Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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De jure condendo (di Danila Certosino)


L’ABOLIZIONE DEL DIVIETO DI REFORMATIO IN PEIUS Il 16 febbraio 2017 è stato assegnato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati il d.d.l. C. 4239, recante «Abrogazione del comma 3 dell’articolo 597 del codice di procedura penale, in materia di divieto di reformatio in peius nel processo d’appello in caso di proposizione dell’impugnazione da parte del solo imputato», presentato il 20 gennaio 2017 su iniziativa dell’on. Ferrarese ed altri. Come è noto, l’esigenza di evitare che il giudice d’appello riformi in senso peggiorativo la sentenza impugnata dal solo imputato, è soddisfatta, nel sistema delle impugnazioni, dal c.d. divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, comma 3, c.p.p., ai sensi del quale «quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici». Fatte salve le disposizioni civili della condanna di primo grado, il divieto non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale (v., per tutte, Cass., sez. un., 27 settembre 2005, n. 40910), tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, lasciando così al giudice di secondo grado la sola facoltà di dare al fatto una definizione giuridica più grave. Ripercorrendo la “storia” del divieto di reformatio in peius, appare di immediata evidenza come il raggio di azione si sia ampiamente esteso: rispetto all’art. 515 c.p.p. del 1930, la nuova disciplina estende la portata del divieto all’applicazione di misure di sicurezza nuove o più gravi di quelle contenute nella sentenza appellata e al proscioglimento dell’imputato per una causa meno favorevole rispetto alla precedente decisione. Sulla scia, poi, dell’art. 558, comma 3, prog. prel. 1978, l’art. 597, comma 4, c.p.p. statuisce che «se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessivamente irrogata è corrispondentemente diminuita». La disposizione rappresenta una costante del nostro processo penale e il codice di rito del 1988 non solo ha optato per un atteggiamento conservativo dell’istituto, ma ha dato un impulso notevole alla sua ricostruzione in termini di principio generale che governa le impugnazioni, il cui fondamento giuridico è stato rinvenuto ora nel principio dispositivo, ora nell’interesse ad impugnare, ora nel principio del favor rei. Muovendo dal presupposto che tale divieto avrebbe contribuito alla [continua..]

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Fascicolo 3 - 2017