art. 7 d.lgs. n. 159 del 2011, accolla al proposto le spese processuali relative al primo grado, sempreché quest’ultimo «si concluda con l’accoglimento, anche parziale, della proposta di applicazione della misura di prevenzione»; superando, in questo modo, la normativa previgente che, tra le [continua ..]


Riordino dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

Fungono da cerniera all’esaminato decreto, gli ammodernamenti operati sulla Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC). Essa è stata istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, le cui statuizioni sono poi confluite nel decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice Antimafia). L’Agenzia, ente di diritto pubblico con personalità giuridica, dotato di autonomia organizzativa e contabile, è posta sotto la vigilanza del Ministero dell’Interno; nella fase di costituzione, la sede principale è stata stabilita a Reggio Calabria. L’istituzione dell’Agenzia è il punto di arrivo di un più complessivo processo di ampliamento degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso iniziato con legge 13 settembre 1982, n. 646 che ha introdotto misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca dei beni illecitamente acquisiti dai soggetti destinatari di misure di prevenzione personali. In seguito, la l. 7 mar­zo 1996, n. 109, ha disciplinato la fase gestionale successiva alla confisca dei beni, consentendone l’uso sociale. Ulteriori norme hanno modificato o integrato negli anni singoli aspetti della materia, ma senza un organico disegno riformatore, fino all’istituzione, nel 2010, dell’ANBSC, subentrata all’Agen­zia del demanio nella titolarità delle competenze relative alla gestione ed alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, dopo l’esperienza del Commissario straordinario del Governo. L’amministrazione di tali beni ha assunto un rilievo sempre maggiore nel tempo, dovendo assicurare non solo la conservazione, ma anche e soprattutto la loro redditività. I compiti dell’Agenzia si sono evoluti negli anni adeguandosi al mutare delle norme: attualmente, nella fase giudiziaria, l’ANBSC svolge, sin dal sequestro, compiti di ausilio dell’autorità giudiziaria nell’amministrazione dei beni, anche per agevolarne l’assegnazione provvisoria, mentre dal provvedimento di confisca di secondo grado, ne assume l’amministrazione che prosegue, nella fase amministrativa, dopo la confisca definitiva fino alla destinazione e alla consegna del bene; [continua ..]


Decreto sicurezza: la seconda tranche

Dopo mesi di tweet, anticipazioni e annunci, come anticipato, il Governo approva, su proposta del Ministro dell’Interno, di concerto con altri Ministri, il decreto sicurezza bis, il n. 53 del 2019 [237]. Esso, convertito quasi allo scadere dei termini e dopo parecchie difficoltà per l’assenza dei voti necessari, risulta disseminato in tre Capi (per un totale di diciotto articoli): il primo, «Disposizioni urgenti in materia di contrasto all’immigrazione illegale e di ordine e sicurezza pubblica»; il secondo, «[Previsioni indifferibili] per il potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche di sicurezza»; il terzo, «[Norme improcrastinabili] in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive». I filoni di intervento – emerge sin d’ora – non sono del tutto omogenei tra loro; il che, ripropone uno dei difetti principali del d.l. n. 113 del 2018. Invero, le perplessità suscitate sono anche altre: sul piano contenutistico, della visione dei rapporti tra individui, formazioni sociali e Stato, della cultura delle garanzie che anima chi lo ha progettato e, non meno importante, per la tecnica normativa selezionata [238]. È l’ennesimo affondo nei confronti del fenomeno migratorio di cui si coglie l’aspetto patogeno e criminogeno; il che, suffraga, sic et simpliciter, il convincimento che lo straniero sia un’entità distante da collocare nel limbo della società. La qual cosa, ricorrendo ad un dato (rectius: un equivoco che aleggia in) di fondo: le variazioni sono modulate in maniera da colpire le correnti migratorie; all’uopo, per impedire che il fine prioritario rimanga frustrato e i principi espressi si traducano in meri formalismi, si suggerisce, addirittura, di perorare la supremazia delle leggi del nostro Paese per alleggerire il numero degli stranieri che non hanno i requisiti per stanziare sul territorio. Da tale angolo visuale, anche siffatto decreto degrada a crocevia, asfittico e sovraccarico, oltre che manipolativo, del trattamento del fenomeno dell’immigrazione. Militano a favore di una scelta politica di questo tenore, con probabilità, il continuo insistere delle ONG di far sbarcare in Italia copiosi numeri di migranti [239]. Come spesso accade, poi, oltre che manipolare i profili di specie, [continua ..]


