Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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De jure condendo (di Danila Certosino)


LA TUTELA DEL FIGLIO MINORENNE DI GENITORI SOTTOPOSTI A MISURE LIMITATIVE DELLA LIBERTÀ PERSONALE Il 16 febbraio 2016 la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati in sede referente ha iniziato l’esame del d.d.l. C. 3523, recante «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di protezione dei minori i cui genitori siano tratti in arresto o sottoposti a pene detentive o a misure cautelari restrittive della libertà personale», presentato il 12 gennaio 2016 su iniziativa dell’on. Bruno Bossio ed altri. La proposta di legge intende affrontare uno degli aspetti più significativi della questione dell’in­fanzia violata, quello del c.d. “indottrinamento mafioso”, cioè l’esposizione quotidiana e costante dei minori, figli di genitori appartenenti alla criminalità organizzata, alle logiche antisociali e apertamente contra legem che i clan pongono alla base della loro stessa sopravvivenza. È noto, infatti, come all’interno delle organizzazioni criminali sussista un sistema di relazioni basate essenzialmente sui rapporti di sangue, laddove il legame di consanguineità coincide con quello criminale e con la condivisione del contesto malavitoso. Il processo di affiliazione comincia attraverso un’educazione, normalmente affidata alle donne, improntata all’insegnamento di valori distorti, basati sull’affermazione di una diversità che si nutre di codici e rituali propri ed illegali. Conseguentemente, per un bambino crescere in ambienti mafiosi – si legge nella Relazione di accompagnamento – non significa solo «assorbire la negatività della dimensione valoriale sostenuta dalla sua famiglia, ma vuol dire anche subire la disincentivazione al processo naturale di progressivo distacco dal nucleo familiare d’appartenenza». L’effetto inesorabile prodotto è quello della perdita definitiva della propria personalità, che viene a dissolversi all’interno di un sistema di relazioni patologico, in cui è riconosciuto esclusivamente il gruppo familiare e non i singoli membri che lo compongono. Come evidenziato dalla Commissione parlamentare antimafia nell’ottobre del 2015, si profila, quindi, la necessità di trovare una linea univoca nella direzione della tutela dei minori esposti alle logiche di inglobamento; in particolare, dalle varie audizioni svolte, è emerso un grave vuoto normativo per quanto concerne le informazioni all’autorità giudiziaria minorile in ordine alla condizione detentiva di uno dei genitori dei figli minorenni. In effetti, al di là di quanto previsto dall’art. 609 decies c.p. – che riguarda alcune fattispecie di reato particolarmente gravi, come la pornografia minorile o i maltrattamenti in famiglia –, non esiste un [continua..]

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