Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Corte di Giustizia UE (di Elisa Grisonich)


Al vaglio della Corte la disciplina italiana in materia di riqualificazione giuridica del fatto (Corte di Giustizia UE, Sez. I, 13 giugno 2019, causa C-646/17) La decisione in commento assume particolare rilievo, poiché verte su una questione assai dibattuta nell’ordinamento italiano. Ci si riferisce, in particolare, al differente regime normativo predisposto dal nostro sistema, qualora si sia in presenza di una modifica dell’accusa attinente al fatto, da un lato, o al titolo di reato, dall’altro. Più specificamente, il Tribunale di Brindisi ha sottoposto alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale riguardante l’interpretazione degli artt. 2, § 1, 3, § 1, lett. c), 6, §§ 1, 2, 3, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, nonché dell’art. 48 della Carta di Nizza. L’interrogativo che è stato sollevato è se la disciplina richiamata possa ritenersi compatibile con le disposizioni processuali penali di uno Stato membro che prevedono una disparità, quanto a garanzie difensive, a seconda che venga in rilievo una modifica dell’im­putazione in fatto o in diritto, e che, in particolare, consentono all’imputato la domanda di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p. solo nella prima ipotesi. Ai fini di una maggiore chiarezza espositiva, merita richiamare brevemente la vicenda processuale alla base del rinvio. Più nel dettaglio, nel corso del dibattimento, l’imputato veniva informato dal giudice della possibilità di una riqualificazione giuridica del fatto; il medesimo proponeva, allora, istanza di patteggiamento, in relazione al nuovo titolo di reato, la quale veniva, tuttavia, dichiarata inammissibile perché ormai scaduto il termine di cui all’art. 555, comma 2, c.p.p. Dal canto suo, il giudice invitava il pubblico ministero a modificare l’imputazione, secondo quanto previsto dall’art. 516 c.p.p. Si vede bene che, qualora si fosse proceduto in tale modo, l’imputato avrebbe avuto diritto a formulare un’istanza di patteggiamento; si ricordi, infatti, che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 516 c.p.p., proprio nella parte in cui non ammetteva – nel caso di nuove contestazioni sia fisiologiche, sia patologiche – la facoltà dell’imputato di domandare al giudice del dibattimento l’applicazione di una pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p.p. (Corte cost., 17 luglio 2017, n. 206; Corte cost., 30 giugno 1994, n. 265). La pubblica accusa non accoglieva, però, la sollecitazione, rimettendosi all’autorità giudicante per la corretta qualificazione giuridica del fatto. Sulla scorta di tale vicenda, il Tribunale di Brindisi [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio


Fascicolo 5 - 2019