(Segue): come mutano le norme di diritto sostanziale e processuale in materia penale

Costretti a sorvolare sulle disposizioni di contrasto all’immigrazione illegale [241], di rimodulazione del tessuto amministrativo nelle direzioni più disparate [242] e ad abbozzare le misure a garanzia del­l’ordine e sicurezza pubblici [243], si giunge dritti a quelle che adducono novità al codice di diritto penale. La tendenza che informa di sé l’intero atto legislativo, contrassegna pure l’art. 7 del d.l. n. 53 del 2019 che s’interpone negli sviluppi sostanzialistici. Si statuisce che la resistenza a pubblico ufficiale sia aggravata per il semplice fatto che essa avvenga «nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico» [244] (con aggravante ad effetto comune) (art. 339, comma 1, c.p.). È previsto un inasprimento sanzionatorio (attraverso un aggravante ad effetto speciale) per l’interruzione o il turbamento della regolarità di un ufficio o pubblico servizio ovvero di un servizio di pubblica necessità allorché siano posti in essere «nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico» (reclusione sino a due anni) (comma aggiunto dopo il primo comma dell’art. 340 c.p.). La legge di conversione ha incrementato l’art. 7 di cui sopra di altre due lett., la b) bis e ter, le quali ricadono, rispettivamente, sugli artt. 341 bis e 343 c.p. che regolamentano l’«Oltraggio a pubblico ufficiali» e l’«Oltraggio a magistrato in udienza», determinandone un sostanzioso aumento di pena. Sicché, nell’odierna versione, la prima disposizione, al comma 1, stabilisce che «Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». Mentre, la seconda: «Chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». Destinatario dell’intervento legislativo è, altresì, l’art. 419 (comma 2) c.p. («Devastazione e saccheggio») dal seguente tenore: «Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285, commette fatti di devastazione o saccheggio [continua ..]


(Segue:) … e il Daspo “sportivo”

Come anticipato trattando del d.l. n. 113 del 2018, le previsioni che governano gli istituti destinati a prevenire e reprimere episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive sono contenute nella l. n. 401 del 1989 («Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche»). I meccanismi qui contemplati operano lungo due traiettorie: da un lato, si interviene nell’ambito del sistema di prevenzione penale impedendo, in presenza di determinati presupposti, ad alcune categorie di soggetti l’accesso ai luoghi in cui si svolgono le competizioni sportive; dall’altro, si consente, nell’ambito della repressione penale, un largo ricorso alla misura pre-cautelare dell’arresto, anche mediante l’elaborazione del controverso concetto della flagranza “differita”, a cui si collega la celebrazione del giudizio direttissimo, connotato da tratti di assoluta atipicità rispetto all’omologo rito codicistico, nonché la predisposizione di ampi poteri decisori in capo al giudice penale. Gli interventi novellistici contenuti nel decreto sicurezza bis coinvolgono diversi aspetti della disciplina vigente creando, come si vedrà, significative incertezze, ma anche, per alcuni versi, consentendo un avvicinamento più chiaro ad un dettato normativo non sempre di facile intellegibilità. L’assetto del DASPO sportivo, teso a contrastare la violenza in occasione di manifestazioni sportive, si incentra, in primo luogo, sulla riscrittura dell’art. 6 l. n. 401 del 1989, precetto dominante per la definizione degli strumenti ante delictum. Si è al cospetto di una ristrutturazione più formale che sostanziale, benché non manchino importanti novità [250]. Il disposto si apre ricordando che il questore può interdire l’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, definiti, «interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime,» nei confronti dei soggetti classificati dalle lett. a-d) del comma 1 dell’art. 6 l. n. 401 del 1989. Le categorie di individui di cui alle lett. a-b), sebbene collocate in un ordine differente, ripetono la struttura lessicale pregressa. Sono [continua ..]


Riflessioni conclusive

Tessendo le fila del complesso discorso sugli orditi normativi testé imbastiti, si colgono le fitte criticità della disciplina in commento; alcune sono state colte, altre, con probabilità, emergeranno tra gli operatori: molte ombre e poche luci. Senza dubbio, mirabile sembra l’intento di rafforzare la sicurezza della collettività frantumata dalla degenerazione dei movimenti migratori, di tamponare episodi di violenza correlati alle manifestazioni sportive o ai comportamenti tenuti nelle aree urbane e di recuperare il territorio di fronte al dilagare delle condotte di certe categorie di soggetti, promuovendo, al contempo, la legalità, la convivenza civile, il benestare comune. Il fatto che l’attenzione per la sicurezza della collettività e della migrazione abbia trovato concretizzazione in una normativa destinata alla regolamentazione di alcuni loro aspetti nei quali ci si imbatte non può che rappresentare un grande segno di civiltà, nonché la dimostrazione tangibile della sensibilità del legislatore in materia. Al primo Governo ‘Conte’ non pare rimproverabile neppure la volontà di arginare i flussi di stranieri, diventati l’escamotage per fagocitare reati molto gravi e strumento politico per mettere in ginocchio l’Italia, costretta ad alzare i toni sulla necessità di un intervento dell’Europa (del tutto sorda sul fenomeno sino a poco tempo addietro). La chiusura dei porti, probabilmente, superando il falso buonismo, è un elemento di salvezza anche per gli stessi immigrati che rischiano di approdare in un Paese, il nostro, saturo ed incapace di dare loro migliori opportunità di vita: decisamente alta è la percentuale di una confluenza nel perimetro dello sfruttamento lavorativo, sessuale o in quello della micro-criminalità di strada. Condivisibile, in ultimo, anche l’azione multilivello capace di operare, non solo in senso repressivo (sicurezza primaria), ma anche attraverso fattori preventivi. Analogamente, può concludersi in ordine alla serrata lotta al crimine organizzato la recrudescenza del quale potrebbe aversi in casi di coinvolgimento degli immigrati clandestini (o ridotti sine titulo nel nostro territorio) in episodi di violenza o di diffuso parassitismo sociale. Le critiche – tali da sollevare incertezze sul rispetto dei diritti individuali – si [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2